Diario da Gaza 48

“A quanto pare, qui non abbiamo il diritto di sognare”

Rami Abu Jamous scrive il suo diario per Orient XXI. Giornalista fondatore di GazaPress, un’agenzia di stampa che forniva aiuto e traduzioni ai giornalisti occidentali, Rami ha dovuto lasciare il suo appartamento a Gaza con la moglie e il figlio Walid di due anni e mezzo. Rifugiatisi a Rafah, Rami e la sua famiglia sono stati costretti a un nuovo esilio interno, bloccati come tante famiglie in questa enclave miserabile e sovraffollata. Questo spazio gli è dedicato dal 28 febbraio 2024.

L'immagine mostra una scena di una strada avvolta nella nebbia o nella polvere. In primo piano, una donna con un velo scuro tiene la mano di un bambino, mentre camminano insieme. Sullo sfondo, si possono vedere altre persone che camminano, ma sono poco visibili a causa della foschia. Gli alberi e alcune piante ai lati della strada creano un'atmosfera un po' opprimente. La luce sembra attenuata, dando un'impressione di desolazione.
Nuseirat, 22 agosto 2024. Palestinesi si fanno strada tra polvere e fumo dopo che le truppe israeliane hanno colpito un edificio nel campo profughi di Nuseirat.
Eyad BABA / AFP

Martedì 27 agosto 2024.

È stata una settimana d’inferno. Ibtissam, la sorella di mia moglie Sabah, è rimasta gravemente ferita. La sua tenda era piantata nella zona di Al-Mawasi, vicino Rafah. L’esercito israeliano l’ha dichiarata “zona umanitaria”, ma non è così perché non esiste alcuna zona di sicurezza umanitaria a Gaza. Verso le 4 del pomeriggio, sopra la sua tenda è apparso un drone che ha cominciato a sparare ovunque. In genere, questi piccoli droni a quattro rotori esplodono al suolo, ma possono essere muniti anche di granate o mitragliatrice, come in questo caso. Dietro il drone c’è una persona seduta davanti a uno schermo, spesso a due o tre chilometri di distanza, che prende la mira come se stesse giocando alla PlayStation o Xbox, e ciò permette all’esercito israeliano di poter dire “noi non c’eravamo”. L’operatore o l’operatrice perde ogni umanità, e così non prova alcun rimorso. Sul suo schermo ci sono solo personaggi virtuali, anche se sono esseri umani.

Le terribili condizioni dei feriti

È una tecnica a cui gli israeliani ricorrono spesso. Posso dirlo per esperienza. Quando abbiamo lasciato il nostro appartamento a Gaza City, l’esercito israeliano ci aveva ordinato di sventolare delle bandiere bianche, ma, nonostante ciò, siamo stati colpiti da un drone che ha ucciso due nostri vicini. Ibtissam è rimasta gravemente ferita nella parte superiore del bacino. Quando il drone ha iniziato a sparare, mia cognata era fuori dalla tenda con i parenti di suo marito, che avevano montato le tende una accanto all’altra. Il primo istinto di Ibtissam è stato quello di rientrare nella tenda per mettersi in salvo, ma siccome era di stoffa, il drone l’ha colpita mentre era dentro. Per fortuna, mia cognata si trovava proprio accanto all’ospedale da campo del Comitato Internazionale della Croce Rossa (CICR). È stato suo marito a portarla fin lì sulle spalle. Ibtissam ha subito un’operazione durata 4 ore e mezza. Il chirurgo, un medico cinese di Hong Kong, ha mostrato al marito le radiografie. Per salvarla, il medico è stato costretto ad asportarle buona parte dell’intestino e del colon.

Martedì, Ibtissam dovrà sottoporsi a una seconda operazione. Secondo il medico, la sua vita non è più in pericolo, ma occorre massima prudenza. Il problema, ha aggiunto il medico, è il percorso di guarigione: la vita in tenda non garantisce le giuste condizioni per una buona ripresa. “Ci sono stati molti decessi”, ha aggiunto, “causati da ferite infette dopo l’operazione, per mancanza di un adeguato follow-up”. Le famiglie stanno facendo tutto il possibile per prendersi cura dei malati, ma le temperature torride, la sabbia che entra ovunque, gli insetti, le mosche, rendono terribili le condizioni. Purtroppo, l’ospedale da campo del CICR non può ospitare i pazienti per più di dieci o quindici giorni, perché non ha abbastanza letti e per il flusso incessante dei feriti. La mia speranza è che Ibtissam resista e si riprenda al più presto. Lo speriamo tutti. È una donna e moglie adorabile, madre di sette figli di età compresa tra i sette e i diciotto anni. È amata da tutta la famiglia.

