
L’attivismo islamico in Maghreb, recentemente uscito presso la casa editrice Carocci, affronta il fenomeno dell’Islam politico in tre paesi del Nord Africa - Tunisia, Algeria e Marocco - e firmato da due promettenti studiosi, Ester Sigillò e Massimo Ramaioli. Questo volume presenta una storia informata dei movimenti islamisti e salafiti che i due autori vedono in una prospettiva originale che fa uso degli strumenti analitici della Teoria dei Movimenti Sociali. Il libro si articola in tre capitoli, ciascuno per paese, oltre ad una corposa introduzione. Qui gli autori presentano il loro contributo teorico originale che, oltre a presentare il quadro generale della suddetta teoria dei movimenti sociali, propone anche i tre concetti chiave di “politica come attivismo sociale”, “ibridazione”, e “struttura delle opportunità politiche” intorno a cui l’intero libro si sviluppa. Non c’è dubbio che la lettura innovativa della “politica come attivismo” è affascinante e molto utile quando applicata ai movimenti islamisti. Così come la categoria di “ibridazione” permette di scoprire un vero e proprio nuovo campo di intellegibilità del fenomeno. Mentre la struttura delle “opportunità politiche” dà la possibilità di valutare l’ideologia e l’azione dei movimenti e partiti in questione come dinamici, rispondenti a congiunture di opportunità benchè “costretti” dentro strutture di potere esistenti.
Politica come attivismo sociale
Politica come attivismo sociale, anzitutto, è un concetto applicato ai movimenti di tendenza islamica che permette ai due studiosi di spostare il focus al di là della politica istituzionale, costituita dal partito politico e dalla lotta per la conquista dello stato. Questo approccio è analiticamente significativo quando applicato all’Islam politico, perchè quest’ultimo si manifesta in effetti in larga parte come fenomeno al di fuori del quadro istituzionale della politica. L’attivismo islamico si è storicamente sviluppato come un fenomeno su due livelli, di partito tradizionale e di movimento socio-religioso. Gli autori, quindi, cercano di rompere la divisione artificiale che molti studiosi hanno fatto propria quando hanno considerato questi due fenomeni come diversi e separati. Certo influenzati da quanto questi stessi partiti (Ennahda tunisino e PJD marocchino) hanno dichiarato circa una presunta politica di ‘specializzazione’ o ‘distinzione’ dei due ambiti (pp. 140-141). Riunificare le due dimensioni in una stessa categoria del ‘politico’ apre nuovi orizzonti, quello per esempio dello studio dell’associazionismo. “Le associazioni islamiche possono fungere da catalizzatori politici”, reclamano gli autori (p. 36). E la da‘wa, la mobilitazione socio-religiosa di proselitismo, va considerata come eminentemente politica, anche se questa non si esercita con l’obiettivo diretto di prendere il potere.
La dialettica partito-movimento è uno dei fattori chiave nella dinamica “politica” dei movimenti islamici maghrebini studiati nel libro. Per esempio, “nel contesto marocchino, il Movimento per l’Unicità e la Riforma (MUR) ha svolto un ruolo cruciale nella mobilitazione elettorale del partito PJD, sfruttando la sua forte base sociale e religiosa” (p. 36). Il partito (PJD) abbandona ad un certo punto il movimento sociale religioso (MUR), ma rimane con questo in rapporto dialettico, perchè da esso si alimenta per non essere schiacciato dalla logica cooptatrice del “makhzen”, il sistema politico di potere tipico del Marocco (pp. 115-118). “Il PJD si trova così in una invidiabile posizione per capitalizzare in campo politico il vasto supporto popolare generato dal MUR in campo sociale” (p. 117). Lo stesso vale per il partito tunisino Ennahda che, benché non abbia una associazione di da‘wa separata dal partito, predica tra i suoi membri dopo il congresso del 2016 la “specializzazione del partito in politica, separando, o meglio, distinguendo, la dimensione politica da quella religiosa” (p. 52). Questo comporta una flessibilità e permette ai due partiti di essere al contempo partiti di governo e di contestazione, al punto che “la forte presenza di attivisti di Ennahda nel mondo associativo porta le forze politiche laiche e di sinistra ad accusare il partito di ricreare indirettamente un sistema di egemonia radicato nel tessuto sociale” (p. 54). Ma la dimensione politica e quella sociale non sono ‘separabili’, almeno secondo gli autori del volume.
