Ci sono anniversari che passano quasi inosservati. Senza dubbio è quello che è accaduto in Israele per i 55 anni della Guerra dei Sei Giorni del giugno 1967, che ha visto l’esercito israeliano occupare il Sinai egiziano, la Striscia di Gaza, Gerusalemme Est, la Cisgiordania e le alture del Golan siriano. Eppure, si tratta di un evento bellico che ha cambiato in maniera permanente il rapporto tra israeliani e palestinesi.
Con la fine della guerra lampo, l’esercito israeliano ha di fatto annullato la “Linea Verde”, ossia quella linea di demarcazione che risaliva alla guerra del 1948 tra il neonato Stato ebraico e il regno di Giordania. Nell’accordo di armistizio siglato l’anno seguente, la Linea – che i giordani si rifiutavano di chiamare “confine” – era stata tracciata con una matita verde dai negoziatori, da cui il nome.
Cosa resta della “Linea Verde” nel 2022? È una questione di punti di vista. Per la comunità internazionale, rimane un punto di riferimento importante. Di fatto, delinea una base territoriale ritenuta ragionevole, a partire dalla quale si potrebbe stabilire un possibile accordo di pace tra lo Stato di Israele e uno Stato palestinese (ancora molto ipotetico). Alcuni diplomatici, al corrente della questione, hanno già abbozzato diverse proiezioni cartografiche, ed è opinione condivisa in genere che siano necessarie alcune modifiche – le più lievi possibile –, dal momento che Israele intende mantenere i suoi insediamenti situati lungo o ad est della Linea, accettando in cambio di concedere ai palestinesi alcuni chilometri quadrati di terra situati all’interno dei confini del 1949.
In campo palestinese, su questo tema hanno giocato un ruolo il tempo e un certo realismo. L’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP) ha rinunciato nel 1988 alla rivendicazione dell’intera Palestina del Mandato britannico (1920-1948) per accontentarsi di esigere l’autodeterminazione sui territori palestinesi non occupati da Israele prima della guerra del 1967 (la Striscia di Gaza, la Cisgiordania e Gerusalemme Est). L’OLP sta anche valutando la possibilità di accettare favorevolmente degli adeguamenti territoriali debitamente negoziati. Per quanto riguarda l’organizzazione islamista Hamas, il cui statuto promuove ancora l’instaurazione di uno Stato palestinese su tutta la Palestina storica, è noto che i suoi leader, sin dagli anni ‘90, hanno espresso idee chiare su una possibile “tregua a lungo termine” con il “nemico sionista”, a condizione che venga proclamato uno Stato palestinese entro i confini precedenti al 1967.
Una cancellazione iniziata nel 1967
Queste premesse potrebbero far pensare che la Linea Verde goda ancora di un grande credito tra le popolazioni coinvolte. Di certo, questo non è il caso degli israeliani. Nel suo blog 972mag.com, del 1 aprile 2022, il giornalista israeliano indipendente Meron Rapoport scriveva: “Uno dei progetti principali dell’era Netanyahu1 è stata la cancellazione della “Linea Verde”, l’espansione e la normalizzazione degli insediamenti ebraici in Cisgiordania, e la creazione di una «pace economica» con e per i palestinesi. Naturalmente, le politiche di Netanyahu non hanno portato la pace, però la Linea Verde è stata sicuramente cancellata”.
È vero? Se non si può negare a Benjamin Netanyahu l’ambizione di far sparire la Linea Verde, questa volontà israeliana risale a molti anni prima. In realtà si può datare al 1967, alla conquista dei territori palestinesi annessi tra il 1948 e il 1967 in Cisgiordania e a Gerusalemme Est (prima amministrati dalla Giordania), la Striscia di Gaza (prima sotto controllo egiziano). È ormai noto che il governo israeliano tenne due sedute, il 18 ottobre e il 12 novembre 1967, al termine delle quali si decise di non utilizzare più mappe che tenessero in considerazione la Linea Verde, e di mantenere riservata questa decisione ufficiale.
L’ONG israeliana Akovot, che difende i diritti umani con un approfondito lavoro d’archivio, scrive su quell’episodio:
Mercoledì 18 ottobre 1967, il ministro del Lavoro Yigal Allon propose una risoluzione alla Commissione ministeriale di sicurezza secondo cui Israele non avrebbe più stampato la Linea Verde – la linea dell’armistizio del 1949 – sulle sue mappe ufficiali. Al suo posto, il confine indicato sulla mappa sarebbe stato la linea dove l’esercito si era schierato alla fine della guerra del 1967. […] Pubblicare una nuova mappa secondo le linee dell’armistizio [del 1949], disse Allon, non avrebbe tenuto conto della realtà politica e sarebbe stato interpretato in modo da ritenere queste linee ancora come un’eventuale possibilità.
