Diario da Gaza 75

“Il vero obiettivo della guerra è sul tavolo”

Rami Abu Jamous scrive il suo diario per Orient XXI. Giornalista fondatore di GazaPress, un’agenzia di stampa che forniva aiuto e traduzioni ai giornalisti occidentali, Rami ha dovuto lasciare il suo appartamento a Gaza con la moglie e il figlio Walid di due anni e mezzo. Rifugiatisi a Rafah, Rami e la sua famiglia sono stati costretti a un nuovo esilio interno, bloccati come tante famiglie in questa enclave miserabile e sovraffollata. Il 12 ottobre 2024, Rami ha ricevuto, per il suo Diario da Gaza, tre riconoscimenti al premio Bayeux per i corrispondenti di guerra. Questo spazio gli è dedicato dal 28 febbraio 2024.

Nell'immagine, tre ragazzi sono in piedi su un molo che si affaccia su una spiaggia e sul mare. Due di loro tengono in alto delle bandiere palestinesi, che sono di colore nero, bianco, verde e rosso. Il ragazzo più piccolo, in una felpa grigia, sembra osservare attentamente l'orizzonte. La scena è illuminata da una luce naturale, con il cielo blu e alcune nuvole sparse. Le onde del mare si infrangono dolcemente sulla riva, creando un'atmosfera tranquilla. Gli altri due ragazzi indossano abbigliamento casual e sembrano condividere un momento di riflessione insieme.
Gaza, 1 febbraio 2025. Due ragazzi reggono bandiere palestinesi mentre arrivano per vedere gli agenti di Hamas consegnare un ostaggio israelo-americano a una squadra della Croce Rossa a Gaza City.
Omar AL-QATTAA / AFP

Mercoledì 5 febbraio 2025.

Come sapete, non ho Internet nella nostra “villa”. Prima potevo connettermi a qualche rete wi-fi per strada, ma da quando sono partiti tutti, devo andare in ufficio, alla Presse House-Palestine, per avere delle notizie. Poteva avere notizie anche dai passeggeri del carro bestiame, il nostro mezzo di trasporto. Ma dopo il cessate il fuoco e il ritorno al nord di quasi tutti gli sfollati, non ci sono quasi più carri. Questo mercoledì mattina mi è toccato fare il tragitto a piedi.

Ho dovuto aspettare di arrivare in ufficio per sapere la notizia del giorno: “Rami, hai sentito le dichiarazioni di Trump?”. Ero scioccato, ma non sorpreso dalla dichiarazione di un uomo che vede il mondo solo come un modo per fare business. Non vede che davanti ha degli esseri umani. È l’uomo più potente del mondo, quello che ha la mano sul pulsante che può distruggere il mondo intero. L’uomo che può permettersi di dire che vuole annettere il Canada e la Groenlandia, affrontare la Cina e il Messico, e molto altro. Non ero quindi sorpreso nel sentirgli dire che Gaza sarebbe passata sotto la loro tutela, o addirittura che “possa appartenere agli Stati Uniti” per farne “la Costa Azzurra del Medio Oriente”. A quanto pare, quando si vive in una grande torre d’avorio, non è chiaro com’è la vita ai piani più bassi. Trump vive nella sua bolla da uomo d’affari, circondato da miliardari, come Elon Musk. Non può capire cosa significa vivere sotto occupazione, resistere all’occupazione con la ferma volontà di restare nella propria terra.

I suoi eufemismi non ingannano nessuno

La cosa strana è che Trump vuole costruire il muro di confine più grande del mondo come misura contro l’immigrazione illegale negli Stati Uniti, e allo stesso tempo chiede ai palestinesi di espatriare. Il presidente americano non capisce che, nonostante i quindici mesi vissuti sotto le bombe subendo massacri, eccidi, “israelerie” e uccisioni, noi vogliamo continuare a rimanere a Gaza. Sì, molti sono partiti per la paura di morire o per sfuggire alla macchina da guerra, pagando ingenti somme a un’agenzia egiziana. Ma questo non ha nulla a che fare con l’emigrazione di massa che Trump ha in mente.

Qui si reagisce facendo dell’umorismo, con battute tipo: “Quanto ci pagherà per farci andare via? Ah, io non parto per meno di due milioni di dollari. Io non voglio andare in Egitto, preferisco gli Stati Uniti”. Altri chiedono per scherzo: “Vuole che Hamas venga via con noi o che resti qui? E gli altri gruppi della resistenza vogliono andare in Egitto?”. Le dichiarazioni di Trump vengono prese con ironia, pur sapendo che bisogna prenderle sul serio.

Almeno Trump dice le cose in faccia, dice quello che pensa, mette tutto sul tavolo. I suoi obiettivi sono dichiarati. Dice: ecco, è così che risolverò il problema. E adesso, risulta chiaro che il vero obiettivo della guerra non sono più sotto, ma sul tavolo, alla luce del sole. Lo ripeto dall’inizio della guerra: l’obiettivo degli israeliani, di cui Trump si fa portavoce, non è quello di sradicare Hamas, né di liberare gli ostaggi israeliani, ma di espellere l’intera popolazione di Gaza nel Sinai o in altre zone. Gli eufemismi di Trump – “ragioni umanitarie” al posto di pulizia etnica, “cercare una vita migliore per loro” – non ingannano nessuno.

