Musica

Gaza. Saint Levant, una nuova voce fuori dagli schemi.

Il 22 febbraio è stato pubblicato un nuovo videoclip di Marwan Abdelhamid, nome d’arte Saint Levant. Si tratta della titletrack del suo ultimo album Deira, in uscita ad aprile. Le influenze musicali e artistiche rappresentano le due identità dell’artista, palestinese e algerina. Il nuovo disco è anche l’occasione per ripercorrere la carriera musicale e l’impegno politico del rapper palestinese.

L’artista franco-algerino e serbo-palestinese Marwan Abdelhamid, noto anche come Saint Levant, a Parigi il 19 gennaio 2024.
Geoffroy VAN DER HASSELT/AFP (fotoritocco)

Tutto ha inizio con TikTok e Instagram, le piattaforme della sua generazione, la cosiddetta Generazione Z. Frammenti video, testi in tre lingue, un look personalissimo. Un paio di singoli, poi un primo EP intitolato “From Gaza with love”. Già dal titolo sono subito chiari i temi prediletti da Saint Levant: la Palestina e l’amore. Il successo immediato lo proietta al centro dell’attenzione. Prima il New York Times, poi Le Monde gli chiedono un’intervista. E come spesso accade con le scoperte folgoranti, si scatenano anche i detrattori. Chi si crede di essere questo ragazzo di 23 anni, che parla tre lingue? Chi rappresenta? Ma è davvero palestinese? Che diritto ha di parlare a nome della Palestina? Queste sono alcune delle domande ricorrenti. Come se l’identità palestinese fosse inamovibile, fossilizzata in rigidi cliché. Come se discostarsi da quella identità fosse un segno d’inautenticità ed eccessiva concessione ai canoni occidentali da parte degli artisti. E questo la dice lunga sull’idea che ci si fa della Palestina, anche tra coloro che stanno dalla sua parte. Per essere palestinese, non bisogna uscire dagli schemi.

Parlare di Gaza al GQ Awards

Saint Levant, invece, è uno a cui non piacciono gli schemi, anzi ama andare fuori dai sentieri battuti, sorprendendo con scelte musicali e look molto audaci che possono non piacere a tutti. Indossa sempre delle kefiah di vari colori, e sul palco usa un linguaggio molto espressivo. All’età di vent’anni, nelle sue prime canzoni, ha raccontato alcune storie d’amore, ancora in maniera un po’ goffa. Ma sa anche prendersi in giro creando giochi di parole divertenti. Nella canzone “From Gaza with Love”, ad esempio, chiede alla modella americana di origine palestinese Bella Hadid di cambiare il suo cognome con quello del rapper, Abdelhamid.

A novembre 2023, il giovane artista è stato incluso tra gli uomini e le donne dell’anno dalla rivista GQ1. Quando è andato a Parigi per ricevere il premio, c’è stata l’esplicita richiesta da parte degli organizzatori di non parlare della Palestina. Ma il rapper non si è dato per vinto. Sul palco, Saint Levant ha parlato della situazione di Gaza sotto le bombe e dell’occupazione israeliana “che dura da 75 anni”. Visibilmente emozionato, il rapper ha poi elencato i nomi di alcuni dei bambini uccisi, di cui avrebbe voluto raccontare le storie. Un modo, da parte sua, di ricordare che i palestinesi hanno anche “dei volti, dei nomi e delle vite”.

Dalla Palestina all’Algeria, passando per la Jugoslavia

Se il suo videoclip fa riferimento all’immaginario della resistenza e della controcultura, i giovani in moto strizzano l’occhio al video “Disco Maghreb” di DJ Snake, girato nel 2022 in Algeria. Nel brano, trova posto anche la cultura algerina con la melodia chaâbi (musica popolare algerina) che dona un tono malinconico e orecchiabile allo stesso tempo, grazie al suono di strumenti come la mandola e la darbuka che rimandano all’altra identità di Saint Levant.

Saint Levant - Deira ft. MC Abdul (Official Video) - YouTube

Sua madre, Maria Mohammedi, è franco-algerina e suo padre, Rachid Abdelhamid, serbo-palestinese. Entrambi sono cresciuti in Algeria. Nel 1997 si trasferiscono a Gaza, dove Maria, che ha una formazione giuridica, lavora per l’Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l’occupazione dei rifugiati palestinesi nel Vicino Oriente (Unrwa). Lì incontrano i nonni paterni di Saint Levant. Suo nonno è originario di Safad, nel nord della Palestina, da cui è stato espulso all’età di 8 anni, durante la Nakba del 1948. Dopo essere andato da solo in Siria, suo nonno ottiene una borsa di studio per andare in quella che all’epoca si chiamava ancora Jugoslavia. Lì incontra la sua futura moglie, e la coppia si trasferisce in Algeria negli anni ‘60 per lavoro: lui come ingegnere, lei come medico. La coppia vive lì fino agli accordi di Oslo, poi al seguito dell’Autorità Palestinese si trasferisce a Gaza. La passione di Saint Levant per la musica nasce forse dalla nonna materna, che insegnava musica al liceo francese di Algeri.