Il fattore determinante della colonizzazione
All’epoca, le considerazioni che motivavano i leader israeliani, tra i quali dominavano in gran parte i laburisti, erano problemi legati alla sicurezza. Il “miracolo” della vittoria del giugno 1967 – anche se lo stato maggiore israeliano aveva pochi dubbi sul suo strepitoso successo – doveva, ai loro occhi, permettere di consolidare i confini fino ad allora considerati indifendibili nella zona centrale di Israele. Ad esempio, all’altezza della città palestinese di Qalqilya, sulla Linea Verde, il Mar Mediterraneo dista appena 12 chilometri, un’immagine che il ministro degli Esteri israeliano Abba Eban descriveva nel 1969 come il “confine di Auschwitz”, un riferimento apocalittico che colpiva l’immaginazione.2
La sinistra israeliana, che lasciò il potere una prima volta nel 1976, appoggiò rapidamente le prime iniziative per stabilire degli insediamenti israeliani nei territori occupati, sempre ufficialmente in nome delle esigenze di sicurezza. Ma motivazioni ben diverse avrebbero presto animato altri aspiranti coloni: quelle, messianiche, che consistevano nel popolare delle terre con forti connotazioni bibliche per loro, la “Giudea” e la “Samaria” (la Cisgiordania). Nel corso dei decenni, sarebbe fiorito un terzo tipo di colonie ebraiche, le “città-dormitorio”. Costruiti a est, ma nelle immediate vicinanze della Linea Verde, questi nuovi complessi residenziali garantivano agli ebrei israeliani alloggi a prezzi ragionevoli costruiti non lontano dalle principali città israeliane.
E la Linea, a poco a poco, è scomparsa non solo dal campo, ma anche e soprattutto dalla mente degli israeliani. La maggior parte di loro non sa più se sia mai esistita una linea di demarcazione. “Dal 1967, la Linea Verde è diventata invisibile per la maggior parte dei cittadini ebrei israeliani”, ha affermato il docente universitario ebreo americano Tamir Sorek. “Il sistema scolastico israeliano l’ha praticamente ignorata. Pertanto, la maggior parte dei laureati non è in grado di tracciare la Linea sulla mappa e spesso non ne conosce il significato giuridico”.
Nel 2019, un giornalista israeliano, il veterano Akiva Eldar, ha raccontato su Al-Monitor un episodio avvenuto durante una lezione di geografia con degli studenti di scuola media nella città costiera di Herzliya, quando un’insegnante, mostrando una carta in rilievo raffigurante la terra di Israele estesa dal Mar Mediterraneo al fiume Giordano, aveva esclamato: “Questo è lo Stato di Israele, questo è il nostro Stato!”, scatenando un’unica protesta, quella di uno studente che aveva avuto il coraggio di far presente che sulla mappa mancava la demarcazione della Linea Verde.
Eldar cita poi il commento del padre dello studente, lo psicologo Daniel Bar-Tal, per nulla sorpreso per quanto accaduto: “Può darsi che l’insegnante stessa non conoscesse la Linea Verde, perché la demarcazione del confine di Israele del 4 giugno 1967 non c’era nei libri su cui aveva studiato da studentessa. […] I libri di testo scolastici esprimono l’ideologia e l’etica di una società. Inculcano i valori, gli obiettivi e i miti che la società cerca di trasmettere alle nuove generazioni”. E il nostro collega progressista israeliano conclude: “L’ideologia espressa nella negazione della Linea Verde è legata alla delegittimazione del campo politico che sostiene la divisione della terra tra israeliani e palestinesi secondo le linee del 1967”.