A Jenin, la stessa strategia di Gaza

Purtroppo, è un terreno fertile per il progetto Trump-Netanyahu. Il periodo della morte è finito, almeno per ora, ma ha lasciato il posto alla fase della non-vita, che è totalmente sotto il controllo israeliano. La popolazione vive ancora per strada, non arriva alcun aiuto per la ricostruzione, nemmeno tende o roulotte. Ci sono sempre problemi con l’acqua e l’energia elettrica. Non ci sono più asili, scuole, università, non c’è più un sistema sanitario, un sistema scolastico o dei sistemi di soccorso. Non c’è più nulla a Gaza. Gli israeliani hanno capito che chiudendo la porta, la gente sceglierà di andarsene. Per non fare più ritorno? Credo che chi parte non abbia alcuna intenzione di farlo definitivamente, ma lo fa con l’idea di tornare a Gaza, o in Palestina in generale.

Si parlerà di un esodo “volontario”. Ci uccidono, distruggono tutto, anche il carcere in cui ci hanno rinchiuso e, quando ci resta come unica soluzione l’esilio, allora dicono “non siamo stati noi a cacciarvi, è una vostra decisione”. Purtroppo, questa è la posizione della “comunità internazionale”. Non c’è stata alcuna vera denuncia di un piano di trasferimento, di una pulizia etnica. Durante la guerra, tutti hanno assistito a un genocidio in diretta, 24 ore al giorno, e nessuno ha avuto il coraggio di fermarlo. Credo che succederà lo stesso con il trasferimento forzato, anche se verrà presentato come “volontario”. Nessuno direbbe di no all’America, il papà del figlio viziato Netanyahu.

Ecco perché ho davvero paura che alla fine vedremo una grande emigrazione forzata. In molti vogliono partire per sfuggire alla non-vita, per il futuro dei loro figli. Ho già detto che Trump avrebbe aperto le porte di Gaza. Credo che ora ci siano le condizioni giuste. E non solo a Gaza. Guardate quello che sta succedendo attualmente in Cisgiordania. Gli israeliani stanno evacuando il campo profughi di Jenin, attuando la stessa strategia di Gaza: terrorizzare i residenti, distruggere le infrastrutture e le case, uccidere tutti. Con il consenso ovviamente del mondo intero, che guarda senza muovere un dito. E poi si leggono dichiarazioni come “siamo contro la pulizia etnica”. Ma non fate nulla contro i trasferimenti forzati. Non fate nulla contro la prepotenza dell’occupazione, che avviene in totale impunità.

La Palestina non sarà mai un principato di Trump

Siamo ancora in un periodo critico, in attesa che riprenda o meno la guerra, che avvenga o meno il passaggio alla seconda fase dei negoziati, senza sapere quale sarà il metodo che verrà adottato. Così Trump rivela il suo vero obiettivo di guerra, che è anche quello di Israele: trasferire i palestinesi fuori da Gaza nei Paesi vicini, in Egitto o in Giordania, al confine con la Cisgiordania. L’Egitto, con i suoi 115 milioni di abitanti, può assorbirne ancora 2 milioni. Per la Giordania è un po’ diverso perché un arrivo massiccio di palestinesi sconvolgerebbe il delicato equilibrio demografico tra i giordani di origine palestinese e gli altri, creando un pericolo per la monarchia.

È vero che la Giordania si dice contraria ad accogliere un esodo palestinese, così come l’Egitto. Ma non bisogna sottovalutare la carota di Trump. Stiamo parlando di 170 miliardi di dollari (163 miliardi di euro) per ogni paese, più 100 miliardi di dollari (96 miliardi di euro) per i palestinesi che scelgono l’esodo volontario. Credo che questo possa avere un certo peso, visto che la partenza dei palestinesi potrebbe non avvenire in tempi rapidi. Non avremmo visto due milioni di persone in coda al valico di Rafah. Trump ha quattro anni per organizzare il piano. Temo che, per sfuggire alla non-vita, i Gazawi che possono permettersi di pagare per andare via lo faranno, come durante la guerra quando un adulto poteva lasciare Gaza per 5.000 dollari (4.800 euro) e un bambino per 2.500 (2.400 euro), pagati a una “agenzia di viaggi” egiziana.

Ma confido ancora nella volontà dei palestinesi. Credo nel loro senso di appartenenza a questa terra. Credo che nessuno voglia davvero lasciare la Palestina. Credo che un giorno ricostruiremo Gaza e la Palestina. E che arriveremo a sottrarre turisti all’Occidente. Quelli della Costa Azzurra, perché abbiamo la spiaggia più bella del mondo. Senza contare che abbiamo i luoghi religiosi storici più importanti, oltre al deserto e alle montagne. La Palestina non sarà mai un principato di Trump, non sarà mai il castello di Trump in Medio Oriente. Sarà il castello dei palestinesi, la Costa Azzurra dei palestinesi e lo Stato palestinese.

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