Diplomazia

Parlamento europeo. Qatargate? No, Marocgate

Il Marocco ha affidato la gestione della propria rete d’influenza ai servizi segreti esterni, innescando un dibattito nel Parlamento UE sulle accuse di corruzione e interferenze straniere di Rabat, proprio quando alla plenaria del 19 gennaio è stata approvata, per la prima volta dopo 25 anni, una risoluzione che critica la situazione dei diritti umani nel paese nordafricano.

Pier Antonio Panzeri durante una sessione plenaria al Parlamento europeo (2019).
Marc Dossmann/Unione europea/AFP

Nell’autunno 2021, novanta eurodeputati, membri delle commissioni Affari esteri e Sviluppo del Parlamento europeo, hanno dovuto, come ogni anno, nominare i tre candidati selezionati per il premio Sacharov per la difesa dei diritti umani, il riconoscimento più prestigioso tra quelli assegnati dalle istituzioni europee. Al primo turno, sono arrivate ex aequo due candidate: Jeanine Añez, l’ex presidente della Bolivia, nominata dal partito spagnolo di estrema destra Vox per conto del Gruppo dei Conservatori e Riformisti (ECR), e l’attivista saharawi Sultana Khaya, appoggiata dai Verdi (PVE) e dal Gruppo della Sinistra (GUE). La prima delle due candidate sta scontando una pena detentiva nel suo Paese per “terrorismo, sedizione e complotto” in seguito al golpe che ha portato alle dimissioni dell’ex presidente Evo Morales nel novembre 2019. La seconda è stata costretta, nell’ottobre 2021, ai domiciliari per un anno nella sua casa di Boujdour (Sahara occidentale) e ha denunciato di essere stata stuprata, insieme alla sorella, dalle forze di sicurezza marocchine.

Per decidere tra le due candidate arrivate in parità è stata necessaria una nuova votazione in modo che l’una o l’altra rientrasse nella rosa dei/lle tre selezionati/e che avevano la possibilità di ricevere il premio. Tonino Picula, ex ministro socialista croato, ha quindi inviato una mail urgente a tutti i parlamentari del suo gruppo, chiedendo di sostenere la candidatura di Jeanine Añez. Non si è trattato di un’iniziativa personale. L’ex ministro ha precisato di aver scritto la mail a nome di Pedro Marqués, eurodeputato portoghese e vicepresidente del gruppo socialista, che, a sua volta, aveva agito presumibilmente su indicazione della presidente del gruppo, la spagnola Iratxe García Pérez. Dopo il secondo turno di votazioni, la vittoria è andata quindi a Jeanine Añez.

I socialisti bloccano le risoluzioni sui diritti umani

L’episodio rivela quante siano state le concessioni fatte, per decenni, al Marocco da parte del Parlamento europeo. I socialisti, soprattutto spagnoli e francesi, ma anche un buon numero di conservatori, hanno avuto sempre più attenzioni nei confronti della monarchia alawita. Mentre molti paesi terzi sono stati oggetto di risoluzioni aspramente critiche sulle violazioni dei diritti umani, il Marocco, a partire dal 1996, è stato sempre risparmiato. “Durante questi lunghi anni, i socialisti hanno sistematicamente bloccato ogni dibattito o risoluzione in seduta plenaria che potesse disturbare anche solo minimamente il Marocco”, lamenta Miguel Urban, deputato del Gruppo della Sinistra.

Solo in casi molto rari, sono arrivate accuse a Rabat per la politica migratoria. Ci sono voluti più di 10.000 immigrati marocchini irregolari, 20% dei quali minorenni, entrati nella città spagnola di Ceuta il 17 e 18 maggio 2021, per far sì che il Parlamento europeo si decidesse a votare, il 10 giugno 2021, una risoluzione per invitare il Marocco a smettere di fare pressione nei confronti della Spagna. L’iniziativa non è partita dai socialisti o dai conservatori, ma da Jordi Cañas, eurodeputato spagnolo di Renew Europe (liberali). La risoluzione ha ottenuto 397 voti a favore, 85 contrari e un numero insolitamente alto di astenuti (196). Tra gli astenuti e i contrari figurano anche alcuni deputati francesi.

