Crisi economica

Libano. Corsa contro il tempo per uscire dall’abisso finanziario

In un Libano in pieno marasma economico e che da anni versa in ristrettezze, l’annuncio del via libera ai negoziati con il Fondo Monetario Internazionale, accolti con cautela, si prospetta come una possibilità di uscire dalla crisi, a un mese dalle elezioni legislative che si presentano ancora incerte.

Beirut, palazzo presidenziale di Baabda, 30 marzo 2022. Il presidente libanese Michel Aoun incontra la delegazione del FMI.
Dalati and Nohra/AFP

Tra la sorpresa generale, il Libano e il Fondo Monetario Internazionale (FMI) hanno annunciato giovedì 7 aprile 2022 di aver raggiunto un accordo di principio per un piano di aiuti da 3 miliardi di dollari (2,77 miliardi di euro) per far uscire il paese dalla peggiore crisi economica e sociale della sua storia. Una cifra che potrebbe sembrare irrisoria a fronte del volume di aiuti di cui il Libano avrebbe bisogno, stimato in decine di miliardi di dollari (l’importo esatto è difficile da determinare, per i diversi metodi di calcolo), ma rappresenta un primo passo in grado di spianare la strada a ulteriori finanziamenti oltre a quelli provenienti da paesi amici. Tuttavia, l’accordo dipende stavolta soprattutto dall’applicazione di un pacchetto di riforme essenziali e dall’approvazione da parte del Parlamento – e quindi dell’intera classe politica.

Guarda caso, all’indomani dell’accordo, l’Arabia Saudita e il Kuwait, due ricchissime monarchie sunnite nel Golfo, hanno annunciato il ritorno dei loro ambasciatori a Beirut dopo cinque mesi di malcontento, dicono, a causa dell’influenza iraniana esercitata da Hezbollah sulla politica libanese.

Alla vigilia dell’annuncio, però, il vicepresidente del Consiglio dei ministri libanese Saadeh al-Shami, che da diversi mesi guida la delegazione del suo aese nei negoziati con il FMI, ha dichiarato che il Libano, come la sua banca centrale, “sono in bancarotta”. Il paese, in default dal marzo 2020 per il debito in valuta estera (eurobond)1 sta collassando sotto un indebitamento complessivo stimato in 92 miliardi di dollari (85 miliardi di euro). La Banca centrale e le banche locali, che da due anni consentono ai correntisti solo il prelievo di piccole somme, detengono più della metà del debito.

L’aiuto del FMI vincolato alle riforme

L’accordo di principio con la potente istituzione internazionale è stato accolto favorevolmente dai tre principali leader del paese: il capo dello Stato, il cristiano Michel Aoun; il presidente del Parlamento, lo sciita Nabih Berri e il primo ministro in carica, il sunnita Najib Mikati. Peraltro, c’era grande scetticismo tra una popolazione molto impoverita dalla crisi, e perfino tra i leader e la classe politica. “L’unica possibilità è pregare che l’accordo funzioni, domani me ne andrò in chiesa”, ha detto a Orient XXI Grégoire Giraco, un libanese scettico e preoccupato per il suo paese. Il punto è che per il paese non sono finiti i guai, tutt’altro, dal momento che le riforme richiedono la buona volontà dei vertici di partito (“i corrotti” come gridano i manifestanti in piazza da quasi tre anni) che hanno i loro interessi e la loro clientela in un sistema che l’ex ministro e accademico libanese Ghassan Salamé ha definito una “cleptocrazia redistributiva” in un’intervista a Orient XXI, cioè “gente che ridistribuisce le risorse sottratte allo Stato ai propri sostenitori, alle proprie comunità religiose, alle proprie clientele”. Un sistema che funziona (male) da decenni, restio a qualsiasi riforma, e che ha portato il Libano alla bancarotta. Lo stesso scetticismo è condiviso dal banchiere libanese Shadi Karam, uno specialista del debito: “Il costo sociale imposto dal FMI rischia di essere troppo oneroso per la popolazione”. E malgrado tutti i discorsi, gli azionisti libanesi “corrono il grosso rischio di rifiutare i termini dell’accordo”, ha dichiarato a Orient XXI.

