Diario da Gaza 25

“Abbiamo paura di morire all’ultimo momento”

Rami Abu Jamous scrive il suo diario per Orient XXI. Giornalista fondatore di GazaPress, un’agenzia di stampa che forniva aiuto e traduzioni ai giornalisti occidentali, Rami ha dovuto lasciare il suo appartamento a Gaza con la moglie e il figlio Walid di due anni e mezzo. Ora condivide un appartamento con due camere da letto con un’altra famiglia. Nel suo diario, racconta la sua vita quotidiana e quella degli abitanti di Gaza a Rafah, bloccati in questa enclave miserabile e sovraffollata. Questo spazio è dedicato a lui.

L'immagine rappresenta un campo profughi, con numerosi tendoni di vari colori, come blu, bianco e arancione, disposti in un'area sabbiosa. Sullo sfondo si intravedono edifici e una città, mentre una rete di recinzione sembra delimitare il campo. In primo piano, si possono vedere alcune persone sedute, creando un senso di comunità nonostante le difficili condizioni di vita. La scena evoca una forte emozione, evidenziando la realtà delle persone costrette a vivere in tale situazione.
Rafah, 30 aprile 2024. Una vista dall’alto delle tende di un campo profughi che ospita i palestinesi.
AFP

Giovedì 2 maggio 2024.

Come sapete, ho insegnato a mio figlio Walid che, quando sente un bombardamento, deve applaudire. L’ho fatto per fargli credere che sia una specie di gioco. Lunedì ha applaudito tante volte, molto forte. Questa volta, però, ero davvero spaventato. Le bombe cadevano tutto intorno a noi, in maniera sempre più violenta. Ero spaventato soprattutto perché si parla di un imminente cessate il fuoco. E sappiamo molto bene che, quando si annuncia, la guerra si intensifica nelle ultime ore che precedono la tregua. A Rafah i bombardamenti sono sempre più violenti.

I miei suoceri si trovano in una zona che si chiama al-Alam, a ovest della città di Rafah, lungo la costa. Vivono sotto le tende e i teloni. Le bombe sono cadute anche intorno alla loro zona. Ci sono state vittime e feriti. Decine di migliaia di persone hanno lasciato l’area che si estende dalla rotonda di al-Alam all’ospedale della Mezzaluna Rossa palestinese. Il motivo è che si era sparsa la voce che gli sfollati dovevano evacuare la zona perché ci sarebbe stata una “cintura di fuoco”, ossia un bombardamento serrato.

La gente è andata via abbandonando tutto

C’è stato il panico. Tutti hanno cominciato a scappare. Ho ricevuto delle telefonate dai miei suoceri, da tutti gli amici che vivono lì. “Ma è vero? O è solo una voce, come al solito?”. Non sapevo cosa dire e non potevo prendere una decisione per loro. Ho solo detto: “Fate quello che volete. È meglio andare via però perché non si sa mai se si tratta di una voce o meno, anche se al momento non ci sono dichiarazioni ufficiali dell’esercito israeliano”. So benissimo che se ci sarà davvero un cessate il fuoco ci saranno ancora molti bombardamenti, e di conseguenza molte vittime. In tutta questa zona ci sono solo tende e accampamenti. La gente se n’è andata, lasciando tutto lì. Tutta la famiglia dei miei suoceri si è spostata alla rotonda chiamata “Fresh Fish”, dal nome di un tipico ristorante di pesce a Gaza, conosciuto per le sue orate molto amate da tutti.

A quanto pare, mentre scrivo, siamo in procinto di un cessate il fuoco. Si vocifera anche di un mandato d’arresto della Corte Penale Internazionale contro Netanyahu e i capi militari israeliani. Se questo fosse vero, non avrebbero più nulla da perdere, e andrebbero avanti fino alla fine, sparando su tutti.