Così, “la maggior parte [degli attivisti] continua a mobilitarsi a titolo personale per la difesa dei valori islamici in ambito politico” (p. 57).
Questa politica ha tuttavia i suoi limiti; e spesso, come succede in Tunisia, i membri del partito possono contestare questa strategia come una perdita di autenticità o di radicalità politica e infine abbandonare il partito. Qui il mondo dell’associazionismo diventa una nuova ‘arena’ della politica. “Una parte delle associazioni religiose si riconfigura quindi progressivamente in una rete islamica che prende formalmente le distanze da Ennahda” (p. 58). In effetti, gli autori insistono, “contrariamente alla concezione diffusa che vede il passaggio dall’impegno politico all’associazionismo come una forma di depoliticizzazione, questi studi indicano che le associazioni islamiche possono fungere da catalizzatori politici” (p. 36). Questa è in effetti una tesi forte ed originale del libro. L’associazionismo diventa uno spazio di ibridazione, “in cui le dinamiche politiche si intrecciano con le dimensioni sociali, culturali e religiose” (p. 37).
Ibridazione ideologica e opportunità politiche
Il concetto di “ibridazione” è forse più di tutti l’elemento nuovo che apporta questo libro sul piano teorico. Con esso si intende la contaminazione ideologica, o anche la commistione tra pensiero e pratica islamica tradizionale con elementi nuovi: “ibridazioni dell’attivismo islamico con altri registri, propri di esperienze e ideologie non islamiche. Ibridazione che, forse più di ogni altro sviluppo qui discusso, ci presenta un islam politico quanto mai variegato e dinamico” (p. 137). Gli autori usano questo concetto per dialogare con la categoria più usata in letteratura per descrivere l’evoluzione post-ideologica dell’islamismo: quella di post-islamismo (p. 139). I movimenti di ispirazione islamica, tra cui vanno annoverati i movimenti salafiti quietisti in Marocco e in Algeria, si contaminano con l’associazionismo di tipo “occidentale” legato alla richiesta del rispetto delle libertà e dei diritti umani. In effetti, “cambiamenti e ibridazioni sono particolarmente evidenti proprio nel Maghreb contemporaneo” (p. 138). In questo caso, gli esempi piu emblematici proposti dal libro sono il movimento algerino Rashad, la coalizione Itilaf al-Karama in Tunisia (un gruppo politico laico che contiene al suo interno elementi salafiti) e il salafismo quietista marocchino, la cui “ibridazione si manifesta anche nell’appropriarsi (...) della retorica dei diritti umani” (p. 128). Il movimento Rashad in Algeria, in particolare, è stato protagonista delle mobilitazioni dell’Hirak del 2019, ed è “un caso emblematico di ibridazione [il corsivo è del recensore] (...), presentandosi come una fusione di influenze globali e locali, ideologie diverse e strategie di mobilitazione sia tradizionali che digitali” (p. 103). Altri casi sono il partito marocchino JAI (il Gruppo per la Giustizia e la Spiritualità) che reclama contemporaneamente le responsabilità dell’esecutivo davanti all’elettore (un concetto tipico del liberalismo democratico) e una democrazia autentica non occidentale; e il PJD marocchino, la cui politica di governo gli autori descrivono come “populista”, altra espressione dell’ibridazione politica (pp. 130-133).
