
Giovedì 28 novembre 2024.
È dal primo giorno di guerra che le cattive notizie si accumulano. Quasi ogni giorno, da oltre quattordici mesi, vengo a sapere della perdita di un parente, un amico, una persona cara, un vicino, un collega. Tutti morti in questo genocidio, uccisi dalle bombe, dalle malattie, dalla fame.
Ma la brutta notizia questa volta non è arrivata da Gaza, o più in generale dalla Palestina, ma dalla Francia. Ieri ho saputo della morte di Marine Vlahovic.
Marine era una delle giornaliste con cui lavoravo a Gaza. Eravamo diventati amici. Corrispondente freelance, viveva a Ramallah e ha scritto molti reportage per vari media francesi, come ARTE, France Culture e RFI. L’avevo soprannominata “Marine la macchina”, perché lavorava senza sosta. Abbiamo scritto anche più articoli in una sola giornata. Era piena di entusiasmo, sempre molto attiva. Ma soprattutto, cosa che ho scoperto dopo, aveva anche una profonda umanità. Era una giornalista controcorrente, gelosa della sua libertà.
La prima a rompere il blocco
La nostra collaborazione è finita quando le autorità di Hamas hanno cominciato a fare pressione sui giornalisti, soprattutto stranieri. Io stesso ho dovuto interrompere il mio lavoro di fixer1 per i giornalisti occidentali. Così sono partito in attesa che le cose si calmassero. Marine, invece, è stata costretta a fare ritorno definitivamente in Francia nel 2019, perché l’esercito israeliano, che ha il controllo delle frontiere palestinesi, le aveva negato il rinnovo del visto. Tutti sapevano che era una sostenitrice della causa palestinese e che aiutava la popolazione di Gaza. Ma Marine ha continuato a farlo, facendo passare vestiti, medicinali, cibo, tutte cose proibite dal blocco israeliano.
Dopo la sua partenza, non ci eravamo più sentiti, fino a quando, all’improvviso, all’inizio della guerra, ho ricevuto una sua telefonata. Anche a telefono, potevi sentire il suo sorriso, una vera luce nell’oscurità di questo mondo in cui ci tocca vivere. Marine l’ha sempre conservato quel sorriso, quel suo amore per la vita e per le persone. Quando ho sentito la sua voce, ero molto felice. Marine era stata la prima a rompere il blocco durante la guerra, facendo passare dei regali per Walid. È grazie a Marine che mio figlio ha ricevuto il suo primo giocattolo, quando siamo arrivati a Rafah, prima tappa del nostro esodo. Anche le medicine per i bambini sono arrivate grazie a Marine, senza dimenticare i vestiti invernali, sempre per merito di Marine. È stata la prima a trovare delle soluzioni. Grazie ai suoi contatti, è riuscita a farmi avere un cellulare che mi ha permesso di salvare oltre 1.000 numeri di telefono. Mi ha spedito delle schede e-SIM per essere in contatto con il mondo esterno. Non ha mai smesso di sostenermi. La sua ultima spedizione è arrivata a Gerusalemme: scarpe, vestiti pesanti e dei premaman per mia moglie Sabah. Siamo riusciti a far entrare una piccola parte di questi pacchi a Gaza.
Aveva pensato a tutto. C’era anche della cioccolata e dei giocattoli per Walid, vestiti per tutta la famiglia. Non dimenticherò mai il suo aiuto. Il primo giorno in cui ci siamo sistemati a Rafah, ho dato uno zainetto a Walid. Dentro, mio figlio ci ha trovato un orsetto di peluche. “È un regalo di Marine!”, ho detto e il suo viso si è illuminato. A quel tempo, parlava a malapena, ma continuava a ripetere: “Grazie, Marine!”. Da allora, ogni volta che arrivava un pacco dalla Francia, diceva sempre “Marine!”. Per Walid, Marine era Babbo Natale. Era la gioia, il sorriso, un faro nell’oscurità di questo mondo.
Marine, non ti dimenticherò mai. Né io, né la mia famiglia ti dimenticheremo mai. Per Walid, il tuo nome era la parole d’ordine. Il semplice fatto di pronunciarlo faceva scattare un grande sorriso. Quando gli ho detto: “Andremo presto in Francia”, mi ha risposto: “Marine! Marine!”. Tu eri la prima persona che voleva vedere il giorno in cui saremmo arrivati in Francia. Mi chiedeva sempre di fargli vedere il video in cui lo salutavi e lui ti rispondeva. Walid diceva sempre: “Accendi il cellulare, voglio vedere Marine!”. So che non siamo gli unici a pensare a te, e che ci sono decine, forse centinaia di famiglie che provano gli stessi sentimenti e che vorrebbero dirti quello che sto cercando di dire.
