Diario da Gaza 33

“Spero che tutti questi sacrifici non vadano in fumo”

Rami Abu Jamous scrive il suo diario per Orient XXI. Giornalista fondatore di GazaPress, un’agenzia di stampa che forniva aiuto e traduzioni ai giornalisti occidentali, Rami ha dovuto lasciare il suo appartamento a Gaza con la moglie e il figlio Walid di due anni e mezzo. Ora condivide un appartamento con due camere da letto con un’altra famiglia. Nel suo diario, racconta la sua vita quotidiana e quella degli abitanti di Gaza a Rafah, bloccati in questa enclave miserabile e sovraffollata. Questo spazio è dedicato a lui.

Rafah, 20 maggio 2024. Walid, figlio di Rami Abu Jamous, sul carretto di un venditore ambulante.
Rami Abu Jamous

Lunedì 20 maggio 2024.

Questa mattina, per la prima volta, è arrivato un venditore ambulante di fronte a casa nostra. Quando a Rafah c’erano un milione e mezzo di sfollati, i commercianti non avevano bisogno di andare in giro, eravamo noi ad andare al mercato. Ma oggi Rafah è una città deserta, e i venditori ambulanti, soprattutto quelli che vendono frutta e verdura, girano per la città con i loro carretti trainati da un cavallo o da un asino. Le derrate arrivano grazie a autotrasportatori privati, che entrano dal valico di Kerem Shalom, appena riaperto dagli israeliani. E siccome la gente qui ha pochissimi soldi, i prezzi sono drasticamente calati. Prima c’era un rialzo di 20 o 30 volte il prezzo normale. Oggi è all’incirca di 2 o anche 3 volte il prezzo precedente alla guerra.

I venditori ambulanti gridano i prezzi con l’altoparlante: quanto costa un chilo di cetrioli, di pomodori... Walid l’ha subito vista come un’occasione per giocare. E così è salito sul carretto, ha preso il microfono e ha iniziato a gridare i prezzi... in francese! “Dieci shekel i cetrioli! Dieci shekel i momodori [pomodori]! Con lui parlo spesso in francese, e alla sua età – due anni e mezzo – impara in fretta. Si stava divertendo ed ero felice che potesse vivere un momento di gioia dopo i bombardamenti di stamattina e soprattutto dopo che un drone aveva sorvolato sopra di noi, in maniera molto ravvicinata. Come fa sempre, Walid ha detto: “Papà, papà, guarda il cielo! Guarda il cielo!”. Ma quando ha visto il venditore ambulante, si è subito dimenticato del drone.

Walid, due anni e mezzo, figlio di Rami, si diverte a gridare i prezzi delle verdure in francese a Rafah, durante una piccola tregua dopo i bombardamenti e i droni.

Saremo noi i veri sconfitti

Oggi vorrei anche parlarvi di alcune considerazioni politiche che mi girano per la testa. Ogni giorno mi chiedo come andrà a finire, perché prima o poi tutto questo avrà una fine. Ed ecco lo scenario che immagino sempre più spesso: gli israeliani potrebbero rendersi conto di non trovare nessuno per governare la Striscia di Gaza, o quel che ne resta. A quel punto strumentalizzerebbero, ancora una volta, Hamas, un Hamas indebolito che rinuncerebbe alla via militare per trasformarsi in partito politico. Il mio timore è che Hamas ripeta quindi la parabola politica dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP), tornando consapevolmente o meno a una situazione identica a quella che seguì gli Accordi di Oslo, o anche prima, al 1982, quando Yasser Arafat e i combattenti palestinesi furono costretti ad allontanarsi da Beirut assediata dagli israeliani.

Nel corso degli Accordi di Oslo del 1993, Hamas aveva trattato Arafat e l’OLP come collaborazionisti degli israeliani, accusati di aver svenduto la questione palestinese. Oggi sono sul punto di emularli, negoziando il rilascio degli ostaggi e il ritorno alla situazione precedente al 7 ottobre. Forse riusciranno a far rilasciare qualche prigioniero palestinese, ma il risultato strategico per Israele sarà molto più rilevante. Naturalmente, come sempre, ci saranno commissioni d’inchiesta in Israele che diranno di non aver raggiunto tutti i loro obiettivi, mentre avranno ottenuto una vittoria strategica che varrà per i prossimi 20 o 30 anni. E noi naturalmente, come sempre, grideremo vittoria, mentre saremo i veri sconfitti.

Guerre e massacri per arrivare allo stesso risultato

L’ho vissuto a Beirut nel 1982. Avevo 5 anni, ma ricordo perfettamente i combattenti che festeggiavano la vittoria sparando in aria mentre evacuavano il Libano. All’epoca, pensavo davvero che lo fosse. Ma oggi mi dico: ma di quale vittoria si trattava? I palestinesi erano stati dispersi in vari paesi, il quartier generale dell’OLP si era trasferito a Tunisi e Israele aveva scongiurato la minaccia a livello regionale, paralizzando il Libano e il regime siriano.

Il mio timore è che abbiamo vissuto guerre, massacri, eccidi per arrivare allo stesso risultato. All’epoca degli Accordi di Oslo, Hamas era contrario. Oggi vedo profilarsi un accordo sulla stessa falsariga, con Hamas che si accontenta di un piccolo Stato palestinese sul territorio di Gaza. In realtà, sarebbe peggio di Oslo: Arafat almeno aveva accettato uno Stato all’interno dei confini del 1967. Oggi, Hamas sta negoziando per un mini-territorio autonomo, neanche uno Stato, sulla Striscia di Gaza. Si comportano come se la rivoluzione palestinese fosse iniziata con loro, come fossero alla guida di tutto il popolo palestinese, convinti di prendere sempre la decisione giusta. Mentre una decisione coraggiosa e saggia sarebbe quella di unirsi all’OLP.

Scrivo tutto questo con il cuore a pezzi, perché, dopo 76 anni, i sacrifici di tutto il popolo palestinese non hanno portato a nulla. Invece di andare avanti, stiamo tornando indietro e invece di unirci, ci stiamo dividendo. Invece di avere un grande territorio, stiamo lottando per un piccolo pezzo di terra. Spero che la mia analisi sia sbagliata e che, invece, si arrivi a qualche risultato, che tutto andrà a buon fine. E, soprattutto, che tutti questi sacrifici non vadano in fumo.