
Lunedì 10 febbraio 2025.
Dopo il quinto scambio di prigionieri di due giorni fa, gli israeliani si sono ritirati dal “corridoio di Netzarim”, che separava il nord dal sud della Striscia di Gaza dall’inizio della guerra. Un “corridoio” che non era solo una strada, ma un’area di 75 km² e 7 km di larghezza, che attraversava la Striscia da est a ovest, dalla rotonda di Nabulsi fino al ponte di Wadi Gaza. Dopo il ritiro, gli israeliani manterranno la loro presenza a Gaza all’interno di una “zona cuscinetto” che si estende per 1,5 km di larghezza a est, lungo il confine con Israele, e a sud lungo il “Corridoio Filadelfia”, una striscia di terra al confine tra la Striscia di Gaza e l’Egitto.
Ciò significa che adesso si può andare da sud a nord, o da nord a sud, a piedi o in auto. È una grande gioia per gli 1,5 milioni di abitanti della zona nord, che comprende Gaza City. Chi aveva un’auto ora può usarla sicuro di poter andare e tornare. Finora, era possibile andare da sud a nord con un mezzo di trasporto, ma non tornare indietro. Molti abitanti di Gaza, tornati al nord, non hanno intenzione di stabilirsi lì per il momento, visto che le loro case sono distrutte o si trovano in mezzo a un cumulo di rovine.
Peraltro, su questa strada che collega nord e sud c’è ancora un posto di blocco, dove le auto vengono perquisite da agenti che fanno parte di una società di sicurezza privata americana o alla commissione qatariota-egiziana, incaricata di controllare il cessate il fuoco. Chi aveva una casa vicino al corridoio di Netzarim voleva tornare a casa, ma ormai è impossibile: tutta la zona è stata rasa al suolo da questo terremoto, quest’“israelismo” che ha spazzato via tutto. Ecco perché la gioia è sempre velata di tristezza.
I prigionieri erano sotto il blocco, come i palestinesi
Quanto a noi, non faremo un immediato ritorno a casa, nella nostra torre di Gaza City. È vero che i miei amici che vivono laggiù hanno pulito il nostro appartamento, ma, dopo il bombardamento degli ultimi piani, non ci sono più cisterne d’acqua. Perciò sto aspettando che vengano sistemate. Vista l’assenza d’energia elettrica, ci toccherà fare nove piani a piedi, ma è impossibile fare a meno dell’acqua. Soprattutto, stiamo aspettando che Sabah partorisca, perché qui, nel sud, ci sono almeno gli ospedali da campo delle Ong.
Vorrei anche parlarvi dell’ultimo scambio di prigionieri. I media israeliani hanno dichiarato di essere scioccati per le loro condizioni, alcuni sono arrivati al punto di paragonarli ai sopravvissuti dei campi di concentramento. Frasi riprese pedissequamente da molti media occidentali. È vero che gli ultimi tre prigionieri non erano come quelli rilasciati in precedenza, che sembravano apparentemente in buone condizioni fisiche. Si vedeva che erano malati. Perché erano in quello stato? Perché nel luogo in cui erano detenuti, hanno subito il blocco attuato dal loro stesso esercito, come i palestinesi di Gaza. Quando manca il cibo, non c’è da mangiare. E le loro condizioni di vita erano forse aggravate dal fatto di dover vivere nascosti.
È anche vero che le loro condizioni di detenzione erano dure, ma non sono stati torturati, come i prigionieri palestinesi nelle mani di Israele, di cui si parla molto poco. I media si sono mobilitati per raccontare il ritorno dei prigionieri israeliani nelle loro famiglie, molto meno per quello dei palestinesi che hanno passato anni nelle carceri israeliane. Io posso parlare di quelli che ho incontrato a Gaza. Per loro, a nessuno viene in mente di fare un paragone con altre vittime. Posso dirvi però che quelle persone mi hanno ricordato le immagini degli ostaggi ucraini liberati dai russi. Li avevamo visti spesso in tv, ma non avevamo ancora visto i palestinesi. Eppure, come gli ucraini, quegli uomini erano smagriti ed emaciati con segni di tortura sulle mani, i piedi e la schiena. Molti dei prigionieri palestinesi liberati non hanno potuto ritrovare le loro famiglie, poiché decimate durante la guerra. Uno di loro, anzi, pensava che tutta la sua famiglia fosse morta, perché gli israeliani gli avevano detto: “Abbiamo ucciso tutta la tua famiglia”. Alcuni non possono più camminare, mentre altri sembrano scheletri.