Una rete di corruzione

Dietro la lunga lista di voti favorevoli agli interessi del Marocco, che ha impedito di affrontare questioni scomode sui diritti umani o su temi più concreti come gli accordi in materia di pesca e d’associazione, non c’è solo la rete di corruzione che la stampa chiama “Qatargate”, anzi sarebbe meglio parlare, cronologicamente, di “Marocgate”. C’era, soprattutto, la convinzione diffusa tra gli eurodeputati che il Marocco avesse un forte interesse a rafforzare il partenariato con l’Unione europea, dal momento che è il paese nordafricano, e del mondo arabo, più vicino all’Occidente e quello con dei valori e un sistema politico più simili a quelli di un paese democratico.

A quanto pare, non vi era alcuna necessità quindi di mettere in piedi una rete di corruzione quando la cosa era praticamente già scritta. Eppure, è ciò che il regno ha fatto per una decina di anni, stando alle indiscrezioni trapelate dall’inchiesta condotta, da luglio 2022, dal belga Michel Claise, giudice istruttore specializzato nella lotta alla criminalità finanziaria, e pubblicate dalla stampa belga e italiana a partire da metà dicembre. “Il Marocco non si accontentava del 90%, voleva il 100%”, secondo la stessa versione fornita dagli eurodeputati spagnoli Miguel Urban, del Gruppo della Sinistra, e Ana Miranda, dei Verdi.

Il meccanismo del Marocgate nasce nel 2011 quando l’eurodeputato socialista italiano Pier Antonio Panzeri stringe rapporti con Abderrahim Atmoun, deputato marocchino di Autenticità e modernità, partito filo-monarchico fondato dal principale consigliere del re Mohamed VI, e copresidente della Commissione parlamentare mista Marocco-UE fino al giugno del 2019. In quello stesso anno, Atmoun viene nominato ambasciatore del Marocco a Varsavia.

Le rivelazioni di Wikileaks

Le rivelazioni di quella che è stata definita la Wikileaks marocchina dimostrano quanto, a fine 2014, le autorità marocchine considerassero Panzeri un uomo fidato. Sono centinaia le mail e i documenti riservati della diplomazia marocchina e dei servizi segreti esterni (Direzione Generale per gli Studi e la Documentazione) poi diffusi su Twitter da un profilo anonimo che si faceva chiamare Chris Coleman (@chris_coleman24). Oggi si conosce chi si celava dietro l’anonimato: la Direzione Generale per la Sicurezza Esterna (DGSE). In questo modo, i servizi segreti francesi sono riusciti a vendicarsi dei tanti colpi bassi inferti dai loro colleghi marocchini, a cominciare dalla divulgazione ad opera di Le 360, quotidiano vicino al palazzo, del nome del capo dell’intelligence francese a Rabat.

In questi cablogrammi diplomatici marocchini, Panzeri viene descritto come “un alleato per combattere il crescente attivismo dei nostri nemici in Europa”. Per tale ragione, l’eurodeputato ha ricoperto incarichi chiave presso il Parlamento, come quello di presidente della delegazione per i rapporti con i paesi del Maghreb e della sottocommissione per i diritti umani. Secondo le indagini del giudice Claise, Panzeri avrebbe coinvolto l’ex moglie e la figlia, ma soprattutto Eva Kaili, vicepresidente socialista dell’Europarlamento, e Francesco Giorgi, suo ex assistente parlamentare e compagno dell’eurodeputata greca. Panzeri è stato il primo ad ammettere, durante un interrogatorio nel dicembre 2022, di aver lavorato per il Marocco. Martedì 17 gennaio, l’ex eurodeputato ha firmato un memorandum con il procuratore federale (previsto dalla legge belga sui pentiti1) in cui si impegna a rendere “dichiarazioni sostanziali, rivelatrici, veritiere e complete” nell’ambito dell’indagine in corso sulla corruzione.

La magistratura belga ha chiesto anche la revoca dell’immunità parlamentare di altri due eurodeputati socialisti, il belga Marc Tarabella e l’italiano Andrea Cozzolino, che aveva in parte sostituito Panzeri nelle due sottocommissioni da lui presiedute. L’ex europarlamentare si era mostrato anche molto attivo, proprio come Eva Kaili, all’interno della commissione parlamentare d’inchiesta su Pegasus e altri spyware che riguardano da vicino il Marocco. “Kaili ha provato a frenare le indagini sul software Pegasus”, secondo quanto sostiene, in un’intervista al quotidiano italiano Domani del 19 dicembre, Sophie in’t Veld, eurodeputata liberale olandese, che ha stilato il rapporto della Commissione PEGA2 sul software spia.

