Letteratura

“Un uomo con luci e ombre”. Camus e la questione algerina

Un libro appena pubblicato, Albert Camus e il FLN presenta un punto di vista diverso sul rapporto dello scrittore con la “questione algerina”. Tra saggio e racconto, l’opera non è né l’apologia di un santo, né la scomunica di un eretico, ma una lettura personale sulla storia contemporanea dell’Algeria, talvolta un po’ idealizzata.

Albert Camus a Parigi, 1957.
AFP

Alcuni l’hanno quasi santificato, facendone una sorta di eroe; altri, invece, lo vedono come uno scrittore contraddittorio: eppure, Camus era solo un uomo con le sue luci e le sue ombre. […]. A margine di una lunga e difficile ricerca della giustizia umana, un uomo d’azione si può giudicare sulla base di ciò che ha realizzato nel corso della sua esistenza senza dimenticare ciò che non è riuscito a portare a termine, e le conseguenze dei successi o delle sconfitte possono essere sostenute a suo favore o contro.

Partendo da questo assunto, Tarek Djerroud prende le distanze dagli anatemi ancora presenti in Algeria, e talvolta in Francia, dopo la conferenza ufficiale “Albert Camus visto da un algerino”, tenuta ad Algeri nel febbraio 1967 da Ahmed Taleb Ibrahimi, allora ministro dell’Istruzione. Con il suo rifiuto di nominare l’“arabo” de Lo straniero e di dare spazio ai colonizzati nei suoi romanzi, Camus viene accusato di essere quasi un “tardivo difensore”1 della sovranità francese in Algeria. L’invettiva arriva al punto di accusare Camus di voler realizzare “inconsciamente” – “con la morte dell’arabo” – “il sogno del pied-noir2 che ama l’Algeria, ma può immaginarla solo libera dagli algerini”. Albert Camus viene ridotto così a uno scrittore che antepone la sua comunità “alla difesa dei valori universali”. Per questo motivo, secondo Ibrahimi, Camus, che non merita di essere considerato “algerino”, “resterà per noi […] uno straniero”, per non aver riconosciuto “la nobiltà della nostra lotta” e l’“unica soluzione accettabile: l’Indipendenza”3.

Riportato costantemente in nome della critica postcoloniale o nazionalista, è un giudizio che antepone esplicitamente l’algerinità di Camus al sostegno politico alla lotta per l’indipendenza così come intesa dal FLN, e che non fa che confermare purtroppo i timori dello scrittore sui diritti riconosciuti agli europei nati in Algeria in quanto minoranza, rispetto al pieno riconoscimento della propria cittadinanza.

Un riformista alla ricerca della giustizia

Tornando al libro, Djerroud parte dall’articolo “Riflessione sulla generosità” pubblicato da Camus nel 1939 su L’Entente, il giornale diretto dal politico nazionalista algerino Ferhat Abbas. Per poi passare al suo impegno nel Partito Comunista, alla sua volontà di far sentire politicamente la voce dei colonizzati e alla sua coraggiosa denuncia della repressione dei primi separatisti dell’associazione La Stella Nord-Africana (ENA, Étoile Nord-Africaine) e del Partito del Popolo Algerino (PPA, Parti du Peuple Algérien) fondato da Messali Hadj. E si chiude con il Camus della fine degli anni Cinquanta, combattuto tra la sottovalutata aspirazione all’indipendenza algerina e il timore che la spirale innescata dal terrorismo renda impossibile ogni futura convivenza tra le comunità. Djerroud è chiarissimo a riguardo: la denuncia del colonialismo francese da parte di Camus resta riformista, in linea con un’idea d’uguaglianza politica e giuridica di tutti i cittadini dell’Algeria, senza distinzione di religione e di appartenenza, nel rispetto totale e incondizionato delle differenze linguistiche, religiose e sociali. Un sogno di giustizia e fratellanza fatto di illusioni, forse già perse in partenza!

L’aspirazione a superare il sistema coloniale era legata anche all’appello a farsi carico quanto prima dell’indigenza e dello stato di degrado di gran parte della popolazione algerina, soprattutto con il reportage a puntate “Miseria della Cabilia”4 a firma di Camus e pubblicato sul quotidiano democratico Alger républicain nel giugno 1939. Djerroud lo interpreta come un sincero impegno da parte di Camus per i diritti e i bisogni umani più elementari, in primo luogo la giustizia. Anche se, come osserva giustamente, Camus non chiarisce però il nesso “tra colonialismo e miseria sociale”. L’autore traccia così il ritratto di un Camus non “colonialista” o “paternalista”, ma umanista, inquieto e dubbioso, che cerca, a partire dal povero ambiente europeo di provenienza, un modo di porsi di fronte all’alterità dei colonizzati. Camus voleva far sentire la voce dei dannati della terra, di cui non ha mai smesso di celebrare la bellezza e la grandezza.

