Focus Gaza-Israele

Lo spettro di una seconda Nakba in Cisgiordania

Incursioni, arresti di massa, distribuzione di armi ai coloni da parte del governo israeliano: dal 7 ottobre le violenze contro i palestinesi in Cisgiordania sono riesplose. La violenza coloniale, che spesso non ha alcuna linea di demarcazione da quella militare, fa temere, come a Gaza, una “seconda Nakba”. Reportage.

L'immagine mostra un uomo in piedi in un ambiente all'aperto con vegetazione secca sullo sfondo. Indossa un kippah e un giubbotto tattico, e tiene in mano un fucile. L'atteggiamento e l'abbigliamento suggeriscono un contesto di sicurezza o di conflitto. Accanto a lui si vede un veicolo. La scena sembra essere in una zona rurale o periferica.
Colono armato della colonia di Kyriat Arba (2015).
Hazem Bader/AFP

Abu Bashar è cordiale nonostante le difficoltà. Si scusa per aver risposto in ritardo: è da un mese che gestisce emergenze di enorme portata. Il 12 ottobre, Abu Bashar, capo della comunità nel villaggio di Wadi al-Siq, una quarantina di famiglie palestinesi che si sono stabilite su una distesa di terra rocciosa sulle colline nel centro della Cisgiordania occupata, ha visto fare irruzione una settantina di israeliani. Racconta:

Erano coloni – secondo alcuni vestiti con uniformi dell’esercito, secondo altri con abiti civili – scortati dai soldati. La polizia, invece, sorvegliava la scena da lontano, forse a 200 metri di distanza. Sono arrivati da tre punti diversi, hanno iniziato a colpirci, a spararci addosso, a farci cadere a terra... È stata una scena terribile.

Nella fretta, i palestinesi sono fuggiti, a piedi, senza poter portare nulla con loro. Molti sono andati a casa di parenti, nella vicina località di Ramun, il resto a Taybeh, un villaggio cristiano un po’ più lontano, nelle pressi di Ramallah. Abu Bashar racconta che nessuna autorità è intervenuta in loro soccorso.

Tre palestinesi, tra cui 2 attivisti arrivati a sostegno della comunità di fronte contro i crescenti attacchi dei coloni, sono stati trattenuti dagli aggressori. “Da mezzogiorno alle 6 di sera, sono stati picchiati e torturati. Quando sono stati liberati dalla polizia palestinese, sono stati trasportati in ospedale”, dice Abu Bashar. Anche quattro attivisti israeliani sono stati detenuti. In un lungo e dettagliato report1, il giornale israeliano Haaretz denuncia le torture subite dai 3 palestinesi. I loro carnefici hanno orinato su 2 di loro e gli hanno spento sul corpo delle sigarette accese. Uno dei detenuti ha subito una minaccia di violenza sessuale. Un’immagine ampiamente diffusa in rete li mostra in mutande, bendati con le mani legate dietro la schiena, in una posizione umiliante, sul pavimento. L’esercito, che non ha risposto a Orient XXI, ha dichiarato a Haaretz di aver licenziato il comandante della brigata.

I beduini di Wadi al-Siq, già sfollati con la forza alla nascita dello Stato di Israele, oggi sono rifugiati. I loro antenati furono espulsi dal Naqab, il deserto del Negev in arabo, durante la Nakba nel 1948, quando quasi l’80% dei palestinesi che vivevano su quello che oggi corrisponde al territorio israeliano furono cacciati dalle loro case, senza avere diritto a fare ritorno. La comunità si è stabilita in questo fondovalle verso le colline di Ramallah negli anni ‘70. Nel febbraio 2023, la tensione è salita con l’arrivo di un piccolo gruppo di coloni, che hanno costruito una fattoria a poche centinaia di metri dal villaggio. “Hanno sequestrato batterie, pannelli solari, serbatoi d’acqua... Hanno rubato anche la bandiera palestinese”, ribadisce Abu Bashar.