Secondo il quotidiano belga De Standaard, la “cricca di Panzeri”, composta da altri membri non ancora resi noti, avrebbe ricevuto 50mila euro per ogni emendamento anti-Marocco bloccato. Cifra che appare modesta rispetto a quella che sarebbe stata pagata da Ali bin Samikh Al-Marri, ministro di Stato del Qatar, per migliorare l’immagine dell’emirato in procinto di ospitare il Campionato mondiale di calcio a Doha. La maggior parte del milione e mezzo di euro in contanti sequestrato dalla polizia federale belga durante le perquisizioni effettuate a metà dicembre proverrebbe dal Qatar. A quanto pare, l’emirato avrebbe utilizzato la rete creata da Panzeri, che ha continuato a funzionare anche dopo la mancata rielezione del parlamentare alle elezioni europee del 2019. Per raggiungere l’obiettivo, Panzeri, non eletto dopo tre legislature, aveva fondato anche una finta Ong a Bruxelles, la Fight Impunity.

Dagli stralci dei verbali d’inchiesta pubblicati dalla stampa, Vincent Van Quickenborne, ministro belga della Giustizia, ha lasciato intendere, il 14 dicembre scorso, il coinvolgimento in questa rete del Marocco, senza tuttavia nominarlo espressamente. Il ministro ha fatto una chiara allusione a un paese che ha cercato di esercitare la propria influenza sui negoziati di pesca dell’UE, ma è proprio con il Marocco che la Commissione ha firmato il suo più grande accordo, come sulla gestione del culto musulmano in Belgio, dove gli immigrati marocchini costituiscono la più grande comunità musulmana.

Il passaggio di testimone ai servizi

Nel 2019, Abderrahim Atmoun, il politico marocchino diventato ambasciatore, viene relegato in secondo piano. Il testimone passa al DGED, il servizio di intelligence marocchino all’estero, che inizia a controllare direttamente la rete Panzeri, secondo le informazioni raccolte dalla stampa belga. In pratica, ad assumere il ruolo guida è l’agente Mohamed Belahrech, nome in codice M118. Sembra, infatti, che Panzeri e Cozzolino si siano recati separatamente a Rabat per incontrare lì Yassine Mansouri, direttore del DGED, l’unico servizio segreto marocchino a far capo direttamente al palazzo reale.

Belahrech era già noto ai servizi spagnoli e francesi. Secondo il quotidiano El Mundo, sua moglie, Naima Lamalmi, aveva aperto, nel 2013, un’agenzia di viaggi, la Aya Travel, a Mataró, vicino Barcellona. Poi, lo ritroviamo a Parigi, nel 2015, dove la spia marocchina riesce a ottenere dei fascicoli riservati (“S”) su persone sospettate di atti di terrorismo, che passano tra le mani di un capitano della polizia di frontiera in servizio all’aeroporto di Orly, stando a quanto riporta il quotidiano Libération.

Le spie marocchine infiltrate negli ambienti parlamentari di Bruxelles cominciano ad attirare rapidamente l’attenzione di altri servizi di intelligence europei. Vincent Van Quickenborne ha confermato che l’indagine è stata inizialmente condotta dalla Sicurezza di Stato, il servizio di intelligence civile belga, con la collaborazione di alcuni “servizi stranieri”. Il 12 luglio 2022, il fascicolo è stato poi consegnato alla procura federale. Secondo Il Sole 24 Ore, la partnership strategica è stata condotta da italiani, francesi, polacchi, greci e spagnoli che hanno collaborato con grande impegno con l’intelligence belga.

