Diario da Gaza 77

“Ora dovremo affrontare un’altra sfida: c’è una nuova vita da proteggere”

Rami Abu Jamous scrive il suo diario per Orient XXI. Giornalista fondatore di GazaPress, un’agenzia di stampa che forniva aiuto e traduzioni ai giornalisti occidentali, Rami ha dovuto lasciare il suo appartamento a Gaza con la moglie e il figlio Walid di due anni e mezzo. Rifugiatisi a Rafah, Rami e la sua famiglia sono stati costretti a un nuovo esilio interno, bloccati come tante famiglie in questa enclave miserabile e sovraffollata. Il 12 ottobre 2024, Rami ha ricevuto, per il suo Diario da Gaza, tre riconoscimenti al premio Bayeux per i corrispondenti di guerra. Questo spazio gli è dedicato dal 28 febbraio 2024.

Nell'immagine si vede un bambino più grande che sorride mentre tiene in braccio un neonato avvolto in una coperta blu. Il bambino più grande ha i capelli scuri e lunghi, e indossa una maglietta rossa. Il neonato ha i capelli scuri e un'espressione curiosa. Sullo sfondo ci sono delle coperte sul lettino, creando un'atmosfera accogliente e familiare.
Nuseirat, 18 febbraio 2025. Walid felice di presentarci il suo fratellino Ramzi

Cari amici lettori e care amiche lettrici, Dio ci ha mandato un piccolo barlume di speranza, un segno d’amore. Speravamo fosse un fiore, e invece è arrivato un leoncino. Il 14 febbraio 2025, all’American Hospital, uno degli ospedali da campo nel sud della Striscia di Gaza, gestito dall’Ong International Medical Corps, è nato Ramzi, un nome che vuol dire “simbolo”. Questo leoncino è il simbolo della nostra determinazione, della nostra resistenza, del nostro desiderio di dimostrare al mondo intero che a Gaza c’è ancora amore, vita, ma soprattutto coraggio.

Sabah ha avvertito le prime contrazioni venerdì intorno alle ore 15, così ho subito chiamato la nostra ginecologa all’American Hospital (il personale è composto da medici palestinesi), che mi ha detto di andare subito in ospedale. Dopo che la nostra tenda è stata distrutta, viviamo in un piccolo appartamento preso in affitto a Nuseirat, in una zona in cui ci sono posti dov’è possibile partorire. Abbiamo scelto l’appartamento proprio per questo motivo. Lì c’è l’ospedale da campo, ma anche il reparto maternità dell’ospedale Al-Awda, a meno di cinque minuti di macchina. Fa parte della stessa struttura dell’ospedale Al-Awda, nel nord della Striscia di Gaza, che è stato praticamente distrutto dagli israeliani, ma questa è una piccola struttura di quattro piani che non ha subito troppi danni.

Quando Sabah è entrata nell’ultimo mese di gravidanza, ho noleggiato una jeep da un vicino di casa per essere sicuro di non doverla portare in ospedale su un carro bestiame, dove avrebbe rischiato di partorire visti i tanti scossoni e sobbalzi dovuti a questi mezzi di trasporto improvvisati. Verso le 18, Sabah mi ha detto “a quanto pare, ci siamo!”. Ho preso la borsa con tutte le cose per il bambino. Abbiamo deciso di portare con noi anche Walid perché era impaziente di vedere il suo fratellino dopo aver visto crescere la pancia della mamma. Ci avvicinavamo alla pancia, dicendo: “Salam aleikum Ramzi, come stai? Yalla, sbrigati perché Walid ti sta aspettando, vuole giocare con te, sarai il suo fratellino e lui si prenderà cura di te”. Ogni volta Walid ripeteva: “Dai forza, Ramzi, andiamo a giocare insieme. Dai piccolino, ci penso io a te”. Cercavo di preparare Walid all’idea che potesse essere geloso di Ramzi. Prima tutti a dire Walid, Walid, Walid, mentre ora tutti avrebbero detto Ramzi, Ramzi, Ramzi. Così ho detto: “Andiamo. Sta per nascere... è il momento, andiamo da Ramzi? Sì, è arrivato il momento... andiamo dalla dottoressa Raghood?”. È il diminutivo di Raghda. Walid sta prendendo esempio da suo padre. Mi piace dare dei nomignoli, è un modo per rendere le relazioni meno formali, se si può dire così. La dottoressa Raghda è la ginecologa che ha seguito Walid e ora Ramzy. Dobbiamo ringraziare lei se è andato tutto bene. È lei che si è presa cura di Sabah, stando accanto a lei per le 4 o 5 ore del parto. Per questo ringrazio la dottoressa di vero cuore.