In passato, e prima dell’ultima crisi, la comunità internazionale aveva promesso aiuti consistenti: 7,6 miliardi di dollari (7 miliardi di euro) alla Conferenza internazionale dei donatori cosiddetta di “Parigi III” nel gennaio 2007. Ma le riforme auspicate non sono mai state realizzate, per mancanza di reale volontà, e i fondi promessi non sono mai arrivati. Questa volta, aiuti e riforme sono strettamente correlati, sotto l’egida del FMI. E l’Unione Europea si è detta ancora una volta pronta a dare il suo sostegno.

Un progetto di bilancio in tempi rapidi

A riprova della serietà delle intenzioni, il Consiglio dei ministri ha appena approvato, non senza difficoltà, una legge finanziaria oltre al progetto di bilancio per il 2022 che deve ancora essere convalidato in commissione e in Parlamento, prima delle elezioni legislative del 15 maggio 2022. Ciò significa che il banco di prova sarà la corsa contro il tempo. Tanto più che c’è il grande timore che un accordo formale con il FMI possa richiedere tempo per concretizzarsi oltre il mese di giugno 2022, com’è attualmente previsto. Se l’annuncio di un accordo di principio fosse stato rinviato, si sarebbero dovute attendere, da calendario, le elezioni presidenziali dell’autunno 2022. Per un Libano quasi in condizioni critiche, avrebbe significato un rinvio alle calende greche!

“Collaboreremo strettamente per garantire la rapida attuazione di tutte le misure concordate con il Fondo, compresa l’approvazione della legislazione necessaria, in collaborazione con il Parlamento. Rinnoviamo il nostro pieno impegno a proseguire la cooperazione con il FMI al fine di tirare fuori il Libano dalla depressione economica e portarlo sulla strada della ripresa”, hanno annunciato in un comunicato congiunto Michel Aoun e Najib Mikati in seguito alla notizia dell’accordo. “Il Libano soffre di un debito accumulato che ha causato una crisi economica e finanziaria complessa e senza precedenti, un grande deficit e un costante aumento del debito pubblico”, uno dei più alti al mondo, secondo lo stesso comunicato stampa. Sottolineando l’urgenza del programma di riforme, Saadeh al-Shami ha ribadito: “Più si ritarda l’avvio delle riforme necessarie, più alto sarà il prezzo per l’economia nazionale e di conseguenza per i cittadini. La posta in gioco è molto alta, di conseguenza tutti devono collaborare”.

La Banca del Libano sul banco degli imputati

Non è ancora chiaro come saranno distribuite le perdite del settore finanziario. I risparmiatori ritengono necessario renderle eque, mentre il governo prevedeva di addossare su di loro il 55% per mitigare quelle degli azionisti delle banche.

Un punto importante riguarda il ruolo della Banca del Libano (BdL) e del suo governatore, Riad Salameh, oggetto di numerose indagini in Svizzera, Francia, Liechtenstein e Lussemburgo per appropriazione indebita, malversazioni finanziarie e riciclaggio di denaro, e accusato in Libano di “arricchimento illecito”. Suo fratello Raja invece, accusato di collusione, è finito in carcere. L’accordo con il FMI vieta formalmente alla BdL di “finanziare i deficit dello Stato libanese”, cosa che fa da decenni, secondo le informazioni del quotidiano L’Orient-le Jour nel numero di sabato 9 aprile 2022, che cita fonti vicine alle indagini.

Un’altra difficoltà, e non meno importante: in che modo annunciare che la pillola sarà molto amara da ingoiare? “Il FMI si aspetta che il governo definisca una strategia di ristrutturazione del sistema bancario. In realtà, questa strategia è già definita. Ma il governo deve convalidarla e renderla pubblico […]”, aggiunge il quotidiano. “Tutte le parti interessate si dicono pronte ad una ristrutturazione fino a quando non scopriranno cosa comporta realmente, se si fanno le cose in regola, vale a dire il riconoscimento delle perdite”, riassume l’esperto finanziario libanese Mike Azar, citato dal quotidiano francofono.

