Intervista

Per i Curdi d’Iran, “il grido per la democrazia è anche un grido di liberazione”

Asso Hassan Zadeh, figura politica del Kurdistan iraniano, è convinto che l’onda lunga della rivolta all’interno della società iraniana provocata dalla morte di Mahsa Amini sia destinata a durare. Opponendosi al regime, i Curdi d’Iran proseguono contemporaneamente quella ricerca di libertà tanto radicata nella storia di questo popolo.

Manifestazione dei curdi iracheni e iraniani in seguito alla morte di Mahsa Amini, davanti agli uffici delle Nazioni Unite a Erbil, 24 settembre 2022.
Safin Ahmed/AFP

La morte di Jina (Mahsa) Amini, una ragazza curda di 22 anni ‒ avvenuta il 16 settembre 2022 presso una stazione della “polizia morale” di Teheran ‒ ha scatenato movimenti di protesta in tutto l’Iran. Dopo aver espresso il rifiuto delle costrizioni imposte dai mullah alla società iraniana e, in particolare, alle donne, questi movimenti si sono trasformati in una sfida al regime. Abbiamo chiesto ad Asso Hassan Zadeh, ex vice-segretario generale del Partito Democratico del Kurdistan Iraniano (PDKI), figura ancora attiva nel partito, il suo punto di vista sulla situazione e, in particolare, sulla posizione dei curdi in questo conflitto tra il potere degli ayatollah e il popolo iraniano.

Jean Michel Morel. — Come valuta la possibile abolizione della polizia morale? Si tratta di un tentativo da parte del regime di dividere il movimento tra quelli che potrebbero ritenersi soddisfatti di questo provvedimento e quelli che hanno come obiettivo la fine del potere islamico?

Asso Hassan Zadeh. — L’abolizione della polizia morale non è mai stata tra le richieste dei manifestanti. È vero che la morte di Jina (Mahsa) Amini per mano della “polizia morale” a Teheran e, più in generale, la situazione delle donne sono state la causa scatenante del movimento. Ma né all’inizio, né soprattutto ora, il problema principale è stato solo quello delle restrizioni imposte alle donne. Se consideriamo la portata del movimento, la diversità della sua base sociale e la forza dirompente degli slogan e delle rivendicazioni espresse, è in gioco la lotta di un intero popolo per avere il completo riconoscimento dei diritti umani e delle libertà fondamentali. Un riconoscimento che, dopo quasi 44 anni di dispotismo di un regime repressivo e corrotto, può essere raggiunto solo attraverso la fine di questo regime.

Eppure, l’annuncio dell’abolizione è di per sé una piccola vittoria per il movimento perché per la prima volta le autorità si dicono pronte a fare marcia indietro su una questione estremamente importante dal punto di vista simbolico e ideologico. Ma questo non avrà ripercussioni sulla determinazione dei popoli dell’Iran, tanto più che sono circolate dichiarazioni contraddittorie da parte delle autorità del regime sulla reale portata dello stesso provvedimento. La gente non crede più a questo genere di tattiche, soprattutto perché, allo stesso tempo, la repressione si sta intensificando.

J. M. M.La proclamazione di uno sciopero generale – conclusosi mercoledì 7 dicembre 2022 con la Giornata nazionale degli studenti – segna un cambiamento significativo nei rapporti di forza tra il regime e il movimento di protesta? Stiamo passando da una rivolta alle premesse di una rivoluzione?

A. H. Z. — Sì, è proprio così. Lo sciopero che c’è stato in più di cinquanta città ne è un perfetto esempio. Solo una decina di giorni fa e malgrado l’unità raggiunta, la proclamazione di uno sciopero generale in Iran in segno di solidarietà con il Kurdistan non aveva ricevuto l’effetto sperato. Ma questa volta sì, lo sciopero generale è stato un successo. Per la prima volta, i manifestanti hanno occupato piazza della Libertà (Maydan-e-Azadi) a Teheran, luogo simbolo del cambiamento rivoluzionario. Gli iraniani continuano a manifestare/esprimere la propria volontà in tutti i modi possibili. Ci possono essere alti e bassi, il movimento può ancora soffrire di alcuni limiti, soprattutto la mancanza di una piattaforma politica alternativa che, in Iran o nell’opposizione all’estero, sia in grado di riunire tutte le forze favorevoli al cambiamento, ma una cosa è certa: il movimento andrà avanti. Detto questo, il potere teocratico non ha ancora giocato tutte le sue carte e continua ad avere i mezzi per attuare una repressione ancora più dura.

