
Martedì 29 luglio 2025
Domenica 27 luglio, al risveglio abbiamo saputo dell’annuncio del premier israeliano di voler far entrare gli aiuti umanitari a Gaza in modo regolare, compresi i lanci con il paracadute. Una notizia accolta favorevolmente da tutto il mondo perché segnerebbe la fine della carestia.
Purtroppo, l’annuncio non corrisponde alla verità. È stata una semplice reazione di Netanyahu alle proteste che montano da ogni parte. È significativa però la scelta della data: il 27 luglio segna l’inizio delle vacanze parlamentari in Israele. Per tutta l’estate non si terranno riunioni alla Knesset. Durante questo periodo, quindi, il parlamento israeliano non potrà far cadere il governo di coalizione. Inoltre, è anche la data della conferenza guidata da Francia e Arabia Saudita all’Onu, dove si è discusso della creazione di uno Stato palestinese. Netanyahu vuole quindi distogliere l’attenzione dichiarando di aver iniziato ad alleviare le sofferenze dei gawawi. In realtà, il premier ha autorizzato solo pochi camion. Centotrenta il primo giorno, cento il secondo. Tutti i camion sono stati saccheggiati da una popolazione affamata. È nulla rispetto alle attuali esigenze. È appena una goccia nell’oceano.
Secondo le Nazioni Unite, servirebbero oltre 700 camion al giorno per iniziare a soccorrere la popolazione di Gaza. C’è ancora la carestia. Posso testimoniarlo personalmente: una settimana fa, la mattina del 23 luglio, a casa non c’era più nulla da mangiare. Mio figlio Walid e io abbiamo preso l’abitudine di fare una colazione minima: un pezzo di pane con dukkah, una polvere a base di grano che di solito si mangia con olio d’oliva. Ora la mangiamo da sola, non c’è più olio... Walid mi ha chiesto: “Papà, mi fai un panino?”. Ma non c’era né pane, né dukkah.
Non è cosa da poco che la mamma riesca a preparare da mangiare
Per me è stata una catastrofe: era la prima volta che non avevo nulla da dare da mangiare a mio figlio, nonostante io faccia parte di quella piccola minoranza di fortunati che possono permettersi di comprare ogni tanto un chilo di farina e di dukkah. Ma al mercato non se ne trovava.
C’erano solo un po’ di lenticchie che abbiamo cucinato per Walid. Il giorno dopo sono riuscito a trovare della farina, altre lenticchie e un po’ di dukkah. Sono dieci giorni che mangiamo altro: un pezzo di pane e un po’ di dukkah al mattino, prima di tutto per Walid. Ci sono centinaia di migliaia di famiglie con figli che non hanno nemmeno questa possibilità. Alla fine della giornata, quando torno dall’ufficio, di solito prepariamo una zuppa o un piatto di lenticchie. È il nostro unico pasto della giornata. Mettiamo dei pezzetti di pane nelle lenticchie, per avere l’impressione di essere sazi.
Quello che amo di Walid è che non si lamenta mai. Dopo dieci giorni a questo regime, non ha mai detto: “Sono stufo di mangiare questa roba, papà”. Se vede qualcuno mangiare delle banane su YouTube, non mi chiede più le banane, ma dice: “Inch’Allah, avremo delle banane quando apriranno i valichi”. Non sa cosa sia un valico, è una parola che ha sentito pronunciare, ma lui significa che ci sarà del cibo. Quando torno a casa la sera, mi viene in braccio e mi dice: “La mamma ha preparato da mangiare”. Ed è contento. Secondo me, sa che stiamo vivendo una carestia e che non è cosa da poco che la mamma riesca a preparare da mangiare.
È necessario che la parola esca dalla bocca di un occidentale perché si muovano le cose
Mi vengono le lacrime agli occhi per il fatto di non poter dare a mio figlio che lo stretto necessario. Allo stesso tempo, mi considero fortunato che mio figlio abbia un pezzo di pane e un piatto di lenticchie. A differenza di molti bambini poco più grandi di lui, Walid non deve girare per il quartiere con una pentola o un piatto in mano per mendicare del cibo, né fare la fila davanti a una delle ultime tekiya, le mense di beneficenza, né davanti a un punto di distribuzione dell’acqua, con una tanica o un secchio in mano. Ci sono decine di migliaia di bambini che lo fanno ogni giorno. È questa la carestia.
