
Sabato 7 dicembre 2024.
Oggi, sul carro bestiame, il nostro unico mezzo di trasporto nella devastata Striscia di Gaza, i “passeggeri” discutevano su un eventuale cessate il fuoco e sulla riconciliazione tra Fatah e Hamas, ma senza farsi troppe illusioni. Tra loro, in tanti sono arrivati a invidiare la situazione dei libanesi. Non la smettevano di lodare la scelta di Hezbollah di un cessate il fuoco, nonostante la possibilità di portare avanti la guerra. Uno è intervenuto, dicendo:
Dopo aver subito duri colpi con l’uccisione di Hassan Nasrallah e di tutti i capi militari, Hezbollah poteva anche scegliere di trascinare la guerra a oltranza, avendo dato prova che i razzi iraniani hanno la possibilità di raggiungere Tel Aviv, anche se è impossibile paragonare i danni causati dai loro razzi con la distruzione messa in atto dall’esercito di occupazione e i 4.000 morti libanesi.
È per questo che sono in tanti a pensare che Hamas dovrebbe seguire l’esempio di Hezbollah, accettando un graduale ritiro israeliano, per 60 giorni, senza chiedere un cessate il fuoco definitivo. Ma finora, la richiesta di Hamas è stata il ritiro dell’esercito israeliano dalla Striscia di Gaza, oltre a un cessate il fuoco totale. Per la maggior parte dei passeggeri sul carro bestiame, la priorità è, invece, quella di fermare immediatamente la guerra. A loro avviso, il ritiro israeliano dal “corridoio di Filadelfia”, il confine con l’Egitto, e il corridoio di Netzarim, la strada che ora separa il nord dal sud della Striscia di Gaza, potrebbe dare il via a una seconda fase.
Un altro conflitto dopo il cessate il fuoco
Come al solito, sono rimasto in silenzio. Mentre li ascoltavo, mi sono reso conto però che molti hanno cambiato idea. Tre o quattro mesi fa, sullo stesso camion, i passeggeri reclamavano un ritiro immediato e totale degli israeliani, la ricostruzione e il ritorno a casa. Oggi l’unica cosa che vogliono è mettere fine ai massacri. E soprattutto, che gli aiuti umanitari arrivino al più presto nella Striscia, perché oggi la carestia, già largamente diffusa al Nord, sta raggiungendo anche il Sud. E questo è davvero insopportabile.
Ecco fino a che punto gli israeliani sono riusciti ad abbassare il livello delle nostre richieste. La maggior parte dei passeggeri erano degli sfollati come me, ma a loro non importava di fare immediato ritorno a casa. “A casa possiamo tornarci anche tra un mese, quello è importante è che la guerra finisca al più presto”, ha detto uno di loro.
Un altro sosteneva che Trump voleva far finire la guerra in Libano e a Gaza prima dell’inizio del suo mandato presidenziale. Un’opinione che condivido anch’io, ma molti non sanno che dopo un cessate il fuoco, ci sarà un altro conflitto, che è già in corso: lo scontro tra Hamas e Fatah, che, in questo momento, sono impegnati in un incontro bilaterale al Cairo. Le strade possibili sono due: la prima è quella della riconciliazione tra Fatah e Hamas, con la presenza delle due fazioni, in particolare del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina (FPLP). La seconda, uno dei nodi sul tavolo dei negoziati, è la creazione di una sorta di commissione amministrativa che andrà a coordinarsi con l’Autorità nazionale palestinese (ANP) che ha dato all’economista Mohammad Mustafa l’incarico di formare un nuovo governo. Si sta discutendo anche chi dovrà gestire gli stipendi delle circa 35.000 persone assunte da Hamas dopo la presa del potere a Gaza nel 2007. Mahmud Abbas, il presidente dell’Autorità Palestinese, si è rifiutato di farlo per il timore di ripercussioni da parte del governo israeliano di estrema destra, che già trattiene, dalle tasse che riscuote per conto dell’ANP, l’equivalente delle somme pagate da quest’ultima alle famiglie dei martiri, i combattenti uccisi dall’esercito israeliano.