J. M. M.In questo contesto, che peso hanno le posizioni critiche di alcuni chierici del regime come Ali Larijani, l’ex presidente del parlamento, il riformista Asadollah Bayat-Zanjani o l’ayatollah Javad Alavi-Boroujerdi a cui si sono aggiunti da poco anche i figli della nomenclatura come Faezeh Hashemi, figlia dell’ex presidente Akbar-Hashemi Rafsanjani, o Farideh Moradkhani, nipote di Ali Khamenei?

A. H. Z. — Dal punto di vista degli iraniani che amano la libertà e il cambiamento, sono dichiarazioni che non cambieranno nulla. Sotto questo regime, abbiamo già visto e sentito dichiarazioni o manovre di questo tipo da parte di membri delle autorità (di ogni rango). Ciò ha portato alcuni, specialmente nelle cancellerie occidentali, a credere che il regime potesse ascoltare la voce del popolo e riformarsi. Cosa che non è mai successa. Eppure, queste dichiarazioni mostrano che le differenze interne al regime stanno crescendo e che, a lungo termine, potrebbero portare a defezioni ancor più significative. Questa è ovviamente una buona cosa perché permetterebbe di accelerare il percorso che porta al cambiamento, oltre a ridurne il costo in termini di vite umane.

J. M. M.Il Kurdistan iraniano (compresa la provincia del Sistan e Balucistan) è stato oggetto di una repressione particolarmente violenta da parte delle Guardie della rivoluzione islamica. Questa regione, il cui sviluppo è stato trascurato dal governo, si è ribellata in più occasioni, chiedendo la sua autonomia. Può definirne i principi e i tratti fondamentali? È arrivato il momento di portare avanti questa rivendicazione?

A. H. Z. — Dalla creazione del PDKI alla fine della Prima guerra mondiale e dalla fondazione della Repubblica a Mahabad, i principali partiti politici curdi, considerando anche il Kurdistan iraniano come parte integrante di un’unica nazione curda con il diritto all’autodeterminazione, hanno voluto raggiungere una soluzione politica nel contesto di un Iran democratico. Che si scelga l’autonomia (come chiedevano in passato) o il federalismo (come chiedono oggi), l’essenza delle loro rivendicazioni politiche rimane la stessa: i curdi dell’Iran, pur partecipando al governo democratico dell’intero paese, devono poter essere in grado di autogovernarsi, rispettando i diritti delle minoranze che vivono sul loro territorio storico.

L’attuale movimento è partito dal Kurdistan. I curdi d’Iran rappresentano l’avanguardia del movimento, i loro obiettivi (democrazia, parità di genere, laicità) e il loro livello di organizzazione sono d’ispirazione per tutto il popolo iraniano (anche se la visione della maggioranza dell’opposizione iraniana per il futuro dell’Iran è ancora molto lontana dalla nostra). Ma questo non è il momento delle divisioni o delle polemiche. La nostra priorità è tutelare e rafforzare l’unità mai raggiunta prima di tutti gli iraniani. Ma unità non significa cancellare le differenze. Non vogliamo più l’ennesimo tentativo di costruire un’identità “nazionale” iraniana a scapito dell’identità distinta delle diverse componenti della società (dove nessun gruppo etnico è maggioritario). Il pluralismo democratico deve passare per il riconoscimento del pluralismo etnico-culturale. Perciò, in realtà, pur facendo parte del movimento generale per il cambiamento, i curdi vogliono cogliere quest’occasione per riaffermare la questione della loro identità. Durante le manifestazioni e i funerali dei suoi martiri, il popolo curdo non solo ribadisce il suo rifiuto del regime, ma sottolinea anche le sue peculiarità e la sua storica ricerca di libertà. Il suo grido per la democrazia in Iran è prima di tutto un grido per la liberazione del popolo curdo. E spesso, questo grido si manifesta in maniera ancor più radicale rispetto al discorso politico dei partiti politici curdi, dal momento che è in gioco la fine dell’occupazione e del colonialismo.

J. M. M.Come possono dei partiti curdi come il PDKI e il Komala (di recente unificati), che hanno i leader e un bel po’ di militanti rifugiati nel Kurdistan iracheno, contribuire alla lotta contro i mullah? Malgrado siano vietati in Iran, hanno dei sostenitori?

