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Turchia. Elezioni a rischio per Erdoğan

Gli elettori turchi saranno chiamati a votare nello stesso giorno per le presidenziali e le politiche, e questo rende particolarmente importanti le elezioni che si terranno il prossimo 14 maggio 2023. La crisi economica, la corruzione e l’incapacità del governo nel gestire l’emergenza del terremoto del febbraio 2023 indeboliscono la posizione del presidente uscente Recep Tayyip Erdoğan e dei suoi sostenitori. Una rassegna dettagliata di tutte le forze in campo.

Manifestazione a sostegno del presidente del Partito popolare repubblicano (CHP) e candidato alla presidenza Kemal Kılıçdaroğlu a Kocaeli il 28 aprile 2023.
Yasin Akgul/AFP

Alla luce dell’attuale scenario politico, le elezioni politiche che si terranno in Turchia il 14 maggio 2023 rischiano di portare a una sconfitta di Recep Tayyip Erdoğan, al potere con il suo partito "Giustizia e Sviluppo) (Akp) dal 2002. Dopo aver perso le principali città nelle elezioni amministrative del 2019, la possibilità di una sconfitta del regime è sempre più alta per la negligenza dello Stato nella gestione dell’emergenza del terremoto del 6 febbraio, che ha causato più di 50.000 morti solo in Turchia. Già nel 1999, dopo il terremoto nel mare di Marmara, lo spettacolo penoso dell’incapacità delle istituzioni corrotte di far fronte alle conseguenze materiali e umane di quel disastro aveva portato all’ascesa al potere dell’AKP.

Per comprendere l’attuale sfida elettorale, va tenuto presente che dopo un periodo di crescita grazie a una maggiore integrazione nel capitalismo mondiale con un’economia orientata all’esportazione industriale, la Turchia è stata fortemente scossa dalla crisi del 2008. Una recessione che è andata crescendo negli ultimi anni a causa di una politica economica altalenante e di corto respiro.

Dopo la crisi del 2008, il governo dell’AKP ha virato sempre più verso una deriva autoritaria per le proteste nate dallo sviluppo all’interno della società, a fortiori con il coinvolgimento del regime turco in Siria. Sulla questione curda, che riveste un ruolo centrale in Turchia sin dalla formazione della Repubblica, la repressione è stata per vari anni l’unica risposta del regime, con l’arresto di migliaia di sindaci, leader politici e attivisti del movimento curdo (oltre ad attivisti di sinistra).

Infine, in questi 20 anni, l’AKP è rimasto invischiato in una palude di corruzione mentre il partito stesso, prima efficacissimo apparato politico di massa, è diventato un contenitore vuoto composto da opportunisti che approfittano degli aiuti di Stato e da lobby filo-regime, come la stragrande maggioranza dei media.

In questo contesto, le elezioni generali che si terranno tra pochi giorni assumono una importanza decisiva. Il primo turno delle due elezioni presidenziali e parlamentari ci sarà il 14 maggio. In Turchia, il presidente viene eletto con un sistema maggioritario a doppio turno tra i due candidati che hanno ottenuto il maggior numero di voti se nessun candidato, al primo turno, ottiene più del 50%. Un regime presidenziale forte, soprattutto dopo l’abolizione nel 2018 della carica di Primo Ministro, dove i ministri formano un gabinetto con il Presidente della Repubblica, che gode di ampi poteri. C’è una sola camera, la Grande Assemblea Nazionale Turca, eletta con il voto dei distretti elettorali con alcune norme fondamentali specifiche.

Una campagna elettorale incentrata sulle coalizioni

Il regime del presidente uscente si presenta nelle liste dell’Alleanza Popolare (Cumhuriyet İttifakı), improntata a un nazionalismo autoritario, profondamente neoliberista, fortemente conservatore e contro i diritti delle donne. Una coalizione composta principalmente dal partito di Erdogan, l’AKP (Partito della Giustizia e dello Sviluppo) al potere dal 2002, con 285 deputati uscenti su 600. L’ultranazionalista MHP (Partito del Movimento Nazionalista), principale alleato dell’AKP in parlamento con 48 deputati, è la seconda forza di una coalizione composta anche da vari partiti nazionalisti e conservatori minori.

A sfidare la coalizione del presidente c’è l’Alleanza della Nazione (Millet İttifakı), la cui piattaforma è orientata tendenzialmente a un liberalismo politico anticorruzione e un liberalismo economico attento ai diritti sociali minimi. L’obiettivo dell’alleanza è, in particolare, quello di recuperare 418 miliardi di dollari che, a suo giudizio, sono stati sottratti allo Stato dal regime e dai suoi affiliati. La coalizione si basa sul Partito Popolare Repubblicano (Chp), di centro-sinistra nazionalista, che è il principale partito con 134 deputati. Alla coalizione aderisce anche l’ultranazionalista Il Buon Partito (İYI), che conta 36 parlamentari, oltre a diversi partiti minori.

