Siria. Quarant’anni fa, il massacro di Hama

Il 2 febbraio del 1982, l’esercito guidato da Rifaat Al Asad strinse d’assedio la città di Hama, insorta contro il regime di suo fratello Hafez. L’assedio e il bombardamento della città durarono 27 giorni, con un terzo della città distrutto. Conosciuto con grave ritardo dall’opinione pubblica mondiale, il bilancio stimato oscilla tra i 10.000 e 40.000 morti. In Siria, di quel massacro non si poté più parlare con l’assoluto divieto di scriverne, pena il carcere a vita. Da allora, il massacro è stato censurato dai libri di storia.

© Hélène Aldeguer, 2022 https://helenealdeguer.com/

Nel febbraio del 1982, il regime siriano reprime nel sangue una rivolta che ha le sue radici nella nascita del partito Baath.

Nato nel 1947 sulla scia del movimento nazionalista arabo e della lotta contro il mandato francese, il Baath siriano riceve gradualmente l’investitura della giunta militare salita al potere grazie al colpo di stato del marzo 1963. Ben presto, l’esecutivo guidato dal generale Amin al-Hafiz si scontra con l’opposizione, inclusa quella dei Fratelli Musulmani che si sono stabiliti in Siria dal 1946.

Le contestazioni dell’aprile 1964

Il movimento della Fratellanza è diviso tra fazioni locali. Più conservatrice quella di Hama, la quarta città del paese, che si scontra con quelle di Damasco e di Aleppo. Le sue posizioni si fanno più rigide dopo la promulgazione delle politiche di nazionalizzazione, con la diretta cooptazione di intermediari commerciali privati all’interno dei diversi ministeri. Inoltre, c’è il fermo rifiuto della dottrina laica del partito unico. È all’interno di questo contesto che scoppiano in città le proteste dell’aprile 1964, a cui il regime risponde con la repressione e la militarizzazione, come testimonia il bombardamento della moschea di al-Sultan.

Una delle figure principali della protesta è Marwan Hadid. Dopo l’entrata nella confraternita, va a studiare al Cairo dove conosce Sayyid Qutb e gli allievi di Hasan al-Banna, il fondatore dei Fratelli Musulmani. Adottando la lettura rigorista proposta da Qutb, fautore della lotta armata contro il presidente egiziano Gamal Abd el-Nasser, Hadid proclama la guerra santa contro il regime siriano, considerato empio. Ma deluso dalla mancanza d’azione del ramo locale dei Fratelli Musulmani, decide di fondare un piccolo gruppo armato noto come Avanguardia combattente (Al-Tali’a al-Muqatila).

Una svolta verso l’azione violenta che non nasce dal nulla. La fazione di Damasco, storicamente la più moderata, vede progressivamente affievolirsi la propria egemonia. La partenza nel 1957 di Mustafa al-Sibaʽi, fondatore dei Fratelli Musulmani siriani, e soprattutto l’esilio forzato nel 1964 del suo successore Issam al-Attar sono un duro colpo per la confraternita. Sarà Adnan Saad al-Din, nativo di Hama e vicino all’Avanguardia, a trarre vantaggio da questi cambiamenti improvvisi mettendosi a capo della confraternita nel 1975. Nel frattempo, Hafiz al-Asad sale al potere nel 1970. Il regime che instaura non fa che incrementare la rabbia, perché i soprusi dei servizi segreti diventano la regola e i privilegi che di fatto vengono concessi alla minoranza alawita, di cui fa parte il presidente, diventano la norma.

Un’escalation di violenza

A partire dal 1977, gli attacchi dell’Avanguardia si intensificano, prendendo di mira le strutture civili di Baath (sedi locali e sezioni del partito), le personalità dell’apparato repressivo ma anche dei giovani cadetti alawiti, come nel giugno 1979, con il massacro della scuola di artiglieria di Aleppo. Di fronte alla repressione di cui sono i principali bersagli, i Fratelli Musulmani decidono a loro volta, nel 1979, di fondare un braccio armato e proclamano la guerra santa contro il regime. Da quel momento in poi, la confraternita si trova coinvolta in un’escalation militare e armata senza fine. Nel luglio 1980, in risposta a un tentato omicidio (fallito) del presidente siriano da parte dell’Avanguardia, il regime fa giustiziare più di 500 prigionieri nel carcere di Palmira.

Nel febbraio 1982, la crisi raggiunge il suo apice. Malgrado qualche mese prima il regime avesse sventato un colpo di stato fomentato da ufficiali dell’esercito con la complicità dei Fratelli musulmani e dell’Avanguardia, a gennaio decide di attaccare le basi dell’Avanguardia ad Hama. Determinata a rispondere a sua volta, l’Avanguardia sceglie di intraprendere una controffensiva, nonostante il parere contrario dell’organo decisionale dei Fratelli Musulmani che teme una reazione sproporzionata. Di fronte allo squilibrio delle forze in campo, il movimento islamista viene represso nel sangue, stessa sorte per gli abitanti della città sospettati di essere simpatizzanti del movimento. Per più di tre settimane, il regime bombarda Hama e invia le sue truppe di terra. Il bilancio stimato sarà terribile: tra i 10.000 e i 40.000 morti1, 5.000 stupri; un terzo della città distrutto.

Sono le cifre che indicano la vera natura del regime, quella di uno “Stato di barbarie”2 come l’ha definito Michel Seurat, uno stato che è diventato da allora un regno del silenzio.

1Le stime più basse parlano di 10.000 morti, le più alte, come quella stabilita dal Consiglio siriano per i diritti umani, parlano di 40.000 morti, per lo più civili. Durante i combattimenti furono uccisi anche 2.500 soldati. [NdT].

2Michel Seurat, Syrie, l’État de barbarie, PUF, 2012, Ndt