“Guidavano macchine con targhe dell’esercito”

Dopo l’attacco di Hamas del 7 ottobre che ha ucciso 1200 persone in Israele, il mondo ha gli occhi puntati sulla Striscia di Gaza assediata, dove l’esercito israeliano sta organizzando una risposta di una violenza inaudita. Sono oltre 11.500 gli abitanti di Gaza uccisi in poco più di un mese. In Cisgiordania, territorio occupato da Israele dal 1967, i palestinesi si ritrovano alla mercé dell’esercito e dei coloni – che a volte sono tutt’uno. “I coloni, prima in borghese, hanno cominciato a indossare l’uniforme militare. Sono armati e guidano le stesse auto di prima, dei fuoristrada, ma adesso hanno targhe dell’esercito. Non attaccano più solo le nostre risorse e i nostri campi, ma si scagliano direttamente contro le case”, riprende il capo della comunità di Wadi Al-Siq.

Ci sono stati effettivamente degli attacchi da parte dei coloni, con almeno 9 palestinesi, tra cui un minore, uccisi da coloni israeliani dopo il 7 ottobre. “In quasi la metà dei casi, l’esercito israeliano ha supportato i coloni. Tuttavia l’esercito israeliano, secondo il diritto internazionale, in una situazione di occupazione dovrebbe proteggere la popolazione locale”, cioè i palestinesi; e la presenza degli insediamenti non è legale secondo il diritto internazionale, ricorda Allegra Pacheco, la direttrice del Consorzio di protezione della Cisgiordania, un gruppo di Ong internazionali che coordina l’aiuto umanitario a queste comunità palestinesi sotto minaccia di sfollamento forzato.

Allo stesso tempo, l’esercito ha intensificato i suoi raid, nella speranza di annientare ogni resistenza armata palestinese. Il 9 novembre, i soldati israeliani hanno condotto l’assalto più letale dal 2005 al campo profughi di Jenin. Quattordici palestinesi sono stati uccisi durante le 18 ore di scontri. Quando i feriti sono arrivati nell’ospedale vicino, il dottor Pedro Serrano, medico dell’unità di terapia intensiva di Medici senza frontiere ha riferito2 di aver ricevuto pazienti che “avevano lesioni al fegato e alla milza mentre altri avevano gravi lesioni vascolari. Abbiamo anche scoperto che una persona era stata colpita alla testa mentre si trovava proprio di fronte all’ospedale”.

Tulkarem, Betlemme, o anche i dintorni di Ramallah: i militari invadono sempre più le città della zona A, quelle che in teoria sarebbero sotto il controllo della sicurezza palestinese. Secondo il ministero della Sanità palestinese, tra il 7 ottobre e il 17 novembre, oltre 220 palestinesi sono stati uccisi da soldati o coloni israeliani in Cisgiordania e Gerusalemme. Una cifra già superiore ai primi 9 mesi dell’anno in cui erano stati uccisi 208 palestinesi. Dalla primavera del 2022 infatti il livello di violenza era già particolarmente alto in Cisgiordania. L’esercito israeliano aveva condotto una sanguinosa campagna di repressione, avviata dal precedente governo detto “di unità nazionale” – molto prima, quindi, dell’avvento della coalizione di estrema destra oggi al potere.

Sedici comunità palestinesi cancellate dalla carta geografica

La maggior parte del personale militare israeliano è stato schierato nel sud e al confine con il Libano. “Ormai siamo in guerra, i coscritti non sono in Cisgiordania”, osserva Yehuda Shaul, cofondatore di Breaking the Silence, una Ong composta da ex veterani israeliani. “Le squadre di risposta rapida delle colonie sono pronte. Hanno un sacco di armi e di uniformi per fare tutto ciò che vogliono”. Oggi a capo delle colonie ci sono gli stessi coloni. Stanno approfittando della situazione per dare una svolta al processo avviato dal 1967 con la conquista israeliana della Cisgiordania e di Gerusalemme Est: accaparrarsi sempre più terre. Secondo un censimento dell’Ufficio di coordinamento degli affari umanitari delle Nazioni Unite pubblicato il 10 novembre, sono oltre 1.100 i palestinesi sfollati con la forza a causa della violenza dei coloni israeliani dopo il 7 ottobre. All’inizio di novembre, l’Ong israeliana B’Tselem ha riferito3 che 16 comunità erano state così completamente cancellate dalla carta geografica.