È necessario che la parola esca dalla bocca di un occidentale perché le cose si muovano. Ringrazio l’Agence France-Presse (AFP), perché è grazie al suo forum che il mondo si è mobilitato. Quando, invece, è gazawi a dirlo, non conta. Perché noi che abitiamo a Gaza non possiamo essere giornalisti, vero? O siamo pro-Hamas, o siamo intimoriti da Hamas - e, in ogni caso, facciamo della propaganda. Ma quando a muoversi è un’agenzia internazionale, allora è un’informazione sicura. È l’AFP che ha dato il via alla mobilitazione, e poi hanno cominciato a girare quelle foto di bambini scheletrici. Ma la propaganda israeliana non si ferma. Continua a capovolgere la realtà: “Non c’è alcuna carestia, è Hamas che dirotta gli aiuti”. Del resto, tutto ciò che accade a Gaza è opera di Hamas. È Hamas che uccide le persone che vengono a cercare aiuto nei punti di distribuzione. Lì non si distribuiscono aiuti, ma si dispensa morte.
Nonostante tutto, ci sono persone e media che continuano ad avere paura di usare la parola carestia. Bisogna dire loro che non è necessario aspettare che muoiano tutti per dire che c’è la carestia. È la stessa polemica nell’uso della parola “genocidio”. Si deve aspettare che a Gaza muoiano tutti per pronunciarla?
Chi non vuole ascoltare i palestinesi, perché non ascolta i leader israeliani? Sono loro stessi a dire che vogliono affamare la popolazione palestinese. Il ministro della Difesa ha dichiarato che il suo esercito sta usando gli aiuti umanitari per spostare la popolazione di Gaza verso il sud della Striscia. Ha parlato di “città umanitaria” per indicare un campo dove ha intenzione di ammassare 700.000 persone in tende, prima di mandarle all’estero. I ministri di estrema destra dicono chiaramente che bisogna affamare la popolazione di Gaza. Rifiutano anche l’ingresso degli aiuti umanitari.
A causa della carestia, sempre più persone vengono uccise davanti ai centri di distribuzione. Oggi ci sono centinaia di migliaia che cercano di procurarsi qualcosa in quei centri. Tutti tentano la fortuna, anche chi ha i mezzi per comprare a prezzi molto alti, perché nei mercati non c’è quasi più nulla.
Siamo entrati nella legge della giungla
La carestia sconvolge le società. I francesi sanno bene il ruolo che ha avuto la mancanza di pane nel 1789. La carestia può sfociare in una rivoluzione. Ma prima che ciò avvenga, cambia anche i costumi. Non si riempie uno stomaco vuoto con regole sociali o leggi. Lo si riempie con il pane. All’inizio, quelli che saccheggiavano i camion degli aiuti umanitari venivano chiamati ladri. Oggi si dice che vogliono solo sopravvivere. Naturalmente ci sono sempre dei clan, delle bande organizzate dedite al saccheggio che rivendono gli aiuti umanitari al mercato nero. È esattamente ciò che cercano gli israeliani: il caos nella sicurezza, il caos umanitario, il caos psicologico. Quando la polizia di Hamas voleva proteggere i camion, l’esercito israeliano li bombardava, perché vuole che i camion vengano attaccati dalle bande, o addirittura dall’intera popolazione. Guardate quelle immagini di migliaia di persone che aspettano il passaggio dei camion. Siamo entrati nella legge della giungla. Il più forte se ne approfitta e al più debole non resta nulla.
