
Giovedì 3 aprile 2025.
Da quasi una settimana, alcuni media internazionali dedicano una maggiore attenzione a Gaza rispetto al solito. Mi fa piacere vedere testate che si occupano raramente di Gaza preoccuparsi all’improvviso di quello che sta accadendo qui da noi. Naturalmente, il motivo non è quello di spiegare i massacri, le stragi e le “israelerie”. Ai loro occhi, c’è qualcosa di più importante del genocidio in corso: le manifestazioni contro Hamas. Infatti, da più o meno una settimana, ci sono state delle manifestazioni in alcune località della Striscia di Gaza, a partire da Beit Lahia, dove i manifestanti hanno chiesto ad Hamas di lasciare il potere.
Nello stesso periodo, ci sono state diverse stragi, in particolare quella a Rafah di 15 operatori e paramedici palestinesi della Mezzaluna Rossa e della Protezione Civile uccisi dai militari israeliani. Sono stati trovati in una fossa comune con le mani e le gambe legate e con ferite da arma da fuoco alla testa e al torace. Certo, le testate che possono contare su giornalisti professionisti ne hanno parlato, mentre altre non si sono neanche prese la briga di indagare.
Mi rendo conto che Israele impedisce l’accesso ai giornalisti stranieri nella Striscia di Gaza, ma potevano almeno contattare la Mezzaluna Rossa per verificare se non hanno fiducia nei giornalisti palestinesi.
È normale volere un cambiamento politico
Chi si è entusiasmato per le manifestazioni anti-Hamas ci accusa di volerle nascondere. Niente di più falso. Ho avuto modo di parlarne su diversi canali francofoni: non sono i primi movimenti contro Hamas dall’inizio della guerra. L’ho ribadito anche qui: la popolarità di Hamas nella Striscia di Gaza è diminuita in modo significativo, e questo risale addirittura a prima della guerra. Da quando Hamas ha preso il potere nell’enclave nel 2007, viviamo sotto assedio e abbiamo subito diverse aggressioni israeliane. La popolazione è strangolata, si vive nella miseria, c’è un’enorme disoccupazione e un’intera generazione non è mai uscita dalla Striscia di Gaza. In queste condizioni è normale, come in qualunque altro paese, che ci sia il desiderio di un cambiamento politico. Anche in Cisgiordania, dove al potere c’è Fatah, gli abitanti non sopportano più l’attuale esecutivo.
Le proteste contro Hamas sono iniziate ben prima della guerra. Ce ne sono state tante. All’epoca, questo movimento si chiamava Bedna naich (“Vogliamo vivere”). Hamas però ha represso le manifestazioni continuando a governare con il pugno di ferro. Lo sanno tutti e nessuno lo nasconde.
Quando si tratta di Hamas, tutti iniziano a difendere la libertà di espressione
Ma è pur vero, stando a quanto dicono i media che sostengono Netanyahu, che non si può essere giornalisti e palestinesi e che, anche se ci provassimo, saremmo comunque bloccati dalla censura di Hamas. Come se lottare contro i tentativi di censura non fosse il destino di tutti i giornalisti del mondo. Quando Israele vieta ai giornalisti stranieri l’accesso a Gaza, non è un atto di censura? Quando il controllo militare israeliano proibisce ai giornalisti di parlare di certi argomenti, non è censura?
In Francia, basta fare una battuta su Netanyahu per essere licenziati. Dei comici che hanno fatto uno sketch su Israele sono finiti nella lista nera. Ci sono campagne che accusano di “antisemitismo” chiunque – attori, giornalisti, politici – osi denunciare i massacri commessi da Israele contro i palestinesi. Una pressione mediatica che sfocia in qualcosa di ancora peggiore della censura: l’autocensura. Sono molti i politici e giornalisti che adottano la propaganda israeliana, rifiutandosi di pronunciare la parola “genocidio” per non finire nei guai. Ma quando si tratta di Hamas che fa pressione sui media, allora tutti sostengono la lotta per la libertà di espressione.
Lasciate il potere per far vivere Gaza!
Eppure, i giornalisti palestinesi possono farlo il loro lavoro. Basterebbe domandare, e loro vi spiegherebbero come sono andate le cose: le manifestazioni sono iniziate a Beit Lahia, in risposta all’ultimatum di evacuazione lanciato dall’esercito israeliano (IDF). Chi è costretto a vivere in una tenda, in miseria, nell’umiliazione e nella paura dei bombardamenti è stanco di spostarsi continuamente. È per questo che sono tutti scesi in strada per protestare. Poi, davanti alle telecamere, i manifestanti hanno cominciato spontaneamente ad accusare Hamas. Nessuno poteva controllarli. Si sentivano frasi come:
È risaputo che il pretesto di Netanyahu siete voi. Non fate in modo che possa accampare questa scusa. Lasciate il potere così che la gente possa continuare a vivere! Lasciate il potere perché Gaza possa vivere! Lasciate potere in modo che 2,3 milioni di persone non vengano deportate!
Siamo un popolo consapevole e istruito. I manifestanti sanno benissimo che l’esercito di occupazione si serve di Hamas come uno spauracchio. È Netanyahu che ne ha bisogno. In Cisgiordania, lo spauracchio è il presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese (ANP). Mahmud Abbas, noto anche come Abu Mazen, si è opposto all’uso delle armi, la polizia dell’Autorità Palestinese sta collaborando con l’IDF, eppure i ministri di estrema destra di Netanyahu, Ben Gvir e Smotrich, li trattano come fossero dei “terroristi” con cui non si può trovare un accordo di pace.
Netanyahu e il suo governo gridano al mondo che hanno il via libera per il trasferimento forzato di 2,3 milioni di abitanti di Gaza all’estero, secondo il piano di Donald Trump. Le aperte minacce di un leader mondiale che promette “l’inferno” a un’intera popolazione civile non indignano però quei giornalisti che vogliono parlare solo di Hamas. Per loro, non c’è un genocidio in corso a Gaza. Stiamo morendo tutti, vogliono sradicarci, vogliono tagliare le nostre radici. I giornalisti potrebbero almeno scrivere “massacri”.
Quello che manca è la vostra umanità
Se lo fate per una questione ideologica, beh complimenti, ci siete riusciti. Se, invece, lo fate perché non conoscete la realtà, noi siamo sempre pronti a darvi informazioni per poter capire. Avete la possibilità di chiamarci, ci sono ancora dei collegamenti nonostante il caos. Possiamo parlavi di tutto: di Hamas, delle proteste, delle loro ragioni. Allora forse capireste davvero cosa sta succedendo a Gaza. Tutto il sangue che scorre, i bambini decapitati, fatti a pezzi, quelli che trasportano in sacchi di plastica i corpi dei genitori ridotti a brandelli per poterli seppellire, quelli che ne cercano i resti sotto le macerie... tutto questo non vi interessa? Questo non vi riguarda? In tal caso, quello che vi manca non è solo la professionalità, ma anche l’umanità.
Alcuni dei vostri colleghi israeliani non esitano più a usare la parola “genocidio”, e parlano anche di “combattenti per la resistenza e la libertà” riferendosi ad Hamas. I manifestanti che chiedono ad Hamas di lasciare il potere sanno di essere tutti bersagli dell’esercito israeliano. Sanno benissimo che l’IDF non sta cercando di eliminare questo o quel combattente di Hamas, cosa che potrebbe fare visti i mezzi tecnologici a sua disposizione. L’intento degli israeliani è, invece, quello di causare più danni possibili alla popolazione. E questo non vi sciocca? Per voi c’è solo “il diritto di Israele a difendersi”?
_