I villaggi attaccati hanno tutti in comune il fatto di essere isolati, nella zona C, cioè sotto il totale controllo di sicurezza e amministrativo israeliano. Sono spesso circondati da “avamposti” che per lo più si riducono a una fattoria con poche centinaia di animali, oltre a una manciata di coloni che molestano i palestinesi vicini. Sui crinali intorno al villaggio di Wadi al-Siq, 3 villaggi erano già stati evacuati orima del 7 ottobre a causa di violenze e minacce: Ein Samiya, al-Baqa e Ras al-Tin. C’è stato poi un rapido spostamento di proporzioni mai viste, verso Nablus, la valle del Giordano o la Cisgiordania meridionale occupata. Sono molti gli Stati che hanno condannato queste violenze, e l’Unione europea ha denunciato la “recrudescenza del terrorismo dei coloni”4. Ma per queste violazioni non è stata presa alcuna sanzione nei confronti di Israele. Le comunità palestinesi, invece, si sentono abbandonate, e il solo sostegno delle Ong non basta più.

“Ti distruggerò come Gaza”

All’indomani dell’attacco di Hamas, il ministro della Sicurezza israeliano, il suprematista Itamar Ben Gvir, condannato nel 2007 per “sostegno a un gruppo terroristico”, ha ordinato la distribuzione di fucili d’assalto ai civili israeliani in Cisgiordania. Secondo Haaretz, sono state distribuite già quasi 25.000 armi. Il 24 ottobre, Times of Israel riportava5 che 300 armi sono stati fornite a gruppi “di sicurezza” costituiti da coloni in Cisgiordania. La distribuzione è avvenuta sotto la supervisione dell’esercito. Per l’attivista palestinese Nasser Nawajah, il fatto che i coloni siano armati dallo Stato israeliano mostra chiaramente la responsabilità di quest’ultimo nelle espulsioni forzate. Nel sud della Cisgiordania, la frazione di Susiya, da cui viene Nasser, teme per la sua sopravvivenza. Non lontano, la comunità di Zanuta ha fatto in fretta e furia i bagagli all’inizio di novembre. Susiya è già tagliata fuori dal mondo a causa dei cumuli di rocce e sabbia che bloccano le strade di accesso. Secondo gli abitanti, un colono li ha lasciati lì, pochi giorni dopo l’inizio della guerra, con l’aiuto di un bulldozer. Sono arrivati uomini armati a colpire e minacciare direttamente le famiglie palestinesi, dando loro solo 24 ore di tempo per evacuare. “Di solito, lo Stato persegue gli stessi obiettivi ma con un ritmo più lento: ci sono ricorsi in tribunale, pressioni internazionali... Ora i coloni e lo Stato l’hanno capito: questo è il loro momento”, dice Nasser Nawajah, che è anche ricercatore per B’Tselem. Nawajah, quarantunenne padre di famiglia, si chiede perché la comunità internazionale non reagisca di più, sebbene l’Unione Europea abbia finanziato gran parte degli edifici del villaggio. “Se il mondo continua a tacere, si profila una seconda Nakba”, avverte Nawajah.

A sostegno del suo discorso, Nawajah riporta la risposta di un soldato quando l’attivista ha protestato per le minacce e gli attacchi dei coloni nel villaggio: “Oggi ti distruggerò come Gaza”. “Gli israeliani guardano tutti i palestinesi come se fossero quelli che hanno commesso i massacri di Hamas”, osserva l’attivista. La disumanizzazione, insita nella definizione degli abitanti di Gaza come “animali umani” da parte del ministro della Difesa israeliano Yoav Gallant, serve da base per giustificare la violenza contro i palestinesi. Allegra Pacheco osserva:

Dopo la guerra, i coloni hanno identificato i palestinesi come il nemico. L’idea è: finché il nemico vive tra noi c’è un pericolo ed è per questo che dobbiamo cacciarli via. Un’idea rafforzata dall’intera retorica che regna nel paese. Prima, questa era la narrazione dei coloni, lontana dalla maggioranza delle persone. Oggi non è più così.