Una piccola isola di luce nel buio

Siamo arrivati tutti e tre in ospedale, Walid era alla mia sinistra e Sabah sottobraccio. Nonostante ci siano solo tende, è un ospedale molto ben attrezzato, con tutto il necessario, riscaldamento, condizionatori, come gli accampamenti militari quando gli eserciti devono restare di stanza a lungo. L’ospedale ha anche un grande generatore continuamente in funzione. È una piccola isola di luce nel buio di Gaza. Era come essere in pieno giorno. Li regnava anche un gran silenzio. A parte il ronzio di qualche drone israeliano, si poteva sentire il rumore delle onde, perché l’ospedale si trova in riva al mare. C’era anche la luna piena. Così ho detto: “Guarda, Sabah, c’è la luna piena. È un bel giorno per la nascita di Ramzi, ed in più è San Valentino, la festa dell’amore”. Un riferimento più o meno esplicito ai miei amici francesi, ma non solo. Qui, come in altri paesi musulmani, il giorno di San Valentino è diventato una festa popolare, slegata da ogni contesto religioso. Infatti, si dice la festa di “Valentine”, pronunciata all’ inglese.

In ospedale si sono subito presi cura di Sabah. Io non potevo restare lì con lei perché agli uomini non è permesso visto che le donne partoriscono tutte nella stessa grande tenda, con i letti separati da semplici tende. Quando è nato Walid, ero rimasto accanto a Sabah fino al momento del parto cesareo, filmando tutto. Sono stato il primo a prendere in braccio Walid, anche prima di Sabah. Ma qui no, ho aspettato fuori insieme a Walid, usando la mia solita strategia: farlo correre fino a stancarlo in modo che poi si addormenti. Così ci siamo rincorsi tra le tende, alla luce della luna piena, poi mi sono seduto su una sedia e, come previsto, si è addormentato tra le mie braccia. Poi l’ho portato in macchina per farlo stare al caldo.

Verso le 22 e 30, ho chiamato l’infermiera che mi ha detto che potevo portare la borsa con gli effetti personali del bambino. A quel punto Walid si è svegliato, e ha capito subito: “Papà, è nato Ramzi?”. Ho detto di sì, e lui subito: “Voglio vedere la mamma!”. L’infermiera ha risposto: “Va bene, ma papà non può entrare”. Walid è tornato dopo dieci minuti, annunciando che Ramzi era nato. Allora ho insistito per vedere mia moglie. L’infermiera ha deciso di fare un’eccezione, “solo per te”. Allora mi hanno fatto entrare nella sala delle tele. L’infermiera mi ha permesso di tenere Ramzi in braccio. Walid aspettava la mia reazione, così ho avvicinato il bambino perché potesse dargli un bacio. Ero contentissimo. È durata tre o quattro minuti, l’infermiera non poteva farci stare di più.

Ho chiesto di vedere Sabah, ma mi hanno detto “sua moglie sta bene, ora però non è possibile vederla”. Alla fine, siamo riusciti a tornare a casa, o almeno in quella che è la nostra casa temporanea, intorno alle 3 del mattino. Sabah era stanca, ma sorridente e molto felice. Anch’io ero felice che fosse andato tutto bene. È vero, Sabah ha dovuto partorire sotto una tenda, in un ospedale da campo, ma la struttura era in buone condizioni. Siamo stati fortunati perché l’ospedale aveva tutto ciò che serviva, anche grazie alla buona posizione del nostro nuovo appartamento. Per fortuna, il parto è avvenuto dopo il cessate il fuoco. A Gaza, migliaia di donne hanno dovuto partorire sotto tende di fortuna, senza medici e in mezzo ai bombardamenti. Secondo le stime, sono circa 70.000 le donne incinte dall’inizio della guerra.

