Diario da Gaza 61

“Prima o poi, toccherà a noi finire sotto assedio”

Rami Abu Jamous scrive il suo diario per Orient XXI. Giornalista fondatore di GazaPress, un’agenzia di stampa che forniva aiuto e traduzioni ai giornalisti occidentali, Rami ha dovuto lasciare il suo appartamento a Gaza con la moglie e il figlio Walid di due anni e mezzo. Rifugiatisi a Rafah, Rami e la sua famiglia sono stati costretti a un nuovo esilio interno, bloccati come tante famiglie in questa enclave miserabile e sovraffollata. Il 12 ottobre 2024, Rami ha ricevuto, per il suo Diario da Gaza, tre riconoscimenti al premio Bayeux per i corrispondenti di guerra. Questo spazio gli è dedicato dal 28 febbraio 2024.

L'immagine mostra due uomini in un ambiente ufficiale, probabilmente in una cerimonia o conferenza stampa. Sono di fronte a un podio con il sigillo presidenziale degli Stati Uniti. Sullo sfondo, ci sono delle tende dorate e le bandiere statunitensi. I due uomini sembrano sorridere e interagire in modo cordiale.
Washington, 28 gennaio 2020. Il presidente degli Stati Uniti Donald J. Trump e il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, alla Casa Bianca, per svelare i dettagli dell’“Accordo del Secolo” dell’amministrazione Trump.
Trump White House Archived (domaine public) / Flickr

Giovedì 7 novembre

Come sempre, quando esco dalla “casa dell’orgoglio” – come chiamo la nostra tenda – per andare alla redazione di Press House-Palestine, salgo a bordo di un carretto trainato da un animale, o di un carro bestiame agganciato a un’auto sgangherata anni ‘90, che va a olio vegetale o gas da cucina, come vi ho già detto. Anche se il biglietto costa cinque volte il prezzo di prima, siamo sempre in una ventina ammassati sulle panche del carro.

Durante il viaggio, mi piace ascoltare i racconti della gente. Tutti hanno una gran voglia di parlare e non c’è mai un attimo di silenzio. Si parla soprattutto di politica.

Un nuovo “accordo del secolo”?

In questo momento, l’argomento principale è ovviamente la vittoria di Donald Trump. Gli abitanti di Gaza hanno seguito le elezioni americane e la maggior parte di loro spera che con l’elezione di Trump ci sarà la fine della guerra.

Secondo uno dei passeggeri: “Donald metterà fine alla guerra. È uno che mantiene le promesse. Ha dichiarato che una volta al potere, ma anche prima di prendere il potere, fermerà la guerra in Ucraina, ma anche quella in Medio Oriente, a Gaza e in Libano”.

Un altro gli ha risposto:

— Sì, è un grande uomo d’affari e per lui quello che conta è limitare le spese. Gli americani hanno dato a Israele molto più denaro in un anno che negli ultimi dieci. Venti miliardi di dollari per l’arsenale israeliano. Per Trump, è una cifra enorme. È questo il motivo per cui fermerà la guerra.

— Può darsi, ha risposto il primo, ma farà le cose di testa sua. Vale a dire, come sempre, a vantaggio degli israeliani. Per il suo “Accordo del Secolo”, come lo chiama lui, ha trasferito l’ambasciata americana da Tel Aviv a Gerusalemme. E così pensa di aver risolto il problema di Gerusalemme. Ora Gerusalemme appartiene agli israeliani, ma anche Gerusalemme Est, che è considerata un territorio occupato. Per risolvere la guerra farà la stessa cosa. Non credere che staremo meglio. Trump farà di tutto per far valere gli interessi israeliani.

Poi è intervenuto un terzo passeggero:

— Il suo obiettivo è il trasferimento forzato dei palestinesi. Per la Cisgiordania, Trump ha sempre parlato di una confederazione con la Giordania. E noi di Gaza finiremo in Egitto. Chiederà agli israeliani di aprire le frontiere, e ci sarà un’emigrazione forzata. Forse ci faranno credere di poter trovare una sistemazione da qualche parte.

— Sì, ha detto un passeggero, so che stanno per aprire le porte e andrò con la mia famiglia negli Stati Uniti o in Canada. Sono pronto a farlo. Voglio che i miei figli abbiano una vita migliore dopo quello che hanno passato durante questa guerra, il terrore, la macchina da guerra, tutto quello che hanno visto. Ci saranno molti vantaggi per chi decide di emigrare, ci daranno una casa, i bambini potranno andare a scuola, ci daranno dei soldi, non ci getteranno allo sbaraglio in paesi stranieri. Ci saranno molte agevolazioni per noi palestinesi.

“Voglio morire qui”

Poi è intervenuto un altro che non condivideva questa visione così ottimistica:

Non credo che riusciremo ad andare negli Stati Uniti, in Canada o in Europa. Forse ci spingeranno solo nel deserto del Sinai. Prenderemo il posto di chi è stato espulso da Rafah e Al-Arish quando c’è stata la guerra tra l’esercito egiziano e Daesh. Ora lì non ci vive più nessuno. Forse sono stati fatti per noi. Sarà questo l’“Accordo del Secolo”: non ci saranno più palestinesi a Gaza, saremo tutti nel Sinai. Chi vive in Cisgiordania, si troverà in una confederazione con la Giordania, o verrà davvero trasferito in Giordania. E così Trump avrà risolto il problema: non ci sarà nessuno Stato palestinese. Trump è un uomo pieno di sè. Vuole passare alla Storia facendo credere che è lui quello che può risolvere tutti i problemi del mondo. Nel nostro paese, ci sarà un solo Stato israeliano. Chi vorrà restare dovrà vivere sotto l’apartheid israeliano. Gli altri andranno in Egitto o in Giordania.