Con il risultato che l’Autorità Palestinese riesce a pagare ai suoi dipendenti pubblici solo il 70% dello stipendio, a volte il 50%. La speranza dei leader dell’Autorità Palestinese è che questa misura venga abrogata dopo la guerra, e che, se all’Autorità Palestinese verrà affidata la gestione della Striscia di Gaza, l’ANP potrà gestire anche i terminali per l’importazione di merci da Israele, riscuotendo quindi le tasse locali. Argomento dei negoziati è la creazione di una commissione che si occupi della ripartizione degli introiti.
Nessuno dei negoziatori ha pensato però di parlare di riconciliazione. Tutto questo sangue versato, tutte queste morti, tutti questi bambini orfani, tutti questi amputati, tutte queste vittime della fame, non bastano forse a stabilire una pace tra Hamas e Fatah? Non bastano a far sì che Hamas faccia delle concessioni, cedendo il potere all’Autorità Palestinese, che ha un riconoscimento internazionale? Una tale riconciliazione toglierebbe ogni pretesto addotto da Netanyahu per impedire che gli aiuti umanitari raggiungano Gaza e per consegnare il potere nelle mani dei clan più o meno mafiosi di Gaza.
“In nome di tutte le vittime”
Se si vuole parlare del dopoguerra, perché non farlo da oggi? Perché rinviare le decisioni? Alla fine, chi pagherà il conto sarà il popolo di Gaza. Non capisco l’atteggiamento di Fatah, né quello di Hamas. Perché sedersi allo stesso tavolo senza cercare di superare le divisioni? Perché non dire che si lascerà il governo di Gaza al nuovo primo ministro Mohamed Mustafa? Dopodiché, tutto il resto è negoziabile. Ma l’intenzione di Hamas di restare al potere. Perché volere tutto il potere per sé, rifiutandosi di condividerlo, di cooperare?
È da oltre 17 anni che si sono rafforzate le divisioni nel nostro paese, da un punto di vista geografico, sociale, economico, e persino nel nostro modo di pensare. Non è forse l’ora di una riconciliazione? Hamas crede di poter resistere, continuando a controllare Gaza. È vero che saranno ancora lì anche dopo la guerra, e che ci vorranno due o tre anni prima l’esercito israeliano arrivi a sradicarlo, ma Hamas, ormai indebolito sul piano militare, lo è anche sul piano economico. L’Iran e Hezbollah non hanno più i mezzi per sostenerlo, e Hamas non può più applicare delle tasse sui pochi aiuti umanitari che arrivano, una cosa che gli abitanti di Gaza non accetterebbero. Non riesco a capire l’atteggiamento dei leader di Hamas, e anche la popolazione di Gaza, come me, sta cambiando idea.
Hamas e Fatah devono almeno arrivare a una riconciliazione. Bisogna voltare pagina e superare le divisioni, bisogna perdonare, in nome di tutte le vittime e della distruzione di Gaza. Bisogna scrivere una nuova pagina per far fronte all’occupazione, per ricostruire la Striscia di Gaza, oltre a ricostruire la nostra umanità. Siamo distrutti dentro, e lo saremo ancora di più se rimarremo divisi.
Dico questo perché mi si spezza davvero il cuore a vedere che, anche tra di noi, non riusciamo più tollerarci. Credo che ci sia bisogno di un po’ di saggezza da entrambe le parti, e soprattutto di un po’ di tolleranza, nonostante la mancanza di maturità politica di Hamas. Dopo la riconciliazione, si potranno indire nuove elezioni, fare molte cose, ma è necessario fare il primo passo. È il mio messaggio a entrambe le parti. Non si può vivere nel risentimento. Nutriamo rancore nei confronti del mondo intero perché ci sentiamo abbandonati dal mondo intero. Ma occorre perdonare e scrivere una nuova pagina per fermare questa guerra. Per ricostruire la nostra umanità e ricostruire Gaza.