Venerdì 16 agosto 2024.
A metà agosto, di solito, tutti si preparano per il consueto ritorno a scuola. Di norma, i genitori accompagnano i bambini tra le bancarelle dei mercati per comprare il materiale scolastico. In genere, è un momento di gioia per gli studenti e le loro famiglie.
Quest’anno si vedono tanti bambini girare per il mercato, ma non per comprare penne o cartelle. Molti sono deperiti a causa della malnutrizione. Stiamo assistendo a una generazione di bambini lavoratori. Non parlo di adolescenti di 14 o 15 anni, ma di bambini di 9 anni che fanno i venditori ambulanti, o che aiutano il papà a vendere ogni sorta di mercanzia sotto un telone. Oggi, a Gaza, tutti sono costretti a lavorare. Non solo le donne, come accade durante le guerre quando gli uomini sono al fronte o prigionieri. Quando attraverso il grande mercato di Deir al-Balah per andare alla Press House-Palestine, vedo soltanto bambini che vendono cianfrusaglie per aiutare i loro genitori. Preferisco sempre comprare dai bambini, così colgo l’occasione per chiedere loro: “Perché ti trovi qui?”. Ogni volta le risposte possono essere solo due: “Lo faccio per aiutare mio padre” o “mio padre è morto”.
I bambini che non sono al mercato sono in ospedale
Sono risposte che mi spezzano il cuore, soprattutto perché quei bambini dovrebbero essere nel pieno dei preparativi per il ritorno a scuola, visto che hanno già perso un anno scolastico. Non si sono tenute lezioni nella Striscia di Gaza, sia negli asili che nelle scuole medie, negli istituti secondari o nelle università, perché gli israeliani hanno distrutto tutto. Quest’anno, 720.000 studenti non torneranno in classe, tra questi 305.000 frequentavano la scuola pubblica, 121.000 le scuole private, e più di 300.000 le scuole dell’UNRWA, Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l’occupazione dei profughi palestinesi nel vicino oriente.
I bambini che non sono al mercato sono in ospedale, gravemente feriti, affetti da malattie gravi, ad esempio tumori, o malattie dermatologiche dovute alle terribili condizioni sanitarie in cui versa Gaza. Ma non ci sono farmaci per loro. I genitori – me compreso – hanno anche paura che i loro figli abbiano una crisi ipoglicemica provocata dalla paura, dato che ci sono stati già diversi casi. Ultimamente, 120 piccoli pazienti sono stati trasferiti negli ospedali degli Emirati Arabi Uniti, ma è nulla rispetto al numero totale dei bambini gravemente malati. Anche la figlia di un cugino di Sabah è stata trasferita. Quando i suoi genitori si sono spostati a Khan Kunis, la famiglia si è trovata in una “cintura di fuoco”, ossia dei bombardamenti a circolo. La bambina ha subito un tale shock che, da allora, metà del suo corpo è rimasto paralizzato. Finora, i medici non hanno potuto fare nulla. Inoltre, come sapete, c’è stato un primo caso di poliomielite confermato in un neonato non vaccinato e c’è il pericolo di un’epidemia.
La pagina di un libro di chimica? Un cartoccio per i panini
Notiamo dei cambiamenti nei bambini. Stanno crescendo più in fretta del dovuto, e questo non è un bene. Stanno cominciando ad avere un po’ di soldi e così cambiano atteggiamento, soprattutto con i genitori. Oggi un bambino di nove anni che guadagna a fine giornata 10 o 20 shekel, si sente già indipendente e pensa di poter contare solo su sé stesso, così diventa meno rispettoso. Allo stesso tempo, il padre ha perso un po’ il suo ruolo di protettore, perché non è in grado di proteggere la sua famiglia dai bombardamenti quotidiani che possono uccidere i suoi figli, mentre loro assistono a tutto questo. Vedono che la loro mamma non ha tempo per insegnargli nulla perché è impegnata a pulire la tenda, a cercare acqua, legna, cucinare e così via. I bambini vengono per ultimi.
Al mercato, volevo comprare un panino con falafel. Il venditore aveva accanto un libro scolastico, un libro di chimica o fisica del liceo. Ad ogni cliente, strappava una pagina per farne un cartoccio di carta dove metteva i falafel. Ecco a che punto siamo arrivati: gli strumenti didattici, che dovrebbero essere un tesoro per i bambini, sono diventati cartocci per i panini. È questo l’obiettivo degli israeliani: privare la popolazione di ogni forma di educazione, terrorizzandola. Un bambino che ha visto i genitori uccisi davanti ai suoi occhi in un bombardamento, che li ha visti seppellire in un sacco di plastica perché diventati poltiglia, dal momento non si riesce a distinguere tra morti, uomini, donne o bambini, rimarrà traumatizzato anche dopo la guerra.
Anche con la fine della guerra, gli studenti non torneranno a scuola
È un trauma che sconvolge il rapporto con il mondo dei bambini, il loro atteggiamento verso la famiglia e la società. I bambini che lavorano al mercato imparano ciò che vedono lì, dove c’è gente ammassata l’una sull’altra e teloni dappertutto. A nove o dieci anni, i bambini si trovano di fronte a una nuova cultura, che è sempre negativa. Ma il vero problema è che, anche se dovesse finire il conflitto, quei bambini non torneranno a scuola, per il semplice fatto che non ci sono più scuole, e perché, anche dopo la guerra, tutti dovranno continuare a lavorare per sopravvivere.