Elezioni legislative bloccate dai grandi partiti

I partiti politici tradizionali tengono il Parlamento sotto il loro controllo e l’opposizione (società civile, indipendenti) è debole e frammentata. La scadenza del 15 maggio ha lo scopo di eleggere 128 deputati per un periodo di quattro anni. I candidati devono presentarsi obbligatoriamente in liste composte da almeno tre persone. I nuovi arrivati, divisi e non scelti dai partiti tradizionali, riconoscono di avere poche chances di ottenere buoni risultati contro coloro che conoscono le logiche di partito, in un sistema in gran parte confessionale.

Per la prima volta, oltre 225.000 libanesi della diaspora potranno votare negli uffici delle ambasciate. Ed è anche la prima volta che 155 donne fanno parte dei 1.043 candidati iscritti nelle 103 liste, una cifra record. Tra loro c’è Sarah Yassine, una giovane accademica e attivista della società civile di 34 anni, che si presenta per un seggio a Beirut all’interno del collettivo ambientalista e socialdemocratico Madinati (“La mia città”). Insomma, una voce quasi isolata all’interno dello scenario attuale; eppure, sono proprio le voci delle nuove generazioni quelle che mancano nel paese. “Forte dell’esperienza acquisita con la rivolta dell’ottobre 2019 contro la corruzione della classe politica, intendo battermi contro la distruzione del nostro ambiente naturale”, ha dichiarato con grande modestia di fronte ai mastodonti della politica senza un vero progetto.

Le voci isolate del cambiamento

Così, l’opposizione nata dalla rivolta dell’ottobre 2019 è arrivata, come ci si aspettava, a ranghi sparsi nella circoscrizione Monte Libano, nonostante sia una di quelle dove la competizione è più forte. In questa regione, “i gruppi della protesta del 17 ottobre si presentano alla competizione ancora più divisi, perché ci sono 5 liste che si dichiarano vicine alla thawra (la rivolta) che si affrontano questa volta, mentre i due opposti partiti tradizionali in campo si sono uniti ognuno in una lista”.2

Sei partiti e collettivi dell’opposizione libanese hanno recentemente annunciato l’intenzione di unire i loro sforzi in vista delle elezioni legislative. Ma manca unità o un programma originale a questi movimenti, di certo coraggiosi, ma deboli di fronte a rulli compressori come Hezbollah, alleato di Amal, l’altro movimento sciita del presidente del Parlamento e maggioranza in Assemblea con il partito del capo dello Stato, il Movimento Patriottico Libero (CPL), coalizione osteggiata in particolare dalle Forze Libanesi (FL, ex milizie cristiane libanesi). Mentre l’ex leader della “Corrente del Futuro” Saad Hariri, ex premier e leader del campo sunnita, ha annunciato nel gennaio 2022 il suo ritiro dalla vita politica.

Malgrado il suo potere, Hezbollah (che vanta il maggior numero di deputati) riceve critiche dalle voci dell’opposizione come quella di Charbel Nahas, ex ministro e segretario generale del partito “Cittadini e cittadine in uno Stato”. “Hezbollah non ha un progetto politico”3, afferma questo politico carismatico, molto critico nei confronti delle elezioni, anche se, alla fine, ha deciso di partecipare per contestare la legittimità del governo in carica, sostenendo un “progetto di rottura” a favore di uno Stato laico, sociale e redistributivo. Senza dubbio rappresenta il migliore dei progetti, ma è davvero realizzabile?

1NdT. Un “eurobond” o euro-obbligazione è un’obbligazione (un prestito) denominata in una valuta diversa da quella del paese dove viene emessa.

2Salah Hijazi, Chouf-Aley: battaglie classiche e thawra a pezzi in L’Orient le Jour, 8 aprile 2022