Diario da Gaza 88

“Poveri soldati stanchi di bombardarci!”

Rami Abu Jamous scrive il suo diario per Orient XXI. Giornalista fondatore di GazaPress, un’agenzia di stampa che forniva aiuto e traduzioni ai giornalisti occidentali, Rami ha dovuto lasciare il suo appartamento a Gaza con la moglie e il figlio Walid di due anni e mezzo. Rifugiatisi a Rafah, la famiglia è stata poi costretta a un nuovo esilio prima a Deir al-Balah, poi a Nuseirat, bloccata come tante famiglie in questa enclave miserabile e sovraffollata. Un mese e mezzo dopo l’annuncio del cessate il fuoco, Rami è finalmente tornato a casa con la moglie, Walid e il figlio appena nato, Ramzi. Per il suo Diario da Gaza, Rami ha ricevuto tre importanti riconoscimenti al premio Bayeux per i corrispondenti di guerra. Questo spazio gli è dedicato dal 28 febbraio 2024.

Due donne in abiti tradizionali si abbracciano, una piange e tiene un oggetto vicino al viso.
Gaza City, 28 aprile 2025. Una donna palestinese piange mentre tiene in mano la scarpa macchiata di sangue di una persona cara, uccisa in un precedente attacco israeliano in via Al-Jalaa, presso l’ospedale Al-Shifa.
Omar AL-QATTAA / AFP

Lunedì 28 aprile 2025.

Non leggo l’ebraico, ma consulto periodicamente i siti che traducono i media israeliani. È lì che ho trovato questa informazione: i vertici dell’IDF dicono che i soldati sono esausti dopo diciannove mesi di guerra a Gaza.

La mia prima reazione è stata quella di riderci sopra: il boia è stanco quindi di colpire? Quei soldati sono consapevoli di ciò che stanno facendo? Immagino la sofferenza di quei poveri soldati: i piloti dei caccia stremati a furia di sganciare tonnellate di bombe in grado di distruggere case in un colpo solo, decimando intere famiglie. Le operatrici di droni killer esauste a forza di premere col dito sul pulsante che apre il fuoco su tende e scuole, come in un videogioco. Ho scritto “operatrici” perché sono quasi sempre donne. A quanto pare, sono considerate più precise degli uomini. Senza dimenticare i responsabili dei droni di sorveglianza, che hanno gli occhi stanchi a furia di spiarci. E i carristi, con le mani esauste a furia di sparare granate che radono al suolo interi quartieri...

Poveri soldati stanchi di bombardarci, sorvegliarci, punirci! Se il carnefice è così stanco, cosa dovrebbe dire la vittima?

Cosa dovrebbero dire quelli che vivono nel ronzio incessante dei droni?

Cosa dovrebbero dire le decine di migliaia di persone costrette per l’ennesima volta a spostarsi da un luogo all’altro? Cosa dovrebbero dire quelli che vivono in tenda in condizioni terribili? E quelli che non hanno niente da mangiare o bere da più di due mesi? Cosa dovrebbe dire la popolazione di Gaza sotto i bombardamenti giorno e notte? Cosa dovrebbero dire le donne e i bambini che fanno la fila davanti alle tekiya, le mense di beneficenza, nella speranza di ricevere un piatto di lenticchie o di riso? O le donne che fanno la fila per andare in bagno? Cosa dovrebbero dire gli uomini che passano le loro giornate a cercare di trovare un piccolo lavoretto, un qualsiasi tipo di aiuto o qualcosa che funga da combustile per alimentare un forno costruito alla bell’e meglio? Cosa dovrebbero dire quelli che hanno perso la loro famiglia, i loro figli, le loro case, le loro imprese? Cosa dovrebbero dire quelli che si ritrovano con il corpo amputato, sfigurato o chi ha perso la vista?

Cosa dovrebbe dire quelli che vivono queste sofferenze ogni secondo, nel ronzio incessante dei droni, 24 ore su 24? Quelli che non riescono a trovare un posto sicuro dove rifugiarsi? Fino ad oggi, l’esercito di occupazione aveva detto: “Per la vostra sicurezza, spostatevi nelle zone umanitarie”. Ma non c’è alcuna zona umanitaria, e gli israeliani hanno finito per rinunciare anche a questa finzione. Cosa dovrebbero dire i malati e i feriti che attendono cure o trasferimenti sanitari all’estero, perché non ci sono i mezzi per curarli qui? I malati di cancro, quelli con infezioni renali, diabete e che non hanno più le cure necessarie? Cosa dovrebbero dire i medici d’urgenza che lavorano quasi 24 ore al giorno e che sono costretti a smistare il flusso incessante di feriti, dando la preferenza a chi ha la possibilità di salvarsi? È la cosa peggiore per un medico. E cosa dovrebbero dire gli infermieri che si trovano costantemente di fronte alle peggiori atrocità del carnefice – proprio quello che si dice esausto – che vedono ogni giorno i corpi dei bambini fatti a pezzi e decapitati?