Le famiglie hanno perso la casa e i genitori il lavoro. Di conseguenza, i bambini saranno costretti a lavorare. E anche se, nei due anni successivi a una ipotetica fine della guerra, le scuole si terranno sotto tende o in roulotte, molti bambini non ci andranno perché per 10 mesi (come minimo) si sono sentiti già adulti. Hanno guadagnato dei soldi e i loro genitori avranno ancora bisogno di loro, così penseranno che la scuola non serva più a niente. Se non c’è più un futuro, per loro è meglio imparare a fare affari o a lavorare, è molto più utile che studiare. E tutto questo fa parte della strategia degli israeliani.
La guerra imposta dagli israeliani non è fatta solo di bombe, morti, feriti, devastazione totale. È anche una guerra per annientare i cervelli, soprattutto quelli dei bambini. Con Israele, nulla avviene per caso. Sanno molto bene il motivo per cui impediscono ogni istruzione. È tutto calcolato. Tra il 2007 e il 2010, c’è stato un vero blocco. Dalle rivelazioni dei media israeliani è poi emerso che il governo aveva calcolato il numero minimo di calorie al giorno e a persona affinché non morissimo di fame e per distruggerci psicologicamente. L’attuale strategia ha lo stesso scopo. Quando uccidono l’intera famiglia di un membro di Hamas, è per evitare che un domani i bambini possano vendicare la morte del padre. Uccidiamoli tutti, così siamo più tranquilli.
I bambini, un handicap per il futuro
Quelli che non sono figli di combattenti vivranno nella paura. E questa paura li renderà violenti. E questa violenza è già presente nella società. I bambini si comportano in maniera violenta tra di loro. Migliaia di bambini sono morti durante i bombardamenti – che riposino in pace. Chi è ancora vivo ha sofferto e visto cose che nessuno potrebbe sopportare. Anche voi, davanti alla tv o sui social, siete scioccati dalle immagini che arrivano da Gaza – e ancora, non avete visto tutto. Immaginate che trauma potrebbero avere i vostri figli se vedessero quelle immagini tutti i giorni. I nostri figli le vivono, le sentono, le toccano. Stiamo entrando in una società dove i bambini non saranno più i pilastri, ma un ostacolo per il futuro.
Ed è proprio ciò che vogliono gli israeliani. Vogliono spingere i genitori ad andare in esilio nella speranza di proteggere i loro figli, per non essere costretti a farli lavorare, perdendo così il loro ruolo di protettori. Gli israeliani vogliono che tutta la popolazione di Gaza vada via. Ognuno può avere la propria ragione per rinunciare a vivere nel proprio paese, ma la più accettabile, la più dignitosa, è farlo per il futuro dei bambini.
Ma io la penso diversamente. Gli amici mi dicono: “Rami, perché non vai via da Gaza? Se non vuoi farlo per te, fallo per i tuoi figli”. So di aver preso un grosso rischio per la mia famiglia. Soprattutto per Walid, che è rimasto con noi quando eravamo ancora nel nostro appartamento di Gaza perché mi rifiutavo di lasciarlo, con il rischio di essere bombardati in qualsiasi momento. Alla fine, però, siamo stati costretti a partire verso sud, sotto il fuoco degli israeliani. Walid ha corso un grosso pericolo, ma la mia intenzione era fargli capire che suo padre non voleva vivere una vita di umiliazione, e che era meglio rischiare la vita, anche a costo di morire, piuttosto che essere umiliati.
Walid riesce a distinguere i droni dagli F-16
La mia speranza è quella di vedere mio figlio crescere. Per ora sta cominciando a capire. Riesce a distinguere i droni dagli F-16. Quando sente i droni, dice: “Papà, c’è un drone”. Quando sente un F-16, dice: “Papà, papà, un aereo”. Lo dice in francese perché gli parlo in francese. A volte quando dice “aereo” fa il verso: “Bum, bum, bum” e si mette ad applaudire, perché i bombardamenti gli ricordano sempre i fuochi d’artificio. Credo però che tra un po’ comincerà a capire che i bombardamenti sono terribili perché significano paura, morte... ed è la ragione per cui ognuno cerca di proteggere i propri figli. Noi siamo una società molto giovane. La nostra piramide delle età è molto larga alla base. Per questo vogliamo continuare a vivere, e vogliamo che i nostri figli abbiano una patria, uno Stato, una vita dignitosa.
Ho una bella notizia da darvi: mia moglie Sabah è incinta. Quando è nato Walid, volevamo fermarci, ma, con la guerra, Sabah e io abbiamo deciso diversamente, perché vogliamo sopravvivere nonostante tutti i bambini morti e il genocidio in corso. Nascerà un nuovo fiore, o un leoncino, una femminuccia o un maschietto, ma la vita continuerà. Questo è il nostro modo di resistere, questo è anche il nostro modo di dire che andremo avanti fino alla fine. Come Sabah, oggi ci sono 60.000 donne incinte nella Striscia di Gaza. Spero che Sabah non partorirà nella nostra “villa”, come chiamiamo la tenda in cui viviamo ora, ma che potrà avere un parto dignitoso. Purtroppo, migliaia di donne sono state costrette a partorire sotto una tenda, in condizioni durissime sia per la madre che per il bambino.
La mia speranza è che questa guerra finisca prima del parto e che Walid e i suoi fratelli siano felici di avere un nuovo fratellino o una sorellina. Noi non siamo a favore della resistenza militare perché, l’ho sempre detto, bisogna distinguere tra coraggio e buonsenso. E il buonsenso dice che un gatto non può fare la guerra contro un leone. Stiamo affrontando non solo la più grande potenza regionale, ma anche le grandi potenze mondiali che la sostengono. La resistenza militare è legittima, ma il buonsenso dice: “Guarda quello che succede oggi e valuta le conseguenze”. Resistere significa avere dei figli, crescerli, educarli, volere per loro una vita migliore. Un giorno, saranno proprio quei bambini a dichiarare lo Stato palestinese e vivranno finalmente in pace con gli israeliani.