Un tributo alla sua infanzia gazawi

Forse anche per mettere fine alle varie illazioni sulla sua appartenenza, Saint Levant ha scelto di intitolare il suo nuovo album Deira come l’omonimo brano pubblicato venerdì 23 febbraio, perché evoca il legame che lo lega a quel luogo. “Deira”, che in arabo palestinese significa il vecchio quartiere, la medina o più in generale il villaggio, si riferisce al nome che suo padre, Rachid Abdelhamid, architetto e imprenditore nel settore culturale, aveva dato a un albergo progettato, ispirandosi alle tecniche edilizie del sud dell’Algeria. Situato a Rimal, quartiere residenziale di Gaza, di fronte al mare, l’hotel è stato fino a poco tempo fa uno dei gioielli della città. Negli ultimi mesi, l’albergo è stato completamente distrutto dai bombardamenti dell’esercito israeliano.

Nato a Gerusalemme, Saint Levant ha vissuto fino ai sette anni in questo hotel, prima che i suoi genitori fossero costretti a partire per la Giordania. È tra il campo profughi di al-Shati e il quartiere di Rimal a Gaza che nasce il suo senso di appartenenza o, come dice senza metafore, è lì che è iniziata la sua vita. Prima del “triste esilio” di cui parla nel brano.

La Palestina rappresenta per Saint Levant la madrepatria. Il video diretto da Mattias Russo-Larsson proprio parte da questa immagine. Dalla città salendo le montagne, vediamo ragazze e ragazzi in moto, che lungo il percorso raccolgono dei pezzi di stoffa per realizzare una stola. Alla fine del videoclip, con il drappo viene coperta una figura femminile che incarna la madre e la Palestina. La postura dignitosa di questa donna, che guarda dritto negli occhi gli spettatori, evoca la perseveranza, il sumud2, citata nella poesia della giovane attrice e scrittrice Saja Kilani, che apre il brano. Il racconto per immagini è intervallato da sequenze in cui vediamo Saint Levant duettare con l’ospite del brano: il giovane rapper MC Abdul. Attorniati da bambini, i due artisti cantano le loro strofe, uno in arabo (un misto di palestinese e algerino), l’altro in inglese. La voce di Saint Levant, qui più consapevole e matura, si sposa perfettamente con quella del rapper quindicenne di Gaza, da poco stabilitosi a Los Angeles, che afferma il suo essere palestinese con l’unica, ma potente, frase pronunciata in arabo: “Niente è come la Palestina”.

Un mecenate per gli artisti palestinesi

Erede di questa storia familiare, Saint Levant non è solo un cantante trilingue di diverse nazionalità, che oggi vive a Los Angeles. Sorvolando sul suo multilinguismo, nel suo nome d’arte troviamo forse più un goffo orientalismo che una scherzosa storpiatura del nome dello stilista Yves Saint Laurent. Eppure, questa è una delle strategie di riappropriazione tipica dell’hip-hop. Se ci perdiamo in sterili dibattiti sull’autenticità della sua appartenenza, ci sfugge il percorso musicale e politico di questo giovane artista che non ha paura di esprimere le cose in cui crede.

Previsto per aprile, l’album “Deira” segna una tappa importante nella carriera del rapper. Il disco contiene otto tracce che sono altrettante odi alla Palestina e all’amore. È così che Saint Levant evoca in modo toccante le sue disillusioni, rendendo omaggio ai suoi cari e ai luoghi in cui è cresciuto e che lo hanno segnato. Per quest’album, ha firmato un contratto con la SALXCO, l’etichetta dell’artista canadese The Weeknd, mantenendo però una grande indipendenza nelle sue scelte artistiche. Saint Levant sta cercando di creare una propria etichetta, lanciando l’iniziativa “2048 Fellowship” per finanziare progetti di artisti palestinesi che si impegnano ad esprimere, come lui, le loro convinzioni politiche e i loro sogni di una Palestina libera.

1Classifica stilata dalla rivista americana di moda e cultura GQ [Ndr].

2Sumud è una parola araba che vuol dire fermezza o perseveranza, ma anche resilienza o resistenza [NdT].