La seconda alleanza di opposizione, orientata a sinistra, è l’Alleanza del Lavoro e della Libertà (Emek ve Özgürlük İttifakı). Il partito principale è il Partito Democratico dei Popoli (HDP), movimento nazionale curdo e di sinistra, con 57 deputati uscenti.

Infine, c’è l’Alleanza che sostiene il nazionalista Sinan Oğan. Anche Muharrem İnce, dissidente del Partito Popolare Repubblicano (CHP), presenta una propria candidatura indipendente alle presidenziali.

Anche se la determinazione di Erdoğan sembra incrollabile, la sua è una candidatura probabilmente illegittima visto che la Costituzione prevede al massimo due mandati consecutivi. Ciononostante, Erdoğan ritiene che la revisione della Costituzione del 2017 abbia risolto la questione. Inoltre, il presidente uscente non ha mai potuto dimostrare di aver conseguito un titolo universitario, mentre la Costituzione turca prevede che per candidarsi alla presidenza sia necessario possedere almeno un titolo universitario. Questo è un semplice aneddoto su quanto la gran parte della magistratura sia appiattita sulle posizioni del presidente e dei numerosi vantaggi di cui può avvalersi il regime nella competizione elettorale. Inoltre, il regime ha il controllo assoluto dei media del servizio pubblico e il sostegno della stragrande maggioranza di quelli del settore privato.

Le incertezze e le divisioni delle opposizioni

Tuttavia, l’entità della crisi economica e sociale è tale, e lo smarrimento così grande, che la vittoria di Erdoğan sembra tutt’altro che sicura, anche se il regime ha approfittato per un periodo delle incertezze dell’opposizione sulle candidature da presentare alle presidenziali. Il presidente del CHP, Kemal Kılıçdaroğlu, ha voluto, contrariamente alle scadenze precedenti, essere il candidato unico dell’opposizione mentre il suo alleato Il Buon Partito avrebbe preferito il sindaco di Istanbul, Ekrem İmamoğlu o quello di Ankara, Mansur Yavaş, membro di un partito di estrema destra, il Partito del Movimento Nazionalista (MHP) dal 1989 al 2013. Se per Il Buon Partito, il profilo di Kemal Kılıçdaroğlu non era quello “più idoneo”, lo è senza dubbio per la sua identità curda e alevita (sciita eterodossa), in un paese a maggioranza sunnita e dove la “questione curda” fa sempre discutere.

Ma tra il profilo di Ekrem İmamoğlu rafforzato dagli attacchi giudiziari contro di lui da parte del regime e la candidatura di Mansur Yavaş che costituiva un’alternativa inaccettabile per il movimento curdo alla luce del suo passato, la scelta del candidato dell’Alleanza è stata una questione complessa. Tuttavia, la dirigenza del CHP ha finito per convincere i piccoli partiti di destra dell’Alleanza a sostenere Kemal Kılıçdaroğlu, mostrandosi particolarmente generosa nell’offrire seggi per le elezioni parlamentari.

Tutto ciò ha portato alla rottura con il Buon Partito, che ha dichiarato di voler uscire dall’Alleanza nel corso di un duro intervento del suo presidente Meral Akşener. Tuttavia, il presidente e lo stato maggiore avevano totalmente sottovalutato le conseguenze estremamente negative di questa rottura negli ambienti sociali che speravano di chiudere i conti con l’erdoganismo. Per di più, il Buon Partito non aveva alternative per il rifiuto a candidarsi dei sindaci di Istanbul e Ankara, che avevano ribadito la loro lealtà nei confronti della direzione del loro partito. Isolato e messo all’angolo, solo pochi giorni dopo aver lasciato l’Alleanza della Nazione, il Buon Partito ha accettato un nuovo patto che gli permetteva di salvare la faccia e così è tornato, in una posizione più debole, all’interno dell’Alleanza.

L’accordo di governo prevede che il presidente sarà assistito da otto vicepresidenti (il loro numero non è fissato nella Costituzione turca): i sindaci di Istanbul e Ankara, se vorranno farne parte, e un vicepresidente per ogni partito della coalizione (quindi 6 in più). Il numero dei ministri sarà proporzionale al risultato ottenuto alle elezioni parlamentari, garantendo a ciascun partito dell’Alleanza almeno un ministro. Un sistema che concede una rappresentanza eccessiva ai piccoli partiti di destra dell’Alleanza della Nazione. Ad esempio, il Partito Democratico, che alle legislative del 2015 aveva ottenuto lo 0,1%, avrà un vicepresidente e un ministro!

