Domenica 25 febbraio 2024
Stamattina, uscendo di casa, sono stato circondato da una decina di persone, bambini e famiglie. Per loro, sono il giornalista del quartiere. E, cosa più importante, sono un giornalista francofono:
Allora Rami, siamo sicuri che i tuoi amici francesi hanno notizie delle trattative in corso a Parigi. Si sa qualcosa? Siamo vicini a una tregua? Dobbiamo prepararci a tornare nel nord della Striscia o a Gaza City? Dobbiamo lasciare Rafah e andare con le tende verso Al-Mawasi?
C’è grande attesa per l’arrivo del mese di Ramadan. Di solito non si è così impazienti, perché si tratta di un periodo di digiuno e fatica. Ma quest’anno la gente si dice: “Che arrivi presto!”. La speranza è che, in occasione del Ramadan, ci sia una tregua, che finisca questa carneficina. È questo lo stato d’animo.
Il desiderio di una tregua è più forte perché sono due o tre giorni che i bombardamenti continuano senza sosta. Vengono prese di mira anche moschee e abitazioni. È come se gli israeliani stessero facendo le prove generali per un’incursione di terra. Per il momento, non si fermano i massacri. Sabato è stato colpito un edificio vicino al mercato, nel centro di Rafah. Un’intera famiglia è stata uccisa, gli Shahine. Si parla di sette morti, ma forse sono di più. Ci sono ancora persone sotto le macerie. I soccorritori li stanno ancora cercando, ma temo che non riusciranno a trovare dei sopravvissuti. Né i vigili del fuoco, né i medici delle ambulanze, né l’amministrazione hanno risorse adeguate. Per di più, non ci sono né gru, né bulldozer.
Per tirare su il morale, a volte bisogna dire qualche bugia. A chi mi chiedeva notizie, ho detto: “Sì, a quanto pare, si è aperto qualche spiraglio. Da qui al mese di Ramadan, dovrebbe finire tutto. Gli Stati Uniti stanno facendo pressione sugli israeliani, mentre gli egiziani premono su Hamas. Prima o poi succederà qualcosa”. È solo un’analisi, con un po’ di buon senso, o forse è solo ciò che personalmente mi auguro. Che tutto finisca presto. Ho detto una bugia, ma l’ho detta a fin di bene per tranquillizzare la gente. Dopo erano tutti contenti.
A volte mi addolora vedere che le persone sperano di sentire qualche buona notizia. Sanno bene che sto cercando di tirarli su di morale. Non dobbiamo perdere la speranza e, soprattutto, abbiamo bisogno di respirare un po’ dopo oltre cinque mesi di guerra. O meglio, di pulizia etnica con il sangue che scorre a fiumi e i massacri che non si fermano.
Tra quelli che mi ascoltavano, c’era anche il figlio di un mio amico. Mi ha chiesto: “Zio Rami, è vero che torniamo a casa? Quando torniamo, voglio invitarti a mangiare una pizza!” Il bambino non sa che, se ritorna a casa, non ci sarà alcuna pizza. Non ci saranno più pizzerie. Non ci sarà più nulla. Tutto è stato distrutto. È convinto che la vita tornerà come prima. Ho detto: “Sì, certo, tu mi inviterai a mangiare una pizza e io ti inviterò a mangiare un gelato!”. Ero felice che quel bambino potesse ancora sognare. È un sogno che stiamo facendo insieme.