Quest’ultima, proprio come l’intelligence francese, aveva dei conti in sospeso con il Marocco. Nel 2018, i servizi avevano già scoperto un’altra operazione di infiltrazione della DGED nel Parlamento europeo attraverso la presunta spia marocchina, la signora Kaoutar Fal. È stato l’eurodeputato francese Gilles Pargneaux ad aprirle le porte dell’Istituzione per organizzare una conferenza sullo sviluppo economico del Sahara occidentale. Alla fine, la spia è stata espulsa dal Belgio nel luglio dello scorso anno, perché rappresentava una “seria minaccia per la sicurezza nazionale”, oltre a raccogliere “informazioni a beneficio del Marocco”, secondo il comunicato della Sicurezza di Stato. A gennaio 2022, c’è stata un’altra espulsione: quella dell’imam di origine marocchina Mohamed Toujgani, che predicava nel quartiere multietnico di Molenbeek, a ovest del centro di Bruxelles. A quanto pare, l’imam capo della moschea Al Khalil stava cercando di influenzare le comunità musulmane in Belgio per conto della DGED.

Se la rete Panzeri aveva funzionato senza problemi a servizio del Marocco quando era in apparenza gestita da Abderrahim Atmoun, che bisogno c’era di ricorrere, quattro anni fa, a uomini che operavano dietro le quinte per pilotarla, con il rischio di attirare l’attenzione dei servizi europei? Aboubakr Jamai, direttore del programma di relazioni internazionali dell’Istituto americano universitario di Aix-en-Provence, prova a dare una spiegazione: “È il Marocco a incoraggiare i servizi segreti”. “La diplomazia viene svolta dal controspionaggio e da altri servizi interni. Lo Stato profondo, il makhzen3, è oggi ridotto alla sua forma essenziale: la sicurezza. E la sicurezza non va tanto per il sottile quando si tratta di portare avanti la politica estera del regno. Il ministro degli Esteri marocchino, Nasser Bourita, ha espresso il suo punto di vista sullo scandalo che ha investito l’Europarlamento. Secondo la dichiarazione del ministro, nel corso di una conferenza stampa che si è tenuta il 5 gennaio a Rabat assieme all’Alto rappresentante dell’UE per gli Affari Esteri, Josep Borrell, il Marocco deve affrontare “continue vessazioni e ripetuti attacchi mediatici [...] da persone e organizzazioni preoccupate dal fatto che il Paese sta rafforzando la propria leadership”. Borrell non ha esitato a replicare: “Siamo preoccupati per gli avvenimenti riportati dalla stampa”. “La questione desta sgomento e le accuse sono gravi. Ma la posizione dell’Ue è chiara: non può esserci impunità per la corruzione. Tolleranza zero, ovunque si verifichi”.

Le dichiarazioni di Josep Borrell non hanno fatto che anticipare un nuovo cambio di rotta, quello del Parlamento europeo. Il 12 gennaio, la conferenza dei presidenti dei gruppi parlamentari ha approvato la presentazione di una risoluzione che esorta il Marocco a rispettare la libertà dei media e a garantire processi equi ai giornalisti reclusi, in particolare ai tre più influenti: Omar Radi, Suleiman Raissouni e Taoufik Bouachrine. Per la prima volta, dopo più di 25 anni, nell’emiciclo dell’Europarlamento è stata votata il 19 gennaio una risoluzione, che non riguarda la sua politica migratoria, contro il primo partner arabo dell’UE. Preceduta però, martedì 17, da un altro dibattito, sempre in seduta plenaria, sui “nuovi sviluppi delle accuse di corruzione e interferenza straniera, comprese quelle riguardanti il Marocco”. Per il Marocco, sembra davvero finito il tempo dell’impunità.

1La legge belga sui pentiti, applicata per l’accordo tra l’ex eurodeputato Antonio Panzeri e la procura federale di Bruxelles, è regolata dall’articolo 216 del Codice di procedura penale. Prevede che “se le necessità dell’indagine lo richiedono e se gli altri mezzi di indagine non sembrano sufficienti a rivelare la verità, il pubblico ministero può fare promessa, nell’ambito dell’esercizio dell’azione pubblica, dell’esecuzione della pena o della detenzione a chiunque renda dichiarazioni sostanziali, rivelatrici, veritiere e complete circa la partecipazione di terzi e, ove applicabile, la propria partecipazione, in relazione ai reati commessi o fatti oggetto di un tentativo” [NdT].

2Commissione europea d’inchiesta incaricata di esaminare l’uso di Pegasus e di spyware di sorveglianza equivalenti [NdT].

3Nel linguaggio corrente col sostantivo makhzen si identifica il regime marocchino, costituito dal re e dal suo entourage [NdT].