Diario da Gaza 57

“A volte non riesco a rendermi conto delle dimensioni di questa tragedia”

Rami Abu Jamous scrive il suo diario per Orient XXI. Giornalista fondatore di GazaPress, un’agenzia di stampa che forniva aiuto e traduzioni ai giornalisti occidentali, Rami ha dovuto lasciare il suo appartamento a Gaza con la moglie e il figlio Walid di due anni e mezzo. Rifugiatisi a Rafah, Rami e la sua famiglia sono stati costretti a un nuovo esilio interno, bloccati come tante famiglie in questa enclave miserabile e sovraffollata. Il 12 ottobre 2024, Rami ha ricevuto il premio Bayeux Calvados-Normandie per i corrispondenti di guerra. Questo spazio gli è dedicato dal 28 febbraio 2024.

L'immagine mostra un giovane che cammina con le stampelle in un'area distrutta, circondata da macerie e detriti. Sullo sfondo si possono vedere edifici in rovina e un paesaggio desolato, con sabbia e vegetazione sparsa. La scena trasmette un senso di difficoltà e resilienza in un contesto di devastazione.
Al-Bureij, 24 giugno 2024. Un ragazzo mutilato passa davanti agli edifici distrutti dai bombardamenti israeliani.
Eyad BABA / AFP

Giovedì 10 ottobre 2024.

Giovedì, per andare in redazione alla Press House – Palestine, ho preso uno di quei minibus fatiscenti degli anni ‘90, dove si viaggia stipati come sardine. È uno dei pochi mezzi di trasporto rimasti a Gaza, insieme ai carri bestiame trainati da auto o asini, ai carretti o alle macchine sgangherate dove certe volte si viaggia seduti nel bagagliaio.

Questi viaggi sono un’occasione per farmi raccontare le storie dei vari passeggeri. Giovedì, ad esempio, ho ascoltato la storia di un uomo che era salito sul bus con le stampelle perché gli era stata amputata la gamba destra. Era un uomo sulla trentina, magro, dall’aria stanca. Gli ho chiesto se sapesse quante persone erano nelle sue stesse condizioni. Quando mi ha detto il numero ero così sbalordito che ho verificato su internet, ed aveva ragione. Secondo le Nazioni Unite e il Ministero della Salute di Gaza, infatti, sono oltre 10.000 le persone che hanno perso uno o più arti dall’inizio della guerra. Tra queste, si contano anche 4.000 bambini.

Non poter più avere una vita normale

Le loro storie sono davvero strazianti. Mi viene in mente quella bambina di tre anni, di cui tutti abbiamo visto le immagini, con entrambi i piedi e una mano amputati, che guarda con sguardo innocente quello che accade intorno a lei, mentre il giornalista la riprende. La piccola non riusciva a capire cosa le fosse successo. Forse avete visto anche quel bambino che ha perso entrambe le mani e che ora sta cercando di imparare a fare tutto con i piedi, compreso mangiare o scrivere.

Prima della guerra, abbiamo visto decine di mutilati durante “la grande Marcia del ritorno” del 20181, quando migliaia di persone, per lo più giovani, si erano messe in marcia per manifestare al confine tra Israele e la Striscia di Gaza, chiedendo di uscire da questa prigione a cielo aperto. Ricordo perfettamente che i cecchini israeliani si erano divertiti a sparare sui manifestanti. In alcuni video postati si erano anche vantati di sparare ai manifestanti come conigli, quasi fosse un addestramento. Avevano usato proiettili speciali in grado di causare danni alle giunture, frantumare gli arti e portare all’amputazione. Abbiamo pensato che ci saremmo trovati di fronte a una generazione di storpi. Oggi, tutto ciò sta accadendo su una scala ben più vasta.

Ho anche letto che, in questo momento, avvengono quattro amputazioni al giorno. Siamo diventati delle statistiche. Si parla anche di 100.000 feriti. Ma quando diciamo “feriti”, la parola non vuol dire granché. Ferito non significa ha qualche punto di sutura, ma vuol dire piuttosto che sarà paralizzato a vita, che ha perso un arto o la vista, che è diventato sordo... Centomila feriti sono centomila persone che non potranno più lavorare, sposarsi, o, in ogni caso, avere una vita normale.

A Gaza non c’è più nessuno che fabbrica protesi

Ho un amico che lavora in un centro di assistenza sanitaria. Mi ha detto: “Sai Rami, in una guerra, per una persona che muore sotto i bombardamenti ce ne sono altre quattro che moriranno per le conseguenze delle ferite, visto che mancano farmaci per curare una grave patologia, un ictus...”. Oggi si contano almeno 42.000 morti, ma è probabile che siano molti di più, dato che molti sono ancora sepolti sotto le macerie. Ma se ci atteniamo a questa cifra, e se la guerra dovesse finire oggi, le sue conseguenze farebbero salire quella cifra a 200.000 morti.