I cavilli del voto parlamentare

Questa elezione avviene con il voto di preferenza dei distretti secondo un sistema proporzionale, ma ha dei cavilli che possono portare ad ampi margini di manovra. La prima particolarità è quella di una soglia di sbarramento, a lungo fissata al 10% proprio per impedire al movimento nazionale curdo di entrare in Parlamento. È stata abbassata al 7% e viene calcolata in base ai voti ottenuti dall’alleanza e non più dai singoli partiti. La seconda particolarità è proprio il sistema di alleanze: più partiti che presentano liste possono dire ufficialmente “di essere alleati”, il che significa che votare per un partito di questa alleanza equivale a votare per l’intera coalizione. La terza particolarità sta nel metodo di calcolo della distribuzione dei seggi, la cui principale caratteristica è quella di privilegiare la lista che arriva prima.

Durante le ultime elezioni parlamentari del 2018, la distribuzione del numero dei seggi è stata calcolata per alleanze, sommando i voti ottenuti dalle liste di ciascun partito alleato. Il regime ha cambiato questo sistema per le elezioni del 2023: la ripartizione dei seggi avverrà solo in base al numero di voti ottenuti per ciascuna lista. In questo modo, a parte superare la soglia del 7%, le alleanze composte da più liste risultano irrilevanti. In termini aritmetici, è meglio avere una unica lista per ogni alleanza, con un accordo a monte dei partiti. Il regime era convinto di poter presentare, rispetto all’opposizione, delle liste comuni, e quindi sperava di usarlo a proprio vantaggio per poter conquistare fino a 25 seggi.

Tuttavia, la manovra si è infranta su un ostacolo: il partito ultranazionalista MHP, principale alleato dell’AKP, si è rifiutato di fare delle liste comuni e ha presentato le sue liste nei vari distrett. In altre parole, l’MHP vuole preservare la propria identità in caso di sconfitta. L’AKP ha strappato solo un accordo con il partito ultraconservatore Nuovo Partito del Benessere (YRP), i jihadisti di Hüda-Par, così come lo pseudo-partito di sinistra, i socialdemocratici del Partito della Sinistra Democratica (DSP), per presentare dei candidati nelle proprie liste.

Clausole di non concorrenza

Se l’Alleanza della Nazione non presenta la lista comune CHP-Il Buon Partito, in alcuni distretti ci sono delle clausole di non concorrenza per cui solo uno dei due partiti presenta una lista. Inoltre, il CHP ha raggiunto un accordo con gli altri piccoli partiti di destra per dare loro un numero relativamente alto di seggi. Si tratta di una contropartita per il sostegno a Kemal Kılıçdaroğlu come candidato dell’Alleanza. Per quei partiti ci sono in ballo, quindi, circa 25 seggi. Infine, l’Alleanza del Lavoro e della Libertà si ritrova su due liste. Il Partito Democratico dei Popolo (HDP), insieme ad altre compagini dell’alleanza, si presenta negli 81 distretti elettorali della Turchia come Partito della Sinistra Verde (Yeşil Sol Parti, YSP). In realtà, di fronte ai procedimenti giudiziari che ne mettevano a rischio la candidatura poco prima delle elezioni, l’HDP ha scelto di presentarsi con il simbolo del partito YSP, che ha i requisiti per candidarsi a livello nazionale.

Dal canto suo, e sempre a sinistra, il Partito dei Lavoratori turco (TİP), che gode di un’aura di simpatia e di un vero e proprio dinamismo militante, ha scelto di presentare le proprie liste in 51 distretti (non tutti in Kurdistan). Nella maggior parte dei distretti elettorali, la somma dei voti del partito HDP più quelli del TIP non sarebbe sufficienti ad ottenere neppure un deputato. Inoltre, ci saranno liste elettorali in 7 distretti dove l’HDP ha già ottenuto dei seggi in passato: i 3 distretti elettorali di Istanbul, Ankara 1, Izmir 2, Hatay, Adana, Antalya e Mersin.

Le prospettive della sinistra

Queste elezioni rappresentano una sfida storica per la Turchia. La rielezione di Erdoğan significherebbe il protrarsi di un regime sempre più autoritario e neoliberista che ha raggiunto un punto di non ritorno con gli attacchi ai diritti delle donne e al mondo LGBTQI. L’estrema violenza degli alleati ultraconservatori dell’AKP che vogliono criminalizzare l’adulterio o abrogare la legge sulle violenze domestiche va nella stessa direzione.

Quanto all’Alleanza della Nazione, la coalizione è impegnata prima di tutto contro la corruzione. La sua principale promessa elettorale riguarda la liberazione di migliaia di prigionieri politici, per la maggior maggioranza curdi, la ricostituzione dei municipi curdi posti sotto la vigilanza dello Stato e una soluzione politica alla questione curda. In caso di successo elettorale, l’Alleanza della Nazione avrà bisogno del sostegno dell’Alleanza del Lavoro e della Libertà per avere la maggioranza in parlamento. Un’eventuale vittoria di Kemal Kılıçdaroğlu aprirebbe nuove prospettive per una sinistra battagliera.