Oltre 2000 arresti

L’esercito israeliano vuole mettere la Cisgiordania sotto controllo, per evitare a tutti i costi la possibilità di aprire lì un terzo fronte – oltre a Gaza e al confine con il Libano. È così che i soldati hanno completamente frammentato il territorio, isolando le città l’una dall’altra attraverso i check point e la chiusura di alcune strade. Anche alcuni quartieri palestinesi della città di Gerusalemme, come Kafr Aqab, che fanno parte della municipalità ma si trovano dall’altra parte del muro, si trovano isolati. All’inizio di novembre, l’Association for Civil Rights in Israele ha presentato, insieme ad altre due Ong, una petizione per chiedere la riapertura completa del checkpoint di Qalandiya, il principale checkpoint delle forze armate israeliane tra la Cisgiordania settentrionale e Gerusalemme. In un comunicato6, l’Ong ha pubblicato la testimonianza di un padre palestinese che racconta di suo figlio che deve ricevere cure urgenti a Gerusalemme 3 volte a settimana. “Oggi, per essere sicuri di arrivare all’ospedale Hadassah attraverso il checkpoint di Qalandiya per un appuntamento a mezzogiorno, dobbiamo partire alle 5 del mattino”. Se la situazione non cambia, per suo figlio sarà “una questione di vita o di morte: potrebbe morire prima di raggiungere l’ospedale”, avverte.

Gli arresti di massa costituiscono l’ultimo pilastro della repressione, un grande strumento di controllo esercitato sulla popolazione palestinese. Dal 7 ottobre, le forze israeliane hanno compiuto oltre 2.000 arresti. L’Ong palestinese Addameer riporta casi di persone “brutalmente colpite, minacciate di morte e le cui famiglie sono state prese in ostaggio” nel corso degli arresti. L’organizzazione calcola che oggi siano circa 7.000 i prigionieri palestinesi nelle carceri israeliane, di cui 2.000 sotto il regime della detenzione amministrativa. La Commissione per gli affari dei prigionieri palestinesi esprime grande preoccupazione per le difficili condizioni nelle carceri. L’istituzione, che opera per conto dell’Autorità Palestinese, indica in particolare:

interruzioni di energia elettrica nelle celle per lunghe ore, una politica che mira ad affamare i prigionieri confiscando il cibo delle mense e riducendo i pasti a due al giorno, aggressioni brutali da parte delle forze armate speciali con percosse, bombe assordanti o gas lacrimogeni, negazione delle cure mediche e del trasferimento negli ospedali.

Le visite sono vietate e le cellule sovraffollate.

Secondo Addameer, dal 7 ottobre sono 5 i palestinesi morti in carcere. Circolano in rete alcuni video girati da soldati e membri delle forze armate israeliane che mostrano prigionieri palestinesi bendati e con le mani legate dietro la schiena, colpiti, costretti a ballare con il loro carceriere o messi in fila in posizioni umilianti. Immagini terribili che suscitano paura in Cisgiordania – è questo probabilmente l’obiettivo di chi ha filmato le immagini. Inoltre, risvegliano l’idea, diffusa tra i palestinesi, che i loro prigionieri siano “ostaggi” nelle mani di Israele.

1“Cigarette Burns, Beatings, Attempted Sexual Assault: Settlers and Soldiers Abused Palestinians”, Haaretz, 21 ottobre 2023.

2“Cisjordanie: une vague de violences jusqu’aux portes des hôpitaux”, Medici senza frontiere, 9 novembre 2023.

3“Forcible transfer of isolated Palestinian communities and families in Area C under cover of Gaza fighting”, B’Tselem, 12 novembre 2023.

4“Israel/Palestine: Statement by the Spokesperson on the latest developments in the West Bank”, European Union External Action, 31 ottobre 2023.

5“Distribution of 300 assault rifles to West Bank civilian security squads underway”, Times of Israel, 24 ottobre 2023.

6“To Open the Qalandiya Checkpoint for Regular and Full Movement”, The Association for Civil Rights in Israel, 7 novembre 2023.