In quella calca, non si sa più chi è chi. Dei clan? Degli affamati che vogliono semplicemente sfamare le loro famiglie? O rivendere il cibo? È questo miscuglio che distrugge la società. Ricevo ogni giorno centinaia di telefonate da persone che non riescono più a sfamare i propri figli. Mi chiedono: “Rami, se potessimo avere solo un chilo di farina...”. I bisogni sono troppo grandi per poter aiutare tutti. Una famiglia media a Gaza è composta da sette persone. Nessuno a Gaza ha la possibilità di sfamarle, se non con gli aiuti umanitari. Gli israeliani usano l’arma della fame, perché sanno bene che la fame giustifica ogni mezzo. I gazawi sono disposti a tutto per un sacco di farina, per fare il pane o per venderlo al mercato nero a prezzi folli. Tutti lottano per la sopravvivenza. E il carnefice ci lancia dei pezzi di pane, costringendo tutta la popolazione di Gaza a partecipare a quegli Hunger Games di cui ho già parlato.
Finiremo per ucciderci l’un l’altro
È da quasi due anni che viviamo una pulizia etnica, un genocidio: continui spostamenti, bombardamenti, bambini fatti a pezzi, decapitati, intere famiglie carbonizzate o sepolte sotto le macerie. Ma quello che stiamo vivendo in queste ultime due settimane, senza poter dare da mangiare ai nostri figli, è senza dubbio il momento peggiore. Ecco perché ora la priorità è far arrivare gli aiuti umanitari, per impedire che la nostra società precipiti nel caos. Gli israeliani ci spingono alla rivolta contro noi stessi. Finiremo per ucciderci l’un l’altro. Non siamo arrivati al cannibalismo, come è successo in società afflitte dalla carestia. Ma è ognuno per sé. Durante gli assalti ai convogli umanitari, si vedono persone che litigano con coltelli e taglierini. Ci sono regolarmente dei feriti. Ognuno vuole andarsene con un sacco di farina, che farà la differenza tra la vita e la morte per la propria famiglia.
Prima, durante i bombardamenti, durante gli spostamenti, eravamo tutti insieme, costruivamo insieme campi di fortuna, ci aiutavamo a vicenda. Ora la priorità è il nucleo familiare. Certo, c’è ancora vita sociale, c’è ancora gente intorno a noi. Seppelliamo insieme i nostri cari, i nostri vicini. Ma siamo arrivati ad aggredire qualcuno, persino ucciderlo, per rubargli un sacco di farina. Lo ripeto, la fame giustifica i mezzi. Questa immagine umiliante è quella che gli israeliani vogliono mostrare al mondo intero. La fame è davvero un’arma letale.
Tutto questo deve finire. Gli aiuti umanitari devono arrivare in modo continuo, regolare, fluido. Netanyahu parla di sospendere le operazioni militari a Gaza City, Deir al-Balah e Al-Mawasi, ma gli aiuti umanitari devono arrivare nelle zone rosse [le zone soggette a ordine di evacuazione]. Tutto il resto è propaganda israeliana, per dire che stanno facendo qualcosa. Gli aiuti devono arrivare anche lì dove dicono di sospendere le operazioni militari dalle 10 alle 20, decisione viene regolarmente ignorata. Hanno bombardato la città di Gaza, Deir al-Balah, Al-Mawasi. Ci sono stati molti morti. Quelle degli israeliani sono solo affermazioni di facciata a livello mondiale.
Gli aiuti che fanno passare, e in modo umiliante, non bastano per eliminare la carestia. Servono pressioni da parte del mondo intero per far entrare gli aiuti umanitari attraverso le Ong internazionali e le Nazioni Unite. Ci sono 400 centri di distribuzione di aiuti umanitari nella Striscia di Gaza, mentre la Gaza Humanitarian Foundation (GHF), che io chiamo “Gaza Criminal Foundation”, ha solo quattro punti di distribuzione. Per 2,2 milioni di persone. Siamo davvero alla farsa.
Spero che non sia troppo tardi per la nostra società, che riesca a mantenere i valori che regnavano a Gaza e, in generale, in Palestina. La mia speranza che nessun altro bambino muoia di fame.
Ti è piaciuto questo articolo? Orient XXI è un giornale indipendente, senza scopo di lucro, ad accesso libero e senza pubblicità. Solo i suoi lettori gli consentono di esistere. L’informazione di qualità ha un costo, sostienici