La banalizzazione e l’estensione della colonizzazione dei territori occupati in tutte le sue forme – colonie-dormitorio, colonie agricole, colonie ideologiche (religiose) – spiegano perché la Linea Verde è svanita dalla mente della stragrande maggioranza degli israeliani. Attualmente sono più di 700.000 i coloni ebrei che si sono stabiliti al di là della Linea, contando gli insediamenti che circondano Gerusalemme Est. Anche la costruzione, a partire dal 2002, di una barriera di separazione tra Israele e la Cisgiordania – che a volte rispetta il percorso della Linea, ma spesso si allarga verso est annettendo territorio palestinese – non ha cambiato la mentalità israeliana. Questo muro è stato ufficialmente eretto per rispondere alle ansie della popolazione israeliana dopo gli attacchi palestinesi nel corso della seconda Intifada. Ma non ha mai messo in imbarazzo gli israeliani, soprattutto i coloni, che erano così liberi di superare i posti di blocco del loro esercito vicino al vecchio percorso senza nemmeno doversi fermare.
«Consolidare la supremazia di un gruppo»
Al contrario, per i palestinesi dei territori occupati, il muro resta una dura realtà. “Se gli ebrei israeliani possono attraversare liberamente la Linea Verde in entrambe le direzioni, spesso senza rendersene conto, questo non è certo il caso dei palestinesi”, chiarisce Tamir Sorek. Per attraversarla ed entrare nel vero e proprio territorio d’Israele, i palestinesi della Cisgiordania e della Striscia di Gaza devono richiedere un permesso speciale, che viene rilasciato sulla base di criteri soggettivi e talvolta arbitrari; i palestinesi che vengono trovati all’interno della Linea Verde senza tale permesso vengono severamente puniti. È fuori discussione insediarsi in maniera permanente al di là della Linea e, a partire dal 2003, anche i congiunti dei cittadini israeliani non sono autorizzati a stabilirsi al suo interno”.
Nel famoso rapporto del 12 gennaio 2021 in cui l’ONG israeliana per i diritti umani B’tTselem giunge alla conclusione per la prima volta che Israele pratica l’apartheid nei confronti dei palestinesi, il preambolo traccia un quadro impietoso della situazione:
Centinaia di migliaia di coloni ebrei risiedono attualmente in insediamenti permanenti a est della Linea Verde, come se si trovassero a ovest di essa. Gerusalemme Est è stata ufficialmente annessa al territorio sovrano di Israele, mentre la Cisgiordania è stata annessa di fatto. Cosa ancora più importante, è che tale distinzione maschera il fatto che l’intera area tra il Mar Mediterraneo e il fiume Giordano è organizzata attorno a un unico principio: promuovere e consolidare la supremazia di un gruppo – gli ebrei – su un altro – i palestinesi.
Gli insediamenti nei territori occupati, va ricordato, contravvengono al diritto internazionale. E non può creare illusioni il fatto che esista una “Autorità Palestinese” (AP) in Cisgiordania dal 1994, come afferma la stessa ONG israeliana:
I poteri dell’Autorità Palestinese restano limitati, anche se le elezioni si svolgessero regolarmente (le ultime si sono tenute nel 2006), il regime israeliano continuerebbe a governare la vita dei palestinesi, perché occupa settori chiave di governo nei territori. In particolare, controlla l’immigrazione, il registro della popolazione, la pianificazione e le politiche fondiarie, l’acqua, le infrastrutture di comunicazione, l’importazione e l’esportazione, nonché esercita il controllo militare sullo spazio di terra, aria e mare.
I palestinesi lo sanno meglio di tutti. “Se gli israeliani non riconoscono questa "Linea”, ha affermato nel 2011 al New York Times Nazmi al-Jubeh, storico palestinese ed ex negoziatore, “significa che non riconoscono l’occupazione del territorio al di là di essa”. La situazione sta diventando più chiara. Non si tratta più di “processo di pace” se non nella mente di una piccola minoranza di israeliani. Nel luglio 2018, il Parlamento israeliano ha approvato una legge fondamentale (che ha valore costituzionale) denominata “Israele-Stato-nazione del popolo ebraico” il cui testo stabilisce che “lo Stato considera lo sviluppo degli insediamenti israeliani come un valore nazionale e che adotterà misure per incoraggiare e promuovere la creazione e il rafforzamento di tali insediamenti”.
La Linea Verde sarebbe quindi sopravvissuta? No. Certo, delimita ancora lo spazio sul versante orientale dove Israele controlla la popolazione palestinese in Cisgiordania e Gerusalemme Est. Ma i coloni ideologici la ignorano e vorrebbero addirittura sbarazzarsene una volta per tutte, mentre per la popolazione di Israele, dopo oltre 65 anni, resta al massimo un vago ricordo. Solo i palestinesi della Cisgiordania continuano a viverla quotidianamente sulla loro pelle, come un vincolo al tempo stesso spaziale, amministrativo, militare e mentale.