Ricordo molto bene la testimonianza di un medico d’urgenza francese, Raphaël Pitti, che ha trascorso diversi mesi a Gaza. È un medico abituato alle zone di guerra, ha lavorato su molti fronti di guerra. Ma Pitti mi diceva di non aver mai visto le cose che ha visto a Gaza. Tanto da convincersi di non poter vivere una seconda volta qualcosa di simile. Psicologicamente esausto, il medico non capisce il motivo per cui il mondo rimanga in silenzio, al punto da dubitare del resto dell’umanità.

I massacri continuano, e gli israeliani continuano a filmarsi

Noi abitanti di Gaza siamo andati oltre la soglia dell’esaurimento. Nessuno potrebbe sopportare quello che stiamo vivendo, tra la morte e la non-vita. Per noi, la cosa peggiore è quella di non poter proteggere le nostre famiglie. È vedere una persona cara o uno dei tuoi figli ferito, senza poterlo curare. La cosa peggiore è vedere tuo figlio soffrire, senza anestesia o antidolorifici.

E allora penso a quei soldati “esausti”. Da quanto ho capito – non conosco a fondo il sistema dell’IDF – i soldati trascorrono due o tre mesi sul campo prima di riposarsi. Non sono qui da 19 mesi, e soprattutto non hanno fame o sete. Quando un’unità si ritira da una zona, lascia dietro di sé imballaggi di alimenti e bottiglie vuote.

Quando terminano il loro lavoro di “proteggere Israele”, che consiste nell’uccidere il maggior numero possibile di persone a Gaza, quei soldati tornano tranquillamente a casa. Mangiano bene, bevono, escono e, soprattutto, viaggiano. Cambiano aria, perché non stanno bene psicologicamente. Noi, invece, stiamo vivendo un genocidio. Un genocidio fisico, psicologico, mediatico, militare che si sta svolgendo davanti agli occhi di tutto il mondo, ma nessuno fa nulla. Mi chiedo cosa accadrebbe se non fosse sotto gli occhi di tutti. Perché i massacri continuano, e gli israeliani continuano a filmarsi. Poco tempo fa, ho visto una foto con dei soldati che bruciavano una villa che appartiene a un mio amico. Nella didascalia della foto c’era scritto: “Tra tre mesi, la Thailandia”. Dopo aver saccheggiato, distrutto e bruciato case, i poveri soldati hanno bisogno di cambiare aria, perché sono stanchi di aver ucciso e distrutto così tanto.

Noi, invece, è da 19 mesi che viviamo in una gabbia. Non possiamo “cambiare aria”. Il nostro unico scenario è la distruzione totale, il sangue che scorre dei bambini e delle famiglie distrutte, e il pensiero delle tante famiglie che giacciono ancora sotto le macerie. Abbiamo perso tutta la nostra umanità. Stanchezza e umiliazione si mescolano. La sensazione peggiore è la stanchezza di essere umiliati. Siamo stanchi di temere di essere uccisi in casa, di essere imprigionati sotto le macerie della nostra casa bombardata, di essere continuamente costretti a spostarci, di vivere in una tenda, di non riuscire a trovare cibo per un figlio affamato, di non avere un shekel da dargli. La fatica di veder morire ogni giorno parenti e amici e non poterli seppellire perché i loro corpi rimangono a terra, divorati dagli animali. Non si può andare a cercarli, perché sono in una “zona proibita”. L’“esercito più morale del mondo” lascia che i corpi di esseri umani siano sbranati dai cani.

Siamo stanchi di questa senso di impotenza, di essere stati abbandonati da tutti; la sensazione di non essere più degli esseri umani, come ha detto l’ex ministro della Difesa israeliano, che ci aveva definiti “animali umani”. È una sensazione che ci divora dentro e annienta la forza che ci resta.

Buone vacanze in Thailandia a quei soldati che hanno bisogno di un cambiare aria. Li capisco: sono molto stanchi di uccidere, distruggere e umiliarci. Spero che si concedano un buon massaggio thailandese. Spero anche che un giorno proveranno rimorso e usciranno dal silenzio, come è successo nelle guerre precedenti. So che alcuni si rifiutano di tornare a Gaza, ma la stragrande maggioranza non prova alcun rimorso per le sofferenze che ci arrecano. Ma noi ritroveremo la felicità e rimarremo sulla nostra terra. E questa fatica si trasformerà in coraggio e forza, per ricostruire tutto.