Una guerra israeliana permanente

Gaza. In continuità con due secoli di campagne coloniali

Dal 7 ottobre 2023, i rapporti continuano a confermare l’uso da parte dello Stato israeliano di tecniche di disumanizzazione del popolo palestinese: torture, abusi fisici e verbali, umiliazioni, punizioni collettive, sfollamenti, internamenti nei campi e sparizioni forzate che si aggiungono ai bombardamenti massicci contro i civili confinati a Gaza. Lungi dall’essere episodi isolati, tutte queste violenze costituiscono un sistema che si inserisce nella storia globale legata alle dottrine contro-insurrezionali del colonialismo occidentale.

Immagine di un gruppo di persone su un marciapiede, sotto sorveglianza militare, in un contesto urbano.
Beit Lahia, 8 dicembre 2023. Palestinesi catturati e detenuti siedono in una strada di Beit Lahia, nella Striscia di Gaza settentrionale, sotto l’occhio vigile dei soldati israeliani.
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Le informazioni raccolte dall’avvocata e ricercatrice Janan Abdu hanno permesso di documentare, già nel maggio 2024, l’organizzazione sistematica di punizioni collettive a Gaza e una “serie interminabile di torture, umiliazioni e morti” a Sde Teiman, la prigione militare clandestina situata nel deserto del Naqab (Negev)1. Alle migliaia di palestinesi arrestati arbitrariamente dall’ottobre 2023, in base alla legge israeliana sulla “detenzione dei combattenti illegali” del dicembre 2023, vengono inflitti soprattutto pestaggi e aggressioni sessuali, oltre ad attacchi con cani. Nell’agosto dello stesso anno, l’organizzazione israeliana per i diritti umani B’Tselem ha pubblicato un rapporto dal titolo “Benvenuti all’inferno”2, confermando un “uso sistematico, generalizzato e prolungato della tortura”. Da allora, ci sono state accuse simili sulle condizioni dei detenuti nelle prigioni israeliane di Ofer, Ananot, Ketziot, Megiddo, Damon o Nitzan. Gli esperti incaricati dall’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani, Human Rights Watch e Amnesty International hanno anche raccolto innumerevoli testimonianze che descrivono detenuti rinchiusi in gabbie, legati a letti, bendati e con pannolini, denudati. Durante la detenzione, i detenuti sono inoltre sottoposti a tecniche di deprivazione sensoriale, privati di adeguate cure sanitarie, cibo, acqua e sonno. Sono sottoposti inoltre alla sospensione ai soffitti, waterboarding, bruciature di sigaretta o elettrocuzioni, anche ai genitali.

Un sistema che ha radici storiche

Queste violenze ricordano naturalmente quelle commesse dall’esercito francese in Algeria o dall’esercito statunitense in Vietnam, ma la loro articolazione sistematica contro i civili si ritrova in tutta la storia dei campi di battaglia coloniali. La combinazione di discriminazione razziale nell’incarcerazione di massa, la tortura, le violenze sessuali e la mancanza di un’alimentazione adeguata a lasciar morire o far morire è stata generalizzata durante tutta la schiavitù transatlantica e la “conquista delle Americhe”. I primi campi di concentramento moderni associati a sistemi di violenza estrema furono poi istituiti dall’esercito spagnolo per condurre la controinsurrezione a Cuba tra il 1895 e il 1898, poi dall’esercito britannico nell’Africa australe per rinchiudere centomila civili durante le guerre boere (1899-1902). Nell’Africa del Sud-Ovest (l’attuale Namibia), la Germania ha imprigionato in massa le popolazioni locali commettendo il primo genocidio del XX secolo contro gli Herero e i Nama. Dopo essere stato ristrutturato sotto forma di campi di concentramento e di sterminio dalla Germania nazista, l’internamento razziale di massa è stato utilizzato dalla Francia per condurre la controrivoluzione coloniale in Indocina, poi in Algeria sotto forma di “centri di smistamento e transito”, “alloggi” e “raggruppamenti”3. In ciascuno di questi casi, i campi hanno avuto la funzione di cerniera dei regimi di governo attraverso la distruzione delle condizioni di vita o lo sterminio di massa.

In questo campo, Israele si distingue perché ridefinisce gli spostamenti e l’internamento come tecniche di “ingegneria sociale” volte a svuotare il “terreno umano” e a riformattare la personalità dei detenuti. È inoltre uno dei pochi Stati ad aver ufficialmente legalizzato la tortura con l’eufemismo di “pressione fisica moderata”. Già prima dell’ottobre 2023, molti osservatori descrivevano Gaza come un gigantesco campo di concentramento a cielo aperto e un campo di sperimentazione per nuove tecnologie controinsurrezionali. Da allora, Israele utilizza queste competenze per trasformare l’enclave in una fossa comune di massa.