Lo stesso vale per i feriti. Il numero di persone disabili avrà un impatto pesantissimo sulle famiglie e sulla società in generale. Oggi, in tutta la Striscia di Gaza, c’è una terribile mancanza di cure e medicine. Non esiste più un solo produttore di protesi. Per anni, sono stati realizzate all’ospedale Sheikh Hamad, finanziato dal Qatar, e il Gaza Municipal Center, da un ramo della Croce Rossa. Ora non esiste più niente.

Oggi c’è solo quest’uomo stanco che ho visto salire sul pulmino con le stampelle. Mi racconta che ha sentito parlare di un protesista, Salah Selmi, che lavorava all’ospedale Sheikh Hamad e che ora realizza protesi molto artigianali, se così posso dire. Le fabbrica con dei tubi di plastica, come quelli che si usano per gli scarichi. Il mio compagno di viaggio mi racconta:

Sono andato a trovarlo, ma mi ha detto che aveva potuto fabbricare solo sei protesi, perchè non aveva più materia prima, e che comunque non voleva diventare un punto di riferimento per le protesi, perché non ne avrebbe mai potuto produrre quattromila... Il problema è che non abbiamo più stampelle, né sedie a rotelle...

Far finta che tutto vada bene

Nella nostra precedente redazione, avevamo provveduto affinché ci fossero delle rampe per accedere con le sedie a rotelle e servizi igienici adattati per le persone in sedia a rotelle. Ma la nostra vecchia redazione è stata distrutta dagli israeliani, e la nuova Press House ora si trova al primo piano. Dobbiamo accompagnare i giornalisti in sedia a rotelle su per le scale. Nella Striscia di Gaza non si sta facendo nulla per facilitare l’accesso ai disabili, anche se ce ne sono tanti. “Puoi trovare degli ortopedici che lavorano nei reparti ai piani superiori, ma senza l’ascensore”, mi dice ancora l’uomo con le stampelle. Parlando della sua vita quotidiana, aggiunge:

Mi sto abituando a poco a poco, ma so che sarà dura. Sono un padre, quindi devo provvedere a mia moglie e ai miei figli. Non voglio sentirmi inutile, incapace di dare loro tutto quello di cui hanno bisogno.

E lì, ho capito come questa povera gente si stia a poco a poco adattando a condizioni di vita sempre peggiori, ormai durissime, nelle tende, riparati solo da teloni, sulla sabbia, tra le macerie delle case bombardate.

Come potranno cavarsela le persone disabili quando non ci sarà più alcun aiuto? Il sogno del mio compagno di viaggio è una protesi, oltre a quello di poter continuare a vivere. Ma, soprattutto, non vuole che suo figlio lo veda come uno storpio incapace di fare qualsiasi da solo. Ricordo molto bene che, durante la grande Marcia del ritorno, avevo intervistato molti giovani che avevano perso le gambe, ma che volevano comunque tornare a vivere una vita normale. Avevano persino creato una squadra di calcio per dimostrare che andava tutto bene, che erano come gli altri. Uno di loro era un ciclista che, prima aveva sognato di partecipare ai Giochi olimpici, e poi, dopo l’infortunio, alle Paraolimpiadi. Ma aveva bisogno di una protesi sportiva e di una bicicletta speciale, cosa impossibile da avere a Gaza.

Come lui, a Gaza ci sono migliaia di giovani, migliaia di famiglie che vedono i loro sogni andare in fumo. Migliaia di feriti, di storpi. Sono di Gaza, ma a volte non riesco a rendermi conto delle dimensioni di questa tragedia, di questo “Gazacidio” che stiamo vivendo. La mia speranza è che questa guerra finisca presto, come spero che l’uomo con le stampelle, a cui ho dimenticato di chiedere il nome, un giorno avrà una protesi, che riuscirà ad inserirsi nella vita professionale e che suo figlio possa essere orgoglioso di lui. E lo stesso mi auguro per le migliaia di persone mutilate a Gaza. Ma per ora nessuno sta facendo qualcosa, nemmeno le Ong e la Croce Rossa che prima se ne occupavano. Per loro, vista l’attuale situazione, non sono nella lista delle priorità.

1La grande Marcia del ritorno è stata una manifestazione pacifica iniziata il 30 marzo 2018 e durata un anno e mezzo