
Sabato 6 giugno 2025.
L’ex ministro della Difesa israeliano e membro della Knesset, Avigdor Lieberman ha “rivelato” giovedì alla radio Kan Reshet che Israele “sta fornendo armi a un gruppo di criminali e detenuti affiliato a Daesh1, su istruzione del primo ministro”. L’operazione è stata condotta “con l’approvazione di Netanyahu” ma “senza passare dal Consiglio dei ministri”. Sempre secondo l’ex ministro, “il capo dello Shin Bet [i servizi segreti interni] ne era al corrente, ma non so in che misura fosse informato il capo di Stato Maggiore”.
Netanyahu non ha smentito le accuse. L’ufficio del premier ha ribadito: “Israele agisce per sconfiggere Hamas con diversi mezzi, su consiglio dei responsabili della sicurezza”.
Questo presunto segreto di Stato è un segreto di Pulcinella, come dicono i francesi. Dimenticate Daesh, che fa parte del folklore della propaganda israeliana. Non c’è nessuno Stato Islamico a Gaza. Si tratta di clan mafiosi che, prima del blocco, si appropriavano dei camion degli aiuti umanitari internazionali, con la complicità dell’esercito israeliano. Ho parlato a lungo di queste bande organizzate nel mio Diario da Gaza. Ma come al solito, la parola di un giornalista palestinese desta sospetti. Al contrario, la narrazione israeliana è considerata autentica, anche quando parla a ruota libera. Questo fa parte della guerra mediatica che stiamo subendo, oltre alla guerra vera e propria. Oggi, la manipolazione di queste bande da parte di Israele è stata confermata dal premier in persona.
Una “milizia anti-Hamas”
Allo stesso tempo, la principale di queste organizzazioni cerca di legittimarsi presentandosi come un movimento armato di “protezione della popolazione”. È quanto riporta la pagina Facebook pubblicata, in inglese, con il nome di “Yasser Abu Shabab — Popular Forces». La foto del profilo raffigura un uomo sulla quarantina che fissa l’obiettivo, vestito con un giubbotto antiproiettile e in mano un fucile d’assalto, sullo sfondo di incendi e affiancato da un’aquila in volo.

Quest’uomo è Yasser Abu Shabab, tutt’altro che sconosciuto (vedi foto in prima pagina). Condannato e incarcerato per traffico di droga dalla giustizia di Gaza, è membro di un importante clan beduino. Era evaso all’inizio della guerra, approfittando di un raid sulla prigione dov’era detenuto da parte degli israeliani, prima di intraprendere una carriera di saccheggiatore di convogli di aiuti umanitari. Sempre con lo stesso copione: gli israeliani obbligano i camion a passare per strade vietate alla popolazione di Gaza, tranne che agli uomini di Abu Shahab, che li aspettano, spesso con armi nuove di zecca, cosa che faceva già sospettare che fossero fornite dagli israeliani. Gli obiettivi di Israele erano evidenti: seminare il caos, dimostrare che l’ONU non era in grado di proteggere i suoi convogli e accusare Hamas, mentre i droni israeliani sparavano sistematicamente sui suoi attivisti che cercavano di proteggere i camion sulla strada per i depositi.
Ultimamente, però, Israele sembra avallare il nuovo ruolo che Yasser Abu Shabab vuole assumere, quello di milizia anti-Hamas. Tra il saccheggiatore e il movimento islamico è guerra aperta: nel novembre 2024, quest’ultimo ha giustiziato nove membri del gruppo, tra cui un fratello di Yasser Abu Shahab. Sulla sua pagina, Abu Shabab accusa quelli di Hamas di essere dei “mercenari iraniani”. Ora dichiara di “controllare una zona della Striscia di Gaza, liberata da Hamas”. L’uomo sostiene di agire “in coordinamento con l’Autorità palestinese”, che definisce “legittima”. Quest’ultima ha però negato qualsiasi relazione con Abu Shabab. Sulla pagina Facebook si trovano video dei suoi uomini armati davanti a veicoli 4X4. Abu Shabab assicura anche di proteggere i pochi camion di aiuti umanitari che stanno di nuovo rientrando.