La tecnica della controinsurrezione

All’inizio di settembre 2025, un rapporto dell’Associazione Internazionale degli Studiosi del Genocidio (IAGS), che riunisce circa 500 esperti, ha confermato la natura “sistematica e su larga scala” del processo genocida, dei crimini contro l’umanità e dei crimini di guerra perpetrati da Israele in Palestina. La dinamica di eradicazione del colonialismo israeliano è tuttavia documentata fin dalla Nakba del 1947-1948. Sono note le parole dell’ufficiale delle operazioni della brigata “Carmeli”4 incaricata di “dearabizzare” Haifa dopo la partenza degli inglesi nell’agosto 1948: “Uccidete tutti gli arabi che incontrate, date fuoco a tutto ciò che è infiammabile e aprite le porte con gli esplosivi...”5. Così la milizia aveva cominciato a bombardare i rifugiati con i mortai.

Si tratta di impedire la riorganizzazione delle resistenze dei nativi. È una tecnica di controguerriglia che trova la sua origine nella lotta contro i popoli indigeni di quell’America descritta come una “terra nullius”. È servita da modello per leader sionisti come Vladimir (Ze’ev) Evgen’evič Žabotinskij, che ne parla nella sua opera Il muro di ferro del 1923.

Una dinamica genocidaria intrapresa anche durante la conquista francese dell’Algeria nel XIX secolo, che secondo le stime degli storici ha causato tra 500.000 e 1 milione di morti su una popolazione di 3 milioni di algerini. La strategia che consisteva nel far morire o lasciar morire in massa i colonizzati – soprattutto attraverso lo sterminio per fame – è stata anche al centro delle guerre controinsurrezionali condotte dal Belgio in Congo e dal Regno Unito in India, Sudan o Kenya.

Nel bombardamento sistematico di Gaza dopo il 7 ottobre 2023 riecheggiano anche i cannoni della marina britannica che già nel 1840 massacravano gli abitanti del Levante, all’epoca in cui vennero formulate le premesse del progetto sionista6. E le prime bombe aeree della storia vennero sganciate da una potenza coloniale contro dei civili quando un aereo italiano colpì un accampamento nella regione di Tripoli nel 1911.

Il fosforo bianco e i gas utilizzati per rendere la Palestina invivibile richiamano anche l’uso di armi tossiche durante le “pacificazioni” europee e statunitensi. Per invadere l’Algeria, l’esercito francese organizzò massacri mediante “enfumades” (fumigazioni) di interi villaggi rifugiati nelle grotte. Dopo aver sommerso le trincee della Prima guerra mondiale, i gas tossici vennero utilizzati per la prima volta contro la popolazione civile dalla Francia e dalla Spagna per spezzare la resistenza del Rif in Marocco. Furono poi utilizzati nei combattimenti della Seconda guerra mondiale e per sterminare gli ebrei in Europa. L’esercito francese riprese l’uso dei gas per massacrare la ribellione algerina durante la “guerra delle grotte” negli anni ‘50. Nell’Aurès, massiccio montuoso nell’est dell’Algeria, l’esercito francese bombardò con il napalm prima che l’esercito americano lo imitasse in Vietnam, dove fece uso anche dell’Agente Arancio7 per terrorizzare e rendere il territorio inabitabile. Sia in Algeria che in Vietnam, l’uso di queste armi è stato direttamente associato ai campi di internamento e ai muri di separazione, senza tuttavia riuscire a reprimere la ribellione.

Dall’Irlanda all’India

Secondo la ricercatrice Laleh Khalili, proprio come nel Sud-Est asiatico e in Algeria, la controrivoluzione in Palestina costituisce “un laboratorio archetipico e un nodo cruciale delle controinsurrezioni globali”8. Il dominio sionista affonda effettivamente le sue radici nei repertori dell’imperialismo occidentale, adattandoli però alle proprie esigenze. Un meccanismo che ha preso forma quando l’occupazione britannica ha iniziato a riunire le competenze coloniali per mantenere l’ordine, in particolare di fronte alla grande Rivolta araba del 1936-1939. L’ufficiale britannico Charles Tegart, che dirigeva le operazioni di controguerriglia, aveva fatto carriera affrontando il movimento indipendentista dell’Irlanda del Nord prima di dirigere la polizia di Calcutta e generalizzare la tortura contro la ribellione indiana9. Inviato in Palestina nel 1937, Tegart vi fece costruire numerose stazioni di polizia fortificate, una recinzione di confine e centri di tortura chiamati Arab Investigation Centers.