I limiti del pensiero “meridiano”

Tornando a Lo Straniero, il romanzo rappresenta, secondo Djerroud, “l’autoctono come straniero in patria, infelice e disarmato, che viene perfino sacrificato per un finto alibi: il sole!”. Ma il romanzo, però, raccontava una verità: la legge discriminatoria della colonia rendeva l’“arabo” una sorta di “sub-umano” a cui “si applicavano a malapena” i principi della Repubblica. Al di là di ogni interpretazione, aggiunge Djerroud, “il romanzo, unendo immaginario e reale, viene pubblicato al momento giusto e rispecchia una realtà pressoché quotidiana” della vita nelle colonie. Per inciso, è bene ricordare che i critici postcoloniali o nazionalisti de Lo Straniero spesso sottovalutano il fatto – facendolo passare in secondo piano – che il romanzo segna la rottura con la vera letteratura d’apologia del colonialismo, quella detta “algerianista”, un tempo rappresentata da Louis Bertrand e Robert Randau.

Lontano dal cliché del “colonialista” cieco e dispotico, attento alle sofferenze e alle richieste di giustizia e indipendenza dei colonizzati, la figura di Camus potrebbe essere interpretata meglio, secondo Djerroud, se la si accosta a quella di Daru, il maestro elementare de L’ospite, un racconto scritto nel 1957 e contenuto nel libro L’esilio e il regno5. Nato in Algeria da genitori francesi, Daru è un “pied-noir” che parla l’arabo e ha scelto l’insegnamento per cercare di rendere meno dura l’estrema povertà della gente del posto. Incaricato di scortare fino alle autorità francesi Mohamed, un ragazzo accusato di omicidio, durante il viaggio, Daru rifiuta l’ordine di consegnare il prigioniero che gli è stato affidato. È forse proprio attraverso la figura di Daru che Camus vuole mostrare agli “arabi” e agli europei il forte legame umano che si instaura tra due uomini “in un “paese [...] dov’è crudele vivere, ma che potrebbe cambiare grazie alla volontà di tutti”. Lo dimostra anche l’epilogo in cui il maestro viene condannato da entrambe le parti: lo scrittore è pienamente consapevole dei limiti di un ordine sociale che condanna al fallimento questa ricerca d’umanità.

Volendo chiarire la necessità di un “pensiero meridiano”, fondato sul concetto di misura, Camus mostra i limiti della sua visione della “questione algerina” con la poco realistica proposta, lanciata nel luglio 1955, di una “Algeri capitale federale”. “Camus”, scrive inoltre Djerroud, “è stato molto lucido su tante questioni della sua epoca. […]. Ma non è riuscito a vedere l’ignominia coloniale in Algeria”.

In sintesi, il libro invita a considerare lucidamente quanto accaduto prima e dopo il 1962 senza cedere alle semplificazioni della storia ufficiale, né al mito dello scrittore onnipotente da cui dipendono la felicità o i mali di un mondo che spesso lo schiaccia con la sua assordante indifferenza. E questo è anche uno dei motivi per cui sarebbe assurdo addossare la responsabilità della conquista coloniale e delle sue conseguenze, ma anche i massacri e le atrocità di una guerra durata sette anni, su uno scrittore tormentato dai suoi dubbi.

1Si veda Edward Said in Cultura e imperialismo. Letteratura e consenso nel progetto coloniale dell’Occidente, Roma, Gamberetti, 1995.

2Appellativo di origine francese (“piede nero”) dato, con intonazione spregiativa, ai figli di genitori francesi nati in Algeria, e in genere ai Francesi che vivevano in Algeria prima che la colonia conquistasse l’indipendenza. [NdT].

3Le citazioni sono tratte dal libro di Ahmed Taleb Ibrahimi, De la décolonisation à la révolution culturelle (1962-1972), il capitolo delle “discussioni”, Algeri, SNED , 1973.

4Albert Camus, Miseria della Cabilia, con introduzione di Laura Barile e traduzione di Marco Vitale, Torino, Nino Aragno, 2012.

5Albert Camus, L’esilio e il regno, trad. it. di Yasmina Mélaouah, Milano, Bompiani, 2018.