Accanto a chi era detenuto da tempo, c’è anche chi è stato arrestato negli ultimi mesi. Tra loro ci sono anche minorenni e donne. Per non parlare di quella che viene chiamata detenzione amministrativa: gli israeliani si arrogano il diritto di chiudere in cella chiunque, con qualsiasi pretesto, senza che l’imputato abbia diritto a un processo. Una detenzione che può durare sei mesi... rinnovabili a vita. C’è chi ha passato quattro o cinque anni in carcere senza processo, perché rappresentava “un pericolo per Israele”. Di questi prigionieri non si parla quasi mai, ma si parla dei tre ostaggi, perché sono israeliani. .
Il progetto per Gaza sarà presto applicato alla Cisgiordania
Migliaia di altri palestinesi continuano a marcire nelle carceri israeliane. Lo dico ancora una volta, non avremo gli occhi azzurri o i capelli biondi, ma siamo esseri umani. Stiamo soffrendo per un’occupazione da 76 anni. A Gaza non solo viviamo sotto occupazione, ma anche sotto il blocco. Abbiamo vissuto una guerra per quindici mesi e un genocidio ventiquattr’ore al giorno. Eppure, i ruoli vengono regolarmente invertiti. La vittima è il criminale e il criminale è la vittima. L’occupante diventa l’occupato, e l’occupato si trasforma nell’occupante. C’è stata una tregua per la sospensione delle ostilità, ma in pochi parlano delle violazioni israeliane dell’accordo di cessate il fuoco, in particolare, del protocollo umanitario che doveva essere messo in atto e degli aiuti di emergenza nei rifugi. Bisognava far arrivare tende e roulotte, indispensabili perché l’80% della popolazione di Gaza non ha più un posto dove vivere, ma Israele si è opposto.
Le tende che si trovano nella Striscia di Gaza sono in pessime condizioni. La nostra “villa”, già danneggiata dalla bomba caduta proprio accanto a noi, era stata fatta a pezzi dall’ultimo temporale. L’intera struttura che avevamo messo insieme: la doccia, la cucina, ecc. – è stata spazzata via dal vento, non ne resta più nulla. Visto che le previsioni del tempo annunciavano un forte vento, tipo il maestrale a Marsiglia, avevo giocato d’anticipo e mi ero messo alla ricerca di un alloggio. Ne ho trovato uno a Nuseirat. Decine di migliaia di gazawi che hanno perso i loro precari rifugi, teloni o tende, non hanno avuto la stessa possibilità perché non possono più affittare una tenda visto che i prezzi sono saliti alle stelle.
Oggi, migliaia di famiglie hanno bisogno di un posto dove vivere, mentre solo il 20% della Striscia di Gaza è sfuggito alla distruzione. E gli israeliani continuano a bloccare l’ingresso di tende e roulotte, come degli aiuti necessari per costruire i rifugi. Lo stesso vale per tutto ciò che riguarda l’energia: l’accordo prevedeva il passaggio di 50 camion di carburante al giorno, ma ne passano solo tra i 5 e i 10. Erano previste anche delle forniture mediche per gli ospedali. Al momento in cui scrivo, non c’è stato ancora nulla. Di conseguenza, il sistema sanitario funziona ancora a regime molto ridotto.
Ecco la nuova arma israeliana: lasciarci in strada, nella miseria, nella non-vita, per portare a termine il piano Trump: lasciare che tutti partano il giorno in cui si apriranno le frontiere. Si aspettano che tutti si rassegnino ad andare in esilio per il futuro dei loro figli, perché non ci sono più scuole, né università, o per la loro salute, visto che mancano quasi del tutto gli ospedali.
Ecco perché sono tanti gli interrogativi sul passaggio alla seconda fase. Credo che gli israeliani prorogheranno a più riprese la prima fase, il tempo necessario per liberare tutti i loro ostaggi. Durante questo periodo, non revocheranno il blocco.
Ciononostante, io sempre sempre nei palestinesi e nel nostro senso di appartenenza a questa terra. Ci sarà sempre almeno una minoranza di palestinesi che rimarranno su questa terra, qualunque cosa accada. E sto parlando di tutta la Palestina. Il piano israelo-americano per Gaza verrà applicato presto anche in Cisgiordania. È ciò che sta già accadendo a Jenin, a Tulkarem, a Nablus. Anche in questo caso, però, se ne parla pochissimo. E quando lo si fa, non ci si rende conto dell’entità di queste operazioni. Ciò che interessa sapere è solo se un israeliano è stato ucciso o rapito, o se un attacco contro Israele è stato compiuto dalla Cisgiordania. In ogni caso, noi resteremo qui, anche se non ci sarà nulla da mangiare o da bere.
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