Ma il terrore non bastò a placare il sumud, lo spirito di resistenza palestinese. Così, come ad Haiti, vennero impiegate unità paramilitari e cani dobermann per dare la caccia agli insorti. Sul modello dei metodi coloniali francesi in Siria e in Algeria, un vasto sistema di schedatura, arresti di massa e detenzioni amministrative venne affiancato alla tortura, alle punizioni collettive, alle deportazioni e alle esecuzioni sommarie10. Proveniente da una famiglia di coloni britannici in India, il generale Orde Wingate aveva prestato servizio in Sudan prima di dar vita alle Special Night Squads, dei commando di polizia composti da coloni ebrei incaricati di pattugliare di notte, a volte travestiti da “arabi”, per condurre spedizioni punitive contro i villaggi palestinesi. Tutte tecniche di guerra contro la popolazione che hanno profondamente influenzato la genesi degli apparati militari e di sicurezza israeliani.

I metodi di controinsurrezione israeliani hanno continuato a progredire attraverso scambi regolari con le potenze del blocco transatlantico. Nel gennaio 1960, due generali israeliani, Yitzhak Rabin e Haïm Herzog, futuri primo ministro e presidente di Israele, osservavano in Algeria le tecniche francesi di “guerra controrivoluzionaria”: muri di separazione, trasferimenti di popolazione e internamenti di massa, normalizzazione della tortura e della violenza fisica, sparizioni forzate, massacri con bombardamenti e armi chimiche associati a una propaganda che seguiva una dinamica di militarizzazione generale della società. Un regime di violenza che non ha impedito al popolo algerino di conquistare la propria indipendenza.

Integrare le nuove tecnologie

Il ricercatore Jeff Halper, nel suo libro War Against the People (Pluto Press, 2015), ha descritto Israele come un “modello di Stato securitario” basato su una guerra di controinsurrezione permanente. La gestione quotidiana dell’apartheid e la dinamica genocidaria sono al centro di un meccanismo imperiale globale che mira a far circolare le competenza tra centri e periferie e in cui l’esperienza coloniale francese ha svolto un ruolo fondamentale. In questo ambito, lo Stato israeliano si distingue per la sua intensa attività di ricerca e sviluppo. La continua frammentazione del territorio è assicurata dall’inizio del XXI secolo da muri cosiddetti “intelligenti” e basi militari “innovative”. I dati biometrici integrati nelle carte d’identità e nei sistemi di identificazione raccolgono informazioni sulla vita privata e politica dei palestinesi. Il sistema di internamento di massa integra le ultime innovazioni tecnologiche, mentre il processo genocidario è ora gestito da diversi programmi di “intelligenza artificiale” come Hasbora, Lavender o Where’s dad? Questi ultimi accelerano l’individuazione degli obiettivi e alimentano così il funzionamento intensivo di una “fabbrica di omicidi di massa”, secondo le parole di un ex ufficiale dell’intelligence israeliana11.

La guerra genocidaria condotta contro la resistenza del popolo palestinese costituisce quindi un laboratorio globale per l’automazione della controinsurrezione. Sostenuta dalle armi, dai finanziamenti e dal blocco occidentale, la macchina imperiale funziona ormai a pieno regime a vantaggio di un piano di colonizzazione dell’intera regione denominato “Grande Israele”. Ma Palestina è diventata ormai il nome di una resistenza mondiale. E sulla scia delle rivoluzioni haitiana, vietnamita e algerina, non crediamo che la crescente ferocia coloniale riuscirà a esaurire la determinazione dei popoli oppressi.

1Janan Abdu, “The writing was on the wall for Israel’s torture of prisoners”, +972Mag, 14 maggio 2024.

3Fabien Sacriste, Les camps de regroupement en Algérie: Une histoire des déplacements forcés (1954-1962), Presses de Sciences Po, 2022.

4Durante la guerra arabo-israeliana del 1948, la brigata era conosciuta come Brigata “Carmeli”, perché era comandata dal generale Moshe Carmel. [NdT].

5Ilan Pappé, La pulizia etnica della Palestina, trad. it. a cura di Luisa Corbetta e Alfredo Tradardi, Fazi, Roma, 2028.

6Andreas Malm, Pour la Palestine comme pour la Terre. Les ravages de l’impérialisme fossile, La Fabrique, 2025.

7In inglese Agent Orange, nome in codice dato dall’esercito statunitense a un defoliante che fu ampiamente irrorato su tutto il Vietnam del Sud, tra il 1961 e il 1971, durante la Guerra del Vietnam. [NdT].

8Laleh Khalili, “The location of Palestine in global counter-insurgencies”, International Journal of Middle East Studies, 2010, n° 42:3, pp. 413-433.

9Tutun Mukherjee, “Colonialism, surveillance and memoirs of travel: Tegart’s diaries and the Andaman cellular jail”, dans Sachidananda Mohanty (ed.), Travel Writing and the Empire, Katha, 2004.

10Si veda Matthew Hughes, Britain’s Pacification of Palestine. The British Army, the Colonial State, and the Arab Revolt, 1936-1939, Cambridge University Press, 2019.

11Yuval Abraham, “A mass assassination factory”: Inside Israel’s calculated bombing of Gaza, +972 Magazine, 30 novembre 2023.

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