1 kg di pomodori a 100 euro

La seconda cosa che mi ha addolorato questa settimana è stata la morte del nostro vicino, Mustafa el-Atbash. Aveva 22 anni ed era al terzo anno della facoltà di Medicina Veterinaria. Di regola, avrebbe dovuto frequentare il quarto anno, ma a causa della guerra ha perso un anno. Mustafa era il cugino di Ahmed, che è stato ucciso quando siamo partiti da Gaza City per andare verso sud. Anche lui è stato colpito da un quadricottero, come una sua vicina di casa, Sana Al-Barbari o Al-Halis. Che riposino in pace.

Mustafa è morto mentre si trovava nel porto di Gaza, un piccolissimo porto di pescatori situato sulla costa di Gaza City, dove ci sono dei pescherecci che, prima della guerra, erano autorizzati dagli israeliani a navigare entro le 3 miglia nautiche (poco più di 5 km) dalla costa. Superato il limite, la marina israeliana sparava alle imbarcazioni. A volte, il limite era consentito fino a una distanza di 6 miglia. Nulla rispetto a quanto stabiliva l’Autorità Palestinese, quando i pescatori di Gaza potevano navigare fino a 26 miglia (poco più di 48 km), talvolta fino a 30 (più di 55 km). Ma è ormai dall’inizio della guerra che tutto viene proibito.

Come noto, oggi a Gaza City c’è la carestia. Non c’è nulla da mangiare, non si trova nemmeno del cibo in scatola. Un chilo di pomodori, quando si trova, costa 400 shekel, circa 100 euro. Anche i cetrioli hanno lo stesso costo. Non si trova né carne, né pollo, e sono quasi quattro mesi che non arrivano aiuti alimentari. La fame viene usata come arma. Di conseguenza, molti vanno a pescare nel porto, dove si può trovare un pesce chiamato bouri, un cefalo. È un buon pesce se allevato in un ambiente salubre, o se viene pescato in mare aperto, ma quello che si trova nei porti si ciba vicino alle fogne. Però la gente non ha altra scelta, e molti, soprattutto i giovani, gettano le lenze, nella speranza di prendere due o tre bouri per poter sfamare le loro famiglie.

Sarò l’uomo più felice del mondo

Mustafa era uno di quei giovani quando un drone ha sparato un missile contro i pescatori. Sette di loro sono morti, tra questi c’era anche il giovane Mustafa. In lui erano concentrate le speranze di un’intera famiglia, ma soprattutto di suo padre, Daoud, che aveva il sogno di vedere suo figlio, aspirante medico, diventare “dottore”. Voleva assolutamente essere chiamato “il padre del dottore” quando sarebbe arrivato il giorno della laurea. Il padre del dottore è arrivato. Il padre del dottore è qui. Mi diceva: “Non vedo l’ora che arrivi il momento della laurea di mio figlio. Sarò l’uomo più felice del mondo. Gli aprirò uno studio veterinario”. Quella del veterinario è una professione poco nota a Gaza, ce ne sono pochissimi.

Daoud era davvero orgoglioso di suo figlio. Ma ora che lo ha perso, ha perso anche il suo sogno. Avevo aiutato Mustafa a ottenere delle borse di studio attraverso alcuni contatti con l’università, perché gli studi costano molto. Ogni volta, Daoud mi diceva: “Mancano solo pochi anni, passeranno in fretta”. Faceva la conta dei giorni che mancavano alla laurea.

Ho chiamato Daoud quando ho saputo della morte di suo figlio. Mi ha detto:

A quanto pare, qui non abbiamo il diritto di sognare. Non solo gli israeliani ci privano dei nostri figli, dei nostri cari, ma ci stanno togliendo anche i sogni. Non potrò mai più avere dei sogni per gli altri miei figli, perché avrei paura di perderli, perdendo anche quei sogni.

21 ordini di evacuazione durante il mese di agosto

Mustafa e Ibtissam sono solo due esempi della situazione in cui vivono i palestinesi. Si parla di 40.000 morti, ma i palestinesi non sono dei numeri, sono uomini, donne e bambini. Ognuno con la propria vita, la propria storia e le proprie ambizioni. Ma gli israeliani non ci permettono di vivere.