Israele vuole creare dei “Sahwa” a Gaza
Ma proteggerli da chi e da cosa? Abu Shahab e i suoi uomini si sono stabiliti nei pressi di Rafah, in tende e nei pochi edifici rimasti in piedi, in una zona completamente occupata dall’esercito israeliano, dove non c’è più nessun palestinese, a parte loro.
Il leader “anti-Hamas” vuole attirare gli abitanti di Gaza in questa zona, con la proposta di facilitare il loro ingresso grazie a un “coordinamento” con gli israeliani. Giura che il luogo è sicuro, che non verrà bombardato e che lì si troveranno tende e cibo. Sulla sua pagina Facebook sono riportati dei numeri di telefono che chiunque può chiamare.
Questa operazione condotta da un capobanda diventato capo milizia fa tornare alla mente dei precedenti. Gli israeliani stanno cercando di rifare ciò che avevano fatto durante la loro occupazione del Libano meridionale tra il 1978 e il 2000. Avevano costituito e equipaggiato l’Esercito del Libano Meridionale (ALS), una milizia inizialmente guidata da Saad Haddad e successivamente incaricata di combattere Hezbollah, sotto il comando di Antoine Lahad. Si può anche fare un raffronto con quanto avvenuto in Iraq, dove gli americani avevano finanziato milizie tribali, i Sahwa (“Risveglio”), con il compito di rappresentare la comunità sunnita nello scontro con Al-Qaeda. Anche Israele vuole creare dei Sahwa a Gaza. Ma Gaza non è né il Libano né l’Iraq. Hamas non è solo un movimento armato. È innanzitutto un’ideologia, che si può approvare o meno, ma che è radicata nella società da oltre 40 anni. Inoltre, a Gaza non ci sono divisioni confessionali tra sciiti e cristiani come in Libano (Haddad e Lahad erano entrambi ufficiali cristiani), né tra sunniti e sciiti come in Iraq. C’è solo una guerra tra occupanti e occupati. Gli israeliani sanno che non possono vincerla, quindi vogliono trasformarla in una guerra civile, come sono riusciti a fare gli americani in Iraq.
Il nostro popolo non si lascia ingannare
Gli israeliani credono che gli abitanti di Gaza sosterranno le cosiddette “Forze popolari” contro Hamas. È vero che la popolarità di Hamas è in calo, non solo dal 7 ottobre 2023, ma già da molto tempo prima. Sin dalla loro presa di potere nel 2007, molti abitanti di Gaza erano in disaccordo con la loro politica. Ma ciò che gli israeliani non capiscono è che noi facciamo una distinzione tra i collaboratori e i nostri fratelli. Si può avere un fratello che commette tanti errori, che ci trascina in una guerra senza fine. Ma quel fratello, qualunque cosa gli si possa rimproverare, muore con noi, vive il genocidio con noi. Abu Shabab e i suoi uomini, invece, lavorano per l’occupante.
Non è la prima volta che gli israeliani tentano una simile manipolazione a Gaza. Hanno già cercato di cooptarne alcune grandi e potenti famiglie, ma i loro capi hanno rifiutato. Del resto, Yasser Abu Shabab non rappresenta il suo clan, che non condivide le sue azioni. Shabab è a capo di una banda di una cinquantina di uomini. Il capo delle cosiddette “Forze popolari” agisce dunque a titolo personale.
Gli abitanti di Gaza non vogliono una guerra civile. Vogliono la fine della guerra, la fine del genocidio e una soluzione politica, che sia un governo dell’Autorità Nazionale Palestinese o di chiunque altro. Non vogliono rivivere una guerra tra fazioni, come quella del 2007 tra Hamas e Fatah. Nessuno accetterà che ci si uccida a vicenda. Il nostro popolo non si lascia ingannare. Sa benissimo quali trame e complotti sono in corso.
Il giorno in cui gli israeliani hanno lasciato il Libano meridionale, il generale Antoine Lahad, condannato a morte per tradimento nel suo Paese, è fuggito in Israele e non ha mai fatto ritorno in Libano. Quando gli americani si sono ritirati dall’Iraq, i Sahwa sono progressivamente scomparsi. Quando gli israeliani decideranno di ritirarsi, scompariranno anche tutti questi clan. È nel loro interesse riflettere sugli eventi storici.
1L’Organizzazione dello Stato Islamico.