Le “donne nell’islam” è forse la questione più dibattuta, semplificata e controversa, soprattutto da chi guarda alle società e le comunità islamiche dall’esterno. La classica domanda che si pone ad una donna musulmana riguarda spesso la presunta misoginia presente nella religione islamica delineata spesso in termini di costrizione ad indossare il velo. Sull’immagine della donna musulmana oppressa, priva di opportunità, relegata alle mura domestiche, vittima di violenza, è stato costruito un discorso islamofobo, che tuttora pesa sulle spalle di ogni musulmana in contesti di minoranza.
In questo quadro, da parte delle donne musulmane si generano diversi tipi di reazioni che vanno dall’indifferenza più totale ad un attivismo politico nella sfera pubblica per contrastare pericolose semplificazioni e stereotipi. Non è raro trovare anche in ambienti spiccatamente femministi, idee che vedrebbero come incompatibile la rivendicazione dei diritti delle donne, l’uguaglianza di genere con chi pratica la religione islamica, anzi in alcuni ambienti questo pregiudizio si estende a tutte le religioni abramitiche viste come irrimediabilmente patriarcali e misogine. Che dire dunque delle donne che militano all’interno di organizzazioni cosiddette islamiste collocate ideologicamente nel fondamentalismo islamico e considerate da alcuni addirittura terroriste? È il caso della Fratellanza Musulmana (al-Ikhwān al-Muslimūn) fondata nel 1928 in Egitto da Hasan al-Banna, maestro di scuola elementare originario di El-Mahmudiyya, nel Delta del Nilo.
Prima di tutto bisognerebbe partire dallo sviscerare le definizioni di fondamentalismo e terrorismo, andando ad analizzare la storia dell’organizzazione dal suo principio, come questa si sia intrecciata con le vicende politiche egiziane, come abbia modificato il tessuto sociopolitico egiziano, fino ad estendersi in altri paesi.
Genesi della ricerca e contesto sociopolitico
Questo è quello che fa Margherita Picchi nel suo volume L’ombra dei fratelli. Le sorelle musulmane nell’Egitto contemporaneo, un’opera che merita di essere letta e discussa, sia per la sua rilevanza sociale e politica, sia per la sua qualità letteraria. In questo volume Picchi analizza appunto il ruolo e l’influenza delle donne all’interno dell’organizzazione dei Fratelli Musulmani in Egitto. La rilevanza del tema va considerata non solo alla luce della centralità dell’Egitto nella storia del mondo arabo-islamico e la sua influenza sulle comunità musulmane di tutto il mondo, ma anche alla luce delle semplificazioni e del pregiudizio di cui sono spesso vittima le donne musulmane.
Il libro infatti offre numerosi spunti di riflessione su diversi temi che vanno al di là del contesto sociopolitico egiziano oltre a costituire un contributo significativo e originale agli studi sui movimenti islamisti e sulla partecipazione femminile. La ricerca di Margherita Picchi è maturata durante e dopo la rivoluzione egiziana del 2011, che ha portato alla caduta di Hosni Mubarak e all’elezione di Muhammad Morsi, esponente dei Fratelli Musulmani, nel 2012.
Il libro si basa sulla tesi di dottorato dell’autrice e offre una prospettiva critica sulla partecipazione femminile all’interno del movimento islamista, sfidando gli stereotipi sulle donne musulmane e interrogandosi continuamente sulle loro ragioni che le spingono a sostenere un movimento spesso contrario ai diritti femminili, almeno dalla prospettiva di chi aderisce a quanto sancito da convenzioni internazionali come ad esempio la CEDAW. Uno dei contributi maggiori di quest’opera è di spingere il lettore a riflettere profondamente sulla possibilità che possano esistere altri modelli di espressione e costruzione dell’uguaglianza di genere e di riconfigurare la stessa definizione di femminismo, superando una visione binaria che vorrebbe dividere le donne fra femministe e non femministe.