Quando il padre di Mustafa ha detto che ormai non poteva più né vivere, né sognare, mi si è spezzato il cuore. Avevo condiviso quel sogno con lui. Ora però quel sogno è finito per colpa della carestia e perché Mustafa cercava qualcosa da mangiare per la sua famiglia. È stato ucciso da una macchina da guerra che non fa distinzione tra i vari bersagli, anche se l’esercito israeliano è uno dei più sofisticati al mondo con una tecnologia che potrebbe essere utilizzata per evitare la morte dei civili. E, invece, l’esercito si serve dei droni per causare il maggior numero di morti. E quando ci sono i bombardamenti, avviene la stessa cosa: gli israeliani vogliono causare il maggior numero possibile di vittime per alzare il prezzo da pagare per la resistenza. È come se dicessero ai palestinesi: se cercate di resistere militarmente – di norma, sarebbe legittima la resistenza sotto occupazione – il prezzo da pagare sarà altissimo.

Ormai la gente di Gaza lo ha capito e per questo va da un luogo all’altro per sfuggire a questa macchina da guerra che li segue ovunque. Ogni giorno ci sono nuovi ordini di evacuazione. Ce ne sono stati circa 21 solo nel mese di agosto, e ce ne saranno ancora tanti altri. Quando parlo di ordine di evacuazione, mi riferisco alle migliaia di persone costrette a spostarsi. E quando dico spostarsi, intendo smontare la tenda, prendere le proprie cose, cercare un camion. Tutto questo è molto difficile perché da noi le famiglie sono numerose, e bisogna radunare tutti prima di trovare un camion. A volte, quando occorre evacuare molto in fretta, ognuno prende solo un materassino, un cuscino, delle federe o una coperta. E poi tutti si riversano in strada, correndo nella stessa direzione per mettersi in fuga.

Sto perdendo la cognizione del tempo

I genitori portano via i bambini in braccio. Ma non sanno dove andare. Da nessuna parte c’è un posto sicuro. E, in ogni caso, non si trova neanche un posto dove sedersi. L’ultima volta, quando c’è stata l’evacuazione da Al-Qarara, è avvenuto tutto molto in fretta. I carri armati sono arrivati subito. La gente correva da tutte le parti, senza sapere dove andare. Migliaia di persone hanno trascorso la notte in strada e sulla spiaggia, solo con materassi e cuscini. Molti hanno trascorso 4 giorni e 4 notti così. La zona, indicata come “umanitaria” dall’esercito occupante, è stata ridotta da 220 a 35 kmq. Immaginate 1,7 o 1,8 milioni di persone stipate in un’area così piccola.

È un’umiliazione totale, è la morte. Ma invece di morire sul colpo, falciati da una bomba o da un’altra arma, stiamo morendo stremati. Stiamo morendo di paura. Stiamo morendo perché abbiamo il cuore a pezzi. Vediamo persone morte, senza sapere perché. Secondo un mio amico psichiatra, una tale instabilità può condurre alla morte. Questo incessante correre da un luogo all’altro può procurare la morte. Gli israeliani stanno impiegando tutte le tecniche psicologiche e militari, oltre ad usare ogni sorta di umiliazione, in modo da costringere, quando la guerra finirà – semmai un giorno finirà –, tutti gli abitanti a lasciare Gaza, perché non ci sarà più vita, non ci saranno più i pilastri della convivenza civile, non ci sarà più alcun futuro. Gli abitanti di Gaza stanno cambiando. Siamo andati troppo in là, siamo arrivati a un punto tale da non avere più speranza.

Qualche giorno fa siamo stati costretti a trasferire la sede della Press House-Palestine, che avevamo rimesso in piedi, dopo la sua distruzione, tra gennaio o febbraio, non ricordo bene perché sto perdendo la cognizione del tempo. Avevamo trovato e allestito una nuova sede, con energia elettrica e connessione Internet, grazie all’aiuto del governo canadese. Purtroppo, la nuova sede si trovava al centro della nuova zona da evacuare. Abbiamo anche corso il rischio di tornare indietro per recuperare il possibile, soprattutto i pannelli solari, che sono molto costosi. Dovremo cercare un altro posto per riaprire la Press House, anche se non sarà facile trovare un luogo sicuro a Gaza.

Per quasi un mese, più di un centinaio di giornalisti hanno potuto usufruire dei nostri servizi, della connessione Internet, dell’energia elettrica per ricaricare i cellulari, ecc. Ora, siamo tutti allo stremo. Tutto questo deve finire. È sotto gli occhi del mondo, eppure nessuno fa niente. Gli israeliani godono di una totale impunità. È davvero un paese al di sopra della legge. Nessuno può dire nulla al bambino viziato dell’Occidente. Spero che un giorno tutto questo finisca e che la giustizia torni a regnare, non solo a Gaza o in Palestina, ma in tutto il mondo.