A. H. Z. — Al fine di rompere l’unità degli iraniani e distogliere l’attenzione pubblica, nelle ultime settimane, le Guardie della rivoluzione islamica hanno lanciato missili e droni contro le basi dei partiti politici curdi iraniani nel Kurdistan iracheno. I pasdaran1 stanno persino pianificando delle incursioni militari nel Kurdistan iracheno. Eppure, i partiti curdi iraniani non hanno inviato i peshmerga2 in Iran, né fornito armi ai manifestanti. Il fatto che vengano uccisi senza potersi difendere è la prova lampante dell’infondatezza di queste accuse. La priorità dei partiti curdi iraniani è dare al movimento di protesta del popolo curdo la possibilità di andare avanti, restando in contatto con quello dell’intero Iran. Gli attacchi contro le basi dei partiti curdi iraniani nel Kurdistan iracheno confermano il loro radicamento e la loro capacità di mobilitazione tra la popolazione. Anche se vietati in Iran, questi partiti contano centinaia di migliaia di militanti e sostenitori nel paese. Ogni volta che il Centro di cooperazione dei partiti politici del Kurdistan iraniano3 ha chiesto alla popolazione di fare uno sciopero generale, l’appello è stato seguito in massa.

J. M. M.A quanto pare, i giovani curdi iraniani stanno andando nella direzione del governo regionale del Kurdistan (GRK) per unirsi alla guerriglia del PDKI. È il partito a incoraggiarli nonostante campi profughi come Jezhnikan e Zarguiz o città come Koysinjaq (Koya, in curdo) siano stati oggetto di pesanti e sanguinosi bombardamenti da parte dell’aviazione iraniana? Inoltre, non c’è il timore di un rovesciamento della situazione da parte delle autorità del GRK – o almeno dell’Unione patriottica del Kurdistan (PUK) i cui legami con l’Iran sono comprovati – che potrebbe mettere in grande difficoltà i partiti curdi in esilio?

A. H. Z. — Il diritto, o meglio il dovere elementare di un movimento di opposizione è quello di sensibilizzare la popolazione – specialmente le giovani generazioni – alla sua causa e di mobilitarla con mezzi legittimi attorno al suo progetto politico. Per i giovani curdi iraniani, attraversare il confine per unirsi ai partiti politici curdi iraniani nel Kurdistan iracheno è un fenomeno spontaneo, di certo non nuovo. È vero che il regime iraniano ha intensificato gli sforzi con le autorità irachene, a Baghdad come a Erbil e Sulaymaniyya, per limitare ancor di più il margine di manovra dei partiti curdi iraniani. Tuttavia, per due decenni e mezzo, l’opposizione curda iraniana si è astenuta dal condurre, dal territorio curdo iracheno, qualsiasi attività militare contro il regime iraniano e ha sempre badato a non fornirgli alcun pretesto per compromettere la sovranità irachena e la stabilità del governo regionale del Kurdistan (GRK). In sostanza, ciò che il regime iraniano teme innanzitutto non è il potenziale bellico dell’opposizione curda, ma proprio il suo linguaggio politico che, con gli attuali mezzi di comunicazione, non riusciranno in nessun caso a mettere a tacere.

J. M. M.Si è parlato di un rafforzamento della presenza militare iraniana lungo il confine Iran-Kurdistan-Iraq

A. H. Z. — È probabile che il regime iraniano lanci un’operazione militare nel Kurdistan iracheno contro i partiti curdi. Se ciò dovesse accadere, logicamente i peshmerga del GRK dovranno difendere il loro territorio da ogni aggressione esterna. Ma la prima cosa che le autorità curde irachene potrebbero e dovrebbero fare è usare mezzi politici e diplomatici per impedire al regime iraniano di fare danni irreparabili. Per quanto riguarda i partiti curdi iraniani, non sono nella posizione di prevedere o rivelare la loro reazione in caso di un attacco di terra contro le loro basi nel Kurdistan iracheno. Tutto quello che posso dire è che la posizione di principio del PDKI di non riprendere la lotta armata e aiutare il movimento popolare all’interno dell’Iran resta sempre valida.

