
Gli abitanti di Jenin sono chiusi nel silenzio. Per dieci giorni senza sosta, sono stati sottoposti a continue esplosioni, raffiche e droni. Rami Noursi, un palestinese residente nel campo profughi sotto assedio, racconta:
L’esercito ha fatto saltare in aria una casa a un centinaio di metri dalla mia. Non riesco nemmeno a descrivere il terrore nel mio cuore e in quello della mia famiglia. I miei figli erano pietrificati, piangevano, urlavano. Non sapevo come calmarli. Anch’io ero terrorizzato.
Rami continua:
Eravamo in trappola. Nessuno poteva entrare o uscire. Eravamo senza acqua, corrente elettrica e cibo. Per fortuna avevo una scorta di farina. Siamo sopravvissuti grazie al pane.
L’operazione “Campi d’estate”, lanciata il 28 agosto 2024 da Israele, e la più grande offensiva militare nel nord della Cisgiordania dopo la seconda Intifada del 2002. Nel contempo, sono state colpite anche le città di Tubas, Nablus e Tulkarm. Il 6 settembre, Aysenur Ezgi Eygi, attivista americano di origine turca, è stato ucciso da un proiettile alla testa nel corso di una manifestazione contro gli insediamenti nei pressi del Monte Sabih, nella cittadina di Beita, a sud di Nablus.
L’esercito israeliano giustifica il raid nel nord della Cisgiordania con la necessità di neutralizzare le attività “terroristiche” dei palestinesi affiliati ad Hamas, a Fatah e al Jihad islamico, che defiicono “resistenti” di fronte a una occupazione ritenuta “illegale” dalla Corte Internazionale di Giustizia (CIG), secondo il parere espresso il 19 luglio 2024.
“Restare qui significa morire”
Jenin e il campo profughi nella zona A, sotto il controllo dell’Autorità Palestinese, somigliano a un fronte di guerra. I negozi sono stati distrutti, le infrastrutture civili abbattute e le case sfigurate dalle raffiche di proiettili. Secondo gli abitanti e i giornalisti presenti, questa è la prima volta in 22 anni che le forze armate attaccano l’intera area urbana. “Di solito, le operazioni sono limitate a zone specifiche, come i campi profughi, ma questa volta le truppe hanno circondato e colpito ogni zona di Jenin”, spiega Taher Soza, un faccendiere palestinese.
“Fanno quello che hanno già fatto a Gaza. Ormai non c’è più alcun limite alla violenza”, commenta al telefono Ali Aljamaal, giovane laureato in Scienze gastronomiche. La casa di sua nonna, nel centro della città, è stata pesantemente danneggiata dai raid israeliani. Dice, scoraggiato:
Non ce la faccio più. Restare qui significa morire. Devo trovare un modo per andare in Europa ed ottenere il diritto d’asilo. Qui rischiamo la vita! I palestinesi sono solo numeri, carne da cannone. Per quale motivo ci trattano così? Siamo degli esseri umani!
Nel giro di 10 giorni, sono almeno 40 le persone uccise in Cisgiordania, tra cui 21 adulti e 5 bambini nella sola Jenin, secondo i dati pubblicati dal sito web Shireen, un osservatorio che documenta i presunti crimini di guerra di Israele1. Tra le vittime c’è Mohamed Mahmoud Abdullah Hamo, 13 anni, che stava consegnando del pane agli abitanti del campo, e Tawfiq Qandeel, 83 anni. La foto di Tawfiq, con una kefiah avvolta intorno alla testa, diventata poi virale sui social dopo la diffusione di un filmato che mostra il suo corpo schiacciato dai tank israeliani, ha suscitato una forte emozione.
“L’attacco deliberato ai giornalisti”
Il 3 settembre 2024, un gruppo di giornalisti a bordo di tre veicoli della stampa è arrivato nel villaggio di Kafr Dan, a otto chilometri da Jenin, per coprire l’attacco che è costato la vita a Lujin Osama Abdel Raouf Musleh, una ragazza palestinese di 16 anni. Secondo le testimonianze, i soldati israeliani hanno ostacolato l’arrivo dell’ambulanza, impedendo così di prestarle soccorso.
Alcuni addetti stampa dicono di essere stati deliberatamente presi di mira dall’esercito: “Volevano fare la stessa cosa che hanno fatto con Shireen Abu Aqla”, racconta il giornalista freelance Yazan Hamayel, riferendosi all’omicidio della giornalista di Al-Jazeera il 22 maggio 2022, mentre stava coprendo per il canale qatariota un raid israeliano nel campo di Jenin. Secondo la sua testimonianza, un cecchino ha aperto il fuoco sui tre veicoli, ferendo lui e quattro suoi colleghi. I giornalisti sono poi riusciti ad allontanarsi dal luogo della sparatoria. Uno di loro, Muhammad Mansour, 32 anni, fotografo dell’agenzia di stampa ufficiale palestinese Wafa, precisa:
Avevamo le protezioni che ogni giornalista indossa in una zona di guerra, vale a dire l’elmetto e il giubbotto. La nostra auto aveva l’insegna “stampa”. Nonostante ciò, siamo stati colpiti da circa cinque proiettili, uno dei quali mi ha perforato la mano. Ho dovuto subire un innesto osseo.
Scortati dalla Mezzaluna Rossa Palestinese, i giornalisti sono stati trattenuti dai soldati per 40 minuti fuori dall’ospedale Ibn Sina di Jenin, prima di poter entrare per ricevere le cure. Difatti, i soldati pretendevano di “verificare le nostre identità, malgrado il nostro equipaggiamento da lavoro. Uno di loro poi ha sequestrato la chiave dell’ambulanza e ci ha tenuti rinchiusi in macchina in sei: tre giornalisti e tre membri dello staff medico”, racconta Yazan Hamayel.
Infine, venerdì 6 settembre, c’è stato il ritiro delle truppe israeliane. Questo raid però rientra nell’escalation di violenze compiute in Cisgiordania dopo il 7 ottobre, e che ha già provocato la morte di quasi 700 palestinesi, di cui 187 nella sola città di Jenin.
1“Martiri di Palestina, anno 2024”, Shireen.