Non sopportava l’ingiustizia
Marine non ha portato gioia solo a Walid, ma voleva aiutare tutti. Quando è scoppiata la guerra, Marine ha fatto tutto il possibile per far uscire da Gaza tutti i giornalisti palestinesi che conosceva, o quelli che aveva incontrato. All’epoca si trovava in Egitto. Marine ha chiamato il Consolato francese a Gerusalemme, l’ambasciata francese al Cairo. Mi ha proposto più volte di farmi evacuare con la mia famiglia, perchè poteva aiutarmi ad entrare nelle liste dal Consolato francese o dall’Ong Reporter senza frontiere. È così che Marine ha aiutato tante persone a uscire, compresi i miei amici. Era pronta perfino a organizzare una raccolta fondi a mio nome, perché all’epoca bisognava pagare somme esorbitanti alle autorità egiziane per poter valicare il confine. Ogni volta che rifiutavo, lei insisteva, dicendomi:
Rami, partire non vuol dire fuggire, è un’occasione per te di riprendere a lavorare dopo la guerra. Se tutti muoiono, non ci sarà più nessuno a parlare di Gaza.
Ma per me significava: “No, non me ne andrò finché la guerra non sarà finita”.
Ma le sue battaglie non si esauriscono qui. Marine ha lottato per far entrare in Francia chi era stato bloccato in Egitto, facendo pressioni sulle Ong e sul Ministero degli Affari Esteri francese. Quello che Marine non sopportava era l’ingiustizia. Avevo ancora tante cose da dirle e aspettavo il giorno in cui ci saremmo rivisti. Quando ho raccontato su Orient XXI che il sogno di Moaz, il figlio maggiore di mia moglie, era quello di visitare la Francia e poi andare a Madrid e Barcellona per vedere giocare le grandi squadre di calcio spagnole, Marine mi ha subito chiamato per dirmi che era disposta ad accompagnarci a vedere il Velodromo di Marsiglia, e che ci avrebbe anche organizzato una visita guidata della città.
“Come osano? Ora li chiamo io!”
Voleva anche presentarmi a suo padre, un lettore attento dei miei articoli su Orient XXI. Se un giorno riuscirò ad andare in Francia, andrò a trovarlo, non solo per fargli le mie condoglianze, ma anche per dirgli quanto Marine fosse una cara amica di famiglia. Walid e mia moglie aspettavano il giorno in cui sarebbero andati in Francia per ringraziare Marine. Quando ieri sono tornato nella nostra tenda, non volevo dare la notizia a Sabah. Ma vedendomi così sconvolto, mia moglie ha insistito. Le ho detto che Marine ora riposava in pace. Sabah ha cominciato a piangere. Anche se non la conosceva personalmente, per lei, come per Walid, Marine era sinonimo di sostegno, ma anche di gioia.
Marine, voglio dirti quanto il tuo sorriso sia stato importate per noi, e soprattutto per Walid. Avrei ancora tante, tante cose da dirti, ma al momento non riesco a trovare le parole in grado di esprimere tutto quello che tu hai fatto per noi, i tuoi gesti saranno per sempre impressi nei nostri cuori.
Eri come una sorella maggiore per me, mi davi sempre dei consigli. Eri in ansia per i miei rapporti con i datori di lavoro. Mi chiedevi sempre: “Rami, ti hanno pagato? Ti hanno fatto un contratto? L’hanno registrato?”. Poi mi dicevi:
Lo so, Rami, che per te il denaro è l’ultima cosa ti interessa. Non hai mai pattuito tuoi compensi, ma devi guadagnare dei soldi per vivere e mantenere la tua famiglia. E a Gaza tutto costa caro.
E quando le dicevo che non ero stato pagato per qualche lavoro, lei sobbalzava: “Come osano? Ora li chiamo io!”. Ogni volta le dicevo di lasciare stare, ma lei voleva proteggermi.
Cosa dirò a Walid?
Era da circa due mesi che avevi smesso di scrivermi ogni mattina “sabaho”, un modo colloquiale di dire “buongiorno” in arabo. Ti avevo scritto: “Marine, non mi scrivi più sabaho, c’è qualcosa che non va?”. Mi avevi risposto: “No, va tutto bene”, ma sentivo che c’era qualcosa che non andava. Negli ultimi tempi, ti ho fatto varie volte la stessa domanda, ma tu non mi hai voluto rispondere e così non ho più insistito. Sapevo che non ti piaceva parlare di te, soprattutto con chi vive in un inferno inimmaginabile e cerca di sopravvivere in mezzo a un genocidio. Ma io non dimenticherò mai quello che hai fatto, Marine.
Cerco di trovare le parole, ma non le trovo. Ho un groppo alla gola, perché ho ancora le lacrime agli occhi. Ci tenevo che tu sapessi quanto ti abbiamo amato, e quanto ti amiamo ancora. Tutta la famiglia ti ama. Walid si ricorderà sempre di te, del tuo nome, del tuo sorriso e della gioia che portavi ogni volta. Forse riceveremo un tuo ultimo pacco, è ancora fermo a Gerusalemme? Se è così, cosa dirò a Walid quando mi chiederà: “Dobbiamo chiamare Marine per ringraziarla o mandarle un messaggio?”. Ti manderemo un messaggio ovunque tu sia ora. Riposa in pace. Riceverai sempre il messaggio di Walid per dirti quanto ti vuole bene, perchè è grazie a te che avrà sempre quel grande sorriso. Perdonami se non riesco a trovare parole all’altezza di quello che hai fatto per noi palestinesi, per la mia famiglia e per me.
Ti vogliamo tutti bene Marine. Riposa in pace.
1Chi aiuta a stabilire contatti; con particolare riferimento a chi è nato o vive in zone di guerra e aiuta i giornalisti a entrare in contatto con gli ambienti locali. [NdT].