Ma il terzo passeggero non era d’accordo:

— No, gli egiziani non ci vogliono. È dall’inizio della guerra che gli israeliani vogliono trasferirci in Egitto per isolare Hamas. Ma gli egiziani sono sempre stati categoricamente contrari.

— Ma dimentichi che, quando Trump parla, dà degli ordini. Ricordo molto bene il suo viaggio nei paesi del Golfo, dove ha firmato degli accordi commerciali per un valore di oltre 300 miliardi di dollari. Per quelle somme, accetteranno di metterci dove vuole Trump, perché è lui il più forte. Se Trump dice che dobbiamo andare nel Sinai, gli egiziani accetteranno e basta, e noi andremo in Egitto.

A quel punto, sono intervenuti gli altri che erano sul carro: “No, vogliamo restare qui! Se si tratta di andare in Europa o negli Stati Uniti, va bene ma non in Egitto!”. Allora è intervenuto un vecchio:

Ho passato tutta la mia vita qui a Gaza ed è qui che voglio morire. Risolvere la questione palestinese andando a vivere nel Sinai, in una tenda o anche in un appartamento, non fa per me. Penso che la ragione per cui dite tutto questo è perché c’è la guerra. Ma quando la guerra sarà finita, molti di voi non partiranno. Rimarrete qui.

“Noi resteremo sempre qui”

Capitano sempre discussioni come questa sui mezzi di trasporto di fortuna. In genere, alle discussioni non prendo parte perché preferisco ascoltare e poi fare una mia analisi. Quello che mi ha colpito in queste conversazioni è vedere fino a che punto gli israeliani sono riusciti a manipolare i nostri pensieri per farci accettare un uomo politico che è nemico dei palestinesi. Proprio l’uomo che ha trasferito l’ambasciata americana da Tel Aviv a Gerusalemme, riconoscendo così Gerusalemme come capitale di Israele, cosa che altri paesi si rifiutano ancora di fare. All’epoca, si era mobilitato un gran numero di palestinesi. Detestavano Trump e il suo “Accordo del Secolo”. Trump era il nemico dei palestinesi. C’erano manifestazioni ovunque. E ora quest’uomo è diventato il salvatore di Gaza. Colui che è in grado di fermare la guerra. È lui quello che può offrire una vita migliore ai palestinesi, agli abitanti di Gaza. Ma una vita migliore, per molti abitanti di Gaza oggi, non significa che Gaza diventerà una sorta di Singapore sulle rive del Mediterraneo, ma vuol dire solo la fine della guerra e l’accettazione di un esilio in Canada, negli Stati Uniti o in qualche paese europeo. Mentre all’inizio della guerra non era affatto questo ciò che pensavano i palestinesi.

È la forza della manipolazione israeliana. È la forza di questa guerra che ci ha “bollito” i pensieri, come diciamo noi. Ci stanno facendo credere che la soluzione peggiore sia ora la migliore. E questo è davvero grave. Sono sicuro che quel tizio che ha detto: “Sono pronto a partire con la mia famiglia” avrebbe detto di no prima della guerra. Oggi siamo ancora presi in questo vortice, in questo tornado che gira senza sosta, e tutti vogliono che la guerra finisca, che finiscono queste assurde carneficine, queste “israelerie” quotidiane, tutto ciò che sta accadendo nel nord, dove la gente sta morendo davanti agli occhi di tutto il mondo.

So benissimo che un giorno o l’altro toccherà a noi essere sotto assedio, sottoposti a massacri, stermini per spingerci verso sud. Ecco perché tutti vogliono che la guerra finisca subito, e perché sono disposti ad accettare soluzioni che nessuno prima avrebbe accettato.

Il problema siamo noi palestinesi. Quando è stato creato lo Stato di Israele, non abbiamo accettato la divisione perché volevamo tutta la Palestina. Con gli accordi di Oslo, abbiamo accettato i territori della linea d’armistizio del 1967. Ora stiamo accettando di andarcene da qui, mettendo fine alla questione palestinese, perché con la prossima presidenza Trump, al genocidio umanitario seguirà quello politico. Non ci sarà più la Palestina. Trump voleva abolire l’UNRWA, l’Agenzia delle Nazioni Unite che si occupa dei rifugiati palestinesi. E la cosa cade a fagiolo visto che la Knesset ha appena votato una legge che ne vieta l’operato nei territori palestinesi.

Trump forse metterà fine al genocidio umanitario, ma sono sicuro che attuerà quello politico a cui Netanyahu ha già inizio con la messa al bando dell’UNRWA. Credo che se ci sarà la fine della guerra, le decisioni di Trump in tempo di pace saranno molto peggiori del genocidio che stiamo vivendo, dei massacri, dei bombardamenti, della fame, di tutto quello che l’esercito di occupazione israeliano sta compiendo. E ciò che abbiamo rifiutato finora, finiremo per accettarlo. Credo che, durante il mandato di Trump, questo genocidio politico sarà accettato da tutto il mondo, anche dai paesi “amici”, persino dai paesi arabi. E, per Donald Trump, sarà questa la fine della questione palestinese. Ma i palestinesi non glielo permetteranno perché noi resteremo sempre qui.