Credo che Netanyahu cercherà di far saltare il cessate il fuoco, intensificando gli attacchi, in particolare a Rafah. Qui regna la paura. Normalmente, dovrebbe essere il contrario: c’è la possibilità che tutto questo inferno possa finire, e che si fermi la macchina da guerra. Ma questa non è la nostra prima guerra, e sappiamo quello che avviene poco prima della fine degli scontri. Io sono uno di quelli che la pensa così perché ogni volta, come giornalista, ho visto genitori dire addio ai loro figli, bambini dire addio ai genitori, i morti negli ospedali o sotto le macerie.

Viviamo sotto i bombardamenti

Ho ancora quelle immagini in testa. Ho paura per la mia famiglia, ho paura per mio figlio di due anni e mezzo. Viviamo sotto i bombardamenti. La sera andiamo a letto presto, verso le 20 o le 20.30, ma ci svegliamo a mezzanotte perché è l’ora in cui “comincia la festa”: le bombe cadono più o meno vicino a noi, e così restiamo svegli. Siamo pronti ad uscire immediatamente con i bambini, ormai è diventata una routine. Abbiamo resistito fino ad oggi, dopo quasi 7 mesi di guerra, ma ora abbiamo paura di morire all’ultimo momento.

Abbiamo paura di morire anche perché Netanyahu potrebbe dare in escandescenza, ancora di più contro Gaza, in maniera sempre più aggressiva, vendicandosi personalmente, perché una tregua, un mandato d’arresto – o entrambi – sarebbero la fine della sua vita politica. Nei bombardamenti non c’è alcuna regola. Qualsiasi edificio o casa può essere colpita, con il pretesto che ci sia un membro di Hamas o del Jihad islamico. Purtroppo potrebbero essere ovunque: Hamas può essere un fratello, un padre, un cugino, un amico. Tutti possono diventare obiettivi. Se hai incontrato un tizio di Hamas, se sali su un’auto o su un taxi che trasporta una persona vicina ad Hamas, anche tu diventi un bersaglio.

È ciò che gli israeliani chiamano “danni collaterali”, ma sono la gran parte delle vittime di questa guerra. Hamas rappresenta circa il 30% della popolazione della Striscia di Gaza. Gli impiegati del governo di Hamas, più di 50.000 persone, non fanno parte del partito, ma lavorano lì perché prima era l’unico modo per avere uno stipendio. Sono tutte persone che hanno una famiglia, quindi il 70, addirittura il 90% degli abitanti di Gaza sono dei potenziali bersagli per gli israeliani.

La notte rischia di essere dura per tutti

Ecco il motivo per cui ho paura quando Walid applaude troppe volte, e spero che tutto questo finisca. Abbiamo paura che una di queste notti potrebbe essere dura per tutti. I miei suoceri mi chiedono se ci saranno nuovi bombardamenti, perché ci stanno prendendo di mira, quando inizierà una nuova fase più sicura. Gli israeliani parlano di isolare Rafah dal lato est e ovest, soprattutto lungo la strada costiera. La città sarà così separata dalla zona di al-Mawasi, dove ci sono migliaia di persone rifugiate in riva al mare?

L’area di cui vi ho parlato si chiama al-Alam, si trova al bivio tra la città di Rafah e la strada costiera. Forse la bombarderanno in modo che non rimanga nessuno. Se la gente sarà costretta ad andarsene, non ci saranno né automobili, né carretti trainati da animali o mezzi di trasporto. Partiranno a piedi solo con una piccola borsa. Gli israeliani possono creare dei posti di blocco come hanno fatto quando hanno circondato Khan Younis, la città a nord di Rafah, per effettuare degli arresti.

Sono tanti gli interrogativi, perché siamo abituati a questo genere di operazioni da parte dell’esercito israeliano. Abbiamo passato una bruttissima giornata, una giornata di paura, di bombardamenti, di grande angoscia. Spero che tutto questo finisca presto. E che a breve Walid possa applaudire per una vera festa: quella per un cessate il fuoco.