J. M. M.Il movimento, che era iniziato con il grido di “Donna, Vita, Libertà” (“Jin, Jiyan, Azadï” in curdo), ha portato rapidamente alla contestazione del regime, ma manca un leader, e non c’è alcun programma alternativo. Il PDKI sta prendendo in considerazione la proposta di una piattaforma programmatica relativa a un processo sulle sorti politiche del movimento?

A. H. Z. — È finito il tempo in cui i popoli avevano bisogno di un leader carismatico per portare avanti la loro marcia rivoluzionaria. Del resto, è meglio così, sapendo ciò che hanno fatto molti leader carismatici della nostra regione del loro capitale politico prerivoluzionario. Abbiamo bisogno, invece, di un minimo di quadro politico comune e di una tabella di marcia per guidare tutte le forze del cambiamento verso un risultato comune. Ma i partiti politici curdi in Iran non approveranno un cambiamento politico che non tenga conto dell’esistenza, della visione e dell’interesse delle identità etniche oppresse, soprattutto dei curdi.

J. M. M.Cosa pensa della reazione internazionale alla situazione in Iran?

A. H. Z. — L’ingerenza del regime iraniano in altri paesi e le sue manovre destabilizzanti nella regione e fuori sono sempre state percepite da questo regime come un mezzo per garantire la propria sopravvivenza. Per decenni, l’apprensione della comunità internazionale, in particolare dell’Occidente, nei confronti dell’Iran è stata rivolta solo a questioni di sicurezza, inclusa quella nucleare, senza tener conto della situazione nel Paese e delle richieste del popolo iraniano. Oggi stiamo assistendo a un’ondata di solidarietà internazionale mai vista prima. Questa è la prova che la Repubblica islamica rappresenta un problema per il mondo intero e che i valori per cui gli iraniani si stanno battendo sono gli stessi che contano per il futuro di tutti.

Fino a questo momento, è stata una solidarietà internazionale relativa alla società civile o al parlamento. I governi stranieri, soprattutto in Europa e negli Stati Uniti, hanno iniziato però a intraprendere azioni concrete contro il regime. Ma, sia dal punto di vista dei valori che da quello degli interessi a lungo termine, ci aspettiamo molto di più dai loro governi (soprattutto da quello francese) per isolare il regime e sostenere il popolo iraniano. Al di là delle sanzioni che non hanno mai fatto cadere alcuna dittatura, c’è tutta una serie di misure di cui dispongono gli Stati, ad esempio il completo isolamento diplomatico del regime dei mullah, cominciando a trattare direttamente con i veri rappresentanti degli iraniani, soprattutto le forze laiche e democratiche, inclusi i partiti curdi. Perché per l’Afghanistan dei talebani o per la Siria di Bashar al-Asad è stato possibile interrompere le relazioni diplomatiche, accettando le forze d’opposizione come interlocutori, e non lo si può fare per l’Iran? Adottare queste misure non comporterebbe rischi maggiori rispetto alla scelta di portare avanti questo status quo.

PARTITI CURDI IRANIANI

Partito Democratico del Kurdistan dell’Iran (PDKI) creato nel 1945.
Komala, organizzazione rivoluzionaria dei lavoratori del Kurdistan dell’Iran, fondata nel 1969. Sia il PDKI che il Komala hanno avuto scissioni all’inizio e alla metà degli anni 2000. Pochi mesi dopo, le rispettive fazioni dei due partiti sono state riunite:
Komala, Organizzazione curda del partito comunista dell’Iran, creata nel 1983;
Partito della vita libera in Kurdistan (PJAK), fondato nel 2004, vicino al Partito dei lavoratori del Kurdistan turco (PKK);
Partito per la libertà del Kurdistan (PAK), creato nel 2003;
Khabat (Organizzazione di lotta del popolo del Kurdistan), fondata nel 1981, partito islamico moderato vicino ai Mujaheddin del Popolo.

1Abbreviazione per il Corpo delle guardie della rivoluzione islamica.

2Letteralmente “coloro che affrontano la morte”, sono i combattenti delle forze armate del Kurdistan iracheno.

3Struttura di coordinamento e azione comune dell’opposizione curda in Iran. Creato nel 2017, il centro era originariamente composto da cinque partiti membri: le due ali del partito PDKI e del Komala nonché dal Khabat. Dopo l’uscita del Khabat e le riunificazioni avvenute quest’anno, il Centro conta oggi solo il PDKI e il Komala. Sono in corso delle trattative per ampliarlo.