Siamo tornati con il nostro simbolo d’amore e coraggio, amore per la nostra patria, fermamente decisi a rimanere qui, in Palestina. Eravamo tutti esausti. Siamo crollati sui materassi, che ora sono il nostro unico mobilio. Ramzi era al caldo sotto le coperte. Sabah lo ha allattato e il piccolo si è addormentato. Poi ci siamo addormentati tutti quanti... Ma un’ora dopo, mi ha svegliato un suono che non sentivo da tempo: era un bambino che piangeva. La cosa mi ha reso molto felice. Sorridendo, ho detto a Sabah: “Ora dovremo affrontare un’altra sfida: c’è una nuova vita da proteggere, ma sono felice”. E lei: “Lo sono anch’io. Andremo avanti. Il nostro giardino è diventato più grande, è spuntata una nuova rosa”.

È nato un nuovo leoncino. È il nostro modo di resistere

La mattina dopo, ho chiamato la ginecologa per dirle che le avremmo portato dei dolci, quelli che chiamiamo halawan. È un’usanza tipica per festeggiare un successo, come il superamento di un esame o, ovviamente, una nascita. Sono andato in una pasticceria vicino casa per comprare nove chili di baklava e kollaj1. Le pasticcerie devono ancora un po’ arrangiarsi perché il baklava è fatto con le mandorle e il kollaj con un impasto di semola al posto della crema, ma i dolci sono comunque buoni! Ho preso anche dei cioccolatini, che arrivano in gran quantità dalle aziende private dopo il cessate il fuoco. Sabah e io li abbiamo portati in ospedale, e con noi c’era anche il piccolo Ramzi e Walid, che, quando ha visto la dottoressa, ha cominciato a strillare: “Dottoressa Raghood, abbiamo portato dei dolci per te!”. Li abbiamo offerti a tutto il personale, infermieri, medici... Erano tutti contenti. : Poi è arrivato un pediatra a visitare Ramzi. Il medico ha detto che il bambino aveva l’ittero, una malattia abbastanza comune. Ci ha consigliato di monitorare le sue condizioni e di andare in ospedale per gli esami. Così siamo andati all’ospedale Shuhada al-Aqsa di Deir al-Balah. È un grande ospedale, in gran parte risparmiato perché non ci sono state incursioni di terra a Deir al-Balah, anche se continua a funzionare in condizioni di grande indigenza. Il dottore voleva che Ramzi restasse in osservazione per una notte, ma quando ho visto in che condizioni era l’ospedale, ho detto di no perché la struttura era strapiena. Poi Sabah è andata al reparto maternità e ha visto delle madri distese sul pavimento insieme ai loro bambini.

Per ora, rimaniamo qui, in attesa che l’acqua venga ripristinata a Gaza City. Il nostro appartamento è affittato fino al 2 marzo, dopo si vedrà. Ramzi sta meglio. La nascita di nuovo leoncino è il nostro modo di resistere visto che gli israeliani vogliono mandarci via dalla nostra terra, sbarazzandosi del popolo palestinese, a cominciare da Gaza. Il bilancio dei palestinesi uccisi dall’esercito israeliano è salito a oltre 50.000, contando anche chi giace ancora sotto le macerie, e senza considerare il numero dei feriti. Il nostro atto di resistenza è quello di avere un bambino. Il piccolo Ramzi rappresenta una grande vittoria contro l’occupazione. La popolazione palestinese cresce più velocemente di quella israeliana, e questo è un grosso problema per loro. Ora è nato Ramzi, ma ci saranno molti altri cuccioli di leone, durante la guerra, o dopo il cessate il fuoco. È il nostro modo di dire a Trump e agli altri: “Siamo ancora qui, a Gaza, in Palestina, e c’è ancora amore, coraggio e vita”.

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1Il kollaj è un tipico dolce palestinese fatto di pasta fillo ripiena di mandorle tritate e cannella, cotto al forno