Inizialmente Picchi aveva pianificato di svolgere una ricerca di campo sostenuta da interviste alle donne della Fratellanza Musulmana, proprio per dare voce a quelle persone che come suggerito dal titolo sono spesso “in ombra”, di cui se ne ignora l’esistenza, la rilevanza e l’influenza all’interno dell’organizzazione. Questa idea viene accantonata a causa della repressione seguita al colpo di Stato militare del luglio 2013, spingendo l’autrice a concentrarsi su fonti scritte e a rinunciare all’analisi di storia orale, che comunque non risulta essere una limitazione alla qualità e alla rilevanza delle informazioni raccolte. L’analisi dell’autrice, infatti, si rivela metodologicamente rigorosa e ricca.
Il volume è strutturato in quattro capitoli: uno introduttivo sulla storia della questione femminile in Egitto e come in questo quadro si inserisce l’ideologia di genere dei Fratelli Musulmani, a cui segue una necessaria panoramica storica e analisi dell’ideologia della Fratellanza. Nel capitolo terzo troviamo, quasi come una storia parallela, la ricostruzione delle vicende delle Sorelle Musulmane, basata sui resoconti autobiografici di tre figure centrali: Zaynab al-Ghazali, Fatima ‘Abd al-Hady e Intisar ‘Abd al-Moneim. Infine, nell’ultimo capitolo Picchi analizza i cambiamenti dovuti agli eventi politici dopo la rivoluzione del 2011.
Posizionalità, pregiudizi e spazi di comprensione
Con una scrittura coinvolgente e una narrazione fluida, Picchi riesce a trasmettere una profonda comprensione delle complesse dinamiche sociali, culturali e politiche che influenzano le donne militanti nella Fratellanza Musulmana, partendo da un posizionamento molto preciso che viene delineato senza troppi giri di parole: “una studiosa che si posiziona come impegnata e femminista, e che quindi, senza alcuna pretesa di neutralità o d’innocenza, aspira a mantenere – e qui Picchi fa sue le parole di Haraway – una obiettività che non ha niente a che fare con il disimpegno, ma riguarda invece il processo del farsi, che è reciproco e spesso diseguale; e riguarda l’assumersi dei rischi in un mondo dove ‘noi’ siamo in permanenza mortali-e quindi in fin dei conti senza controllo” (p. 21).
La sincerità dell’autrice riguardo alle sue motivazioni e la trasparenza nel descrivere il processo di ricerca aggiungono valore all’opera e invitano il lettore a un’esplorazione approfondita delle dinamiche interne ai Fratelli Musulmani e del ruolo delle donne in questi cambiamenti. L’autrice si chiede come sia possibile che più di un quarto dei militanti nella Fratellanza Musulmana sia costituito da donne, vista l’opposizione dell’organizzazione ai principi di uguaglianza di genere sancito dalle convenzioni internazionali.
Come osserva la storica Lucia Sorbera nella prefazione, lungo tutto il libro l’autrice non nasconde di non sentire alcuna risonanza con la visione e il modo di declinare i rapporti di genere delle Sorelle Musulmane. Questo tuttavia non le impedisce di comprenderne le ragioni alla luce della storia, del contesto e delle loro esperienze e dunque di restituire un’analisi approfondita e illuminante sul vissuto delle donne appartenenti all’organizzazione, i rapporti di genere e l’articolazione di un pensiero in equilibrio tra politica e religione per aprire ad una riflessione generale sulla società egiziana contemporanea e sul rapporto tra religione e politica, che apre a grandi temi che riguardano anche noi in Europa. In particolare, è nella tensione che l’autrice prova verso sé stessa nello sforzo di andare oltre i propri pregiudizi, decostruirli il più possibile per raggiungere l’altro che ne si evince una profonda riflessione sulla necessità di decolonizzare il pensiero e lo sguardo sul mondo arabo-islamico.
Il punto centrale di siffatta dissonanza affonda le sue radici nell’interpretazione del controverso concetto di qiwāma (autorità maschile) visto come una presa di responsabilità degli uomini nei confronti delle donne da proteggere e salvaguardare. I rapporti di genere si dipanano dunque lungo il concetto di complementarità, in una dinamica di disequilibrio di potere non percepito, che si contrappone al concetto di uguaglianza sostenuto dall’autrice. La presentazione fornita da Picchi, tuttavia, è ben lontana dal costruire giudizi affrettati e si discosta notevolmente da quello sguardo orientalista che riduce e distorce ma risulta invece notevolmente articolata, dimostrando una profonda conoscenza del contesto storico e culturale egiziano in un quadro relazionale che va al di là del “noi” e “loro”, ma crea piuttosto un prezioso spazio di comprensione. In sintesi, il testo si distingue per un approccio critico e la volontà di sfidare le narrazioni prevalenti sia nei media occidentali che in parte del mondo accademico.
Femminismo e islam: ripensare le categorie
Interessante è l’emergere di una riflessione sulla categoria «femminismo islamico» e la possibile declinazione di un “femminismo islamista”. Picchi esplora le diverse opinioni e prospettive sul tema, citando lavori di studiose e teologhe, nonché la propria esperienza personale in conferenze e confronti con figure chiave come Asma Lmbrabet.
Ne emerge una tensione tra l’uso del termine “femminismo” in contesti islamici e la resistenza a tale termine da parte di alcune donne musulmane attive politicamente, che spesso rifiutano l’etichetta di “femministe”. Picchi prende dunque in esame il punto di vista delle attiviste e intellettuali musulmane che sostengono l’uso del termine “femminismo islamico” e coloro che lo rifiutano considerandolo come un’imposizione di paradigmi occidentali in contesti non occidentali. È il caso di Heba Raouf Ezzat, che pur essendo critica nei confronti di posizioni ultraconservatrici, rifiuta l’etichetta di “femminista”. Ciò mette in luce la generale complessità delle identità e delle posizioni teorico-politiche delle donne musulmane, che non possono essere facilmente categorizzate. Il volume, dunque, ci offre la possibilità di ragionare sulle sfide della costruzione di un femminismo che sia autenticamente intersezionale, e del superamento di una mentalità che soffre ancora di retaggi neocoloniali e orientalisti.
Dall’analisi della vicenda delle tre succitate militanti di spicco all’interno della Fratellanza Musulmana – al-Ghazali, ‘Abd al-Hady e ‘Abd al-Moneim- emerge anche un interessante confronto tra l’islamismo e il neotradizionalismo euroamericano. Difatti, l’autrice evidenzia che entrambi i movimenti hanno al loro interno donne che promuovono attivamente un modello di femminilità che è in contrasto con quello proposto dal femminismo occidentale.
Picchi suggerisce che comprendere le similitudini tra i due contesti può aiutare a capire meglio l’adesione di alcune donne al modello islamista di liberazione femminile.
Oltre i confini egiziani
In conclusione, l’analisi presentata in questo libro va molto oltre l’esperienza egiziana in quanto offre la possibilità di attraversare la complessità e la molteplicità di visioni sul femminismo e l’uguaglianza di genere all’interno del contesto islamico. Il testo invita inoltre ad un esame critico delle definizioni e delle etichette, e a una riflessione sulle differenze culturali e sui pregiudizi che possono influenzare la percezione e la discussione di questi temi anche in ambienti e contesti meno noti.
Il libro promette di essere una lettura essenziale per chiunque sia interessato alla politica egiziana, ai movimenti islamisti e al ruolo delle donne in questi contesti. L’opera senza dubbio contribuisce a colmare una lacuna importante nella letteratura esistente e a fornire una prospettiva più sfumata e meno polarizzata su temi spesso trattati in modo riduttivo.
Margherita Picchi si conferma come una studiosa attenta e appassionata, capace di offrire una visione dettagliata e sfaccettata di una realtà complessa e spesso poco conosciuta.