Questi due elementi fondamentali che guidano il quadro concettuale del libro, ibridazione e politica come attivismo sociale, sono accompagnati dal più classico degli strumenti teorici della teoria dei movimenti sociali, quello della struttura delle opportunità politiche. Non vi è dubbio che questa è una categoria che funziona sempre quando si vuol porre l’accento sulla “flessibilità” dell’azione politica, nel senso di un confronto permanente tra “ideologia” e “azione”, dove quest’ultima è condizionata dalle opportunità che il contesto offre. Per esempio, “eventi storici e processi politici contribuiscono in modo decisivo ad una rielaborazione presso i salafiti marocchini di cosa comportino, all’atto pratico, i propri convincimenti personali” (p. 123). I salafiti quetisti diventano “politici” dopo il 2011, quando le opportunità di partecipazione politica si allargano, come in Marocco e in Algeria, o si aprono chiaramente, come in Tunisia. L’inquadramento storico che permette questo approccio metodologico, inoltre, “intende cogliere proprio la mutevole relazione tra potere dello Stato e istanze della società civile, come anche illustrare rapporti al’interno della società civile stessa tra i vari movimenti” (pp. 138-9). “La costante espansione del salafismo quietista in Algeria” quindi “beneficia delle ‘opportunità strutturali’ offerte anche dalla sanguinosa guerra civile” (p. 99), in quanto il regime apre a queste forme di salafismo apparentemente apolitico per contrastare l’islamismo militante. Il partito marocchino PJD adegua allora la sua strategia tenendo conto delle opportunità apertesi dopo il Movimento 20 febbraio 2011, con i nuovi poteri dati all’esecutivo nella nuova costituzione. Queste opportunità si aprono tuttavia ma sempre nell’ambito delle costrizioni imposte dal sistema di potere, il makhzen e il re in Marocco e l’apparato burocratico-militare in Algeria, nei due esempi citati.
Salafismo e jihadismo
Anche l’espansione dell’islamismo jihadista in Algeria e in Tunisia è legata al contesto. In Tunisia, l’espansione del progetto radicale salafita di Ansar al-Sharia (AST) dipende dall’apertura dell’“arena politica” e dalla moderazione del partito islamista Ennahda. In Algeria la nascita del jihadismo, e poi l’espansione di AQMI (Al Qaeda nel Maghreb Islamico) verso sud (nel Sahel) sono la conseguenza della chiusura del sistema politico-elettorale, prima, e dell’efficacia della repressione, poi. Gli autori per questo ci ricordano che l’evoluzione storica dei movimenti islamisti va inquadrata dentro la specificità del contesto del sistema di potere di ognuno dei paesi in questione, e delle opportunità che si creano in particolari congiunture. Pertanto, in Marocco, l’islamismo si sviluppa in relazione al fatto che l’istituzione del re, un’autorità tradizionale in senso weberiano, è fondante del sistema di potere: i partiti-movimenti islamisti e salafiti si configurano in larga misura in risposta al dato strutturale della presenza politica e religiosa dell’istituzione regale (p. 112). In Algeria, la conseguenza del discorso legittimante del regime in termini di lotta per la liberazione nazionale si traduce nell’ appropriazione del movimento islamista FIS (Fronte Islamico di Salvezza) degli stessi temi, che vengono però islamizzati. Il 1989-1991, infine, si apre in Algeria come un biennio di “opportunità politiche” nel senso della democratizzazione del movimento, che si presenta alle elezioni poiché le elezioni municipali e parlamentari sono un’opportunità per prendere il governo del Paese. La successiva repressione, tuttavia, si trasforma in un nuovo “contesto” che questa volta è favorevole allo sviluppo dell’islamismo algerino in senso jihadista e ‘rivoluzionario’. L’opzione della lotta armata finisce in un bagno di sangue dando luogo agli anni piu traumatici della storia post-coloniale del paese (1992-2002). Il nuovo contesto si trasforma in un nuovo fattore “strutturale” condizionante lo sviluppo successivo dell’islamismo algerino che si suddivide più recentemente tra coloro che si sono fatti assorbire dal nuovo ordine, l’MSP (Movimento per la Società e la Pace) e coloro che rifiutando la cooptazione sono pero’ “costretti” a cercare nuove forme di ibridazione, il movimento Rashad, o il salafismo quietista di Dawa salafiyya (p. 99). In Tunisia, l’effetto più clamoroso della congiuntura/opportunità politica del periodo post-rivoluzionario 2011-2013 è dato dall’inserimento politico-istituzionale dell’islamismo tradizionale di Ennahda e dall’emergenza di nuovi partiti/movimenti salafisti, politici o jihadisti (p. 58-62).
Il volume è per lo più molto buono, a tratti brillante, ma presenta problemi di minor entità che vanno tuttavia segnalati. Uno di questi problemi riguarda il carattere forse eccessivamente descrittivo delle parti di ricostruzione storica nei capitoli sulla Tunisia e l’Algeria. D’altra parte, gli autori sono eccellenti nella sezione più contemporanea che riguarda il loro campo di specializzazione, ma non possono che affidarsi a fonti secondarie per la ricostruzione storica. Questa scelta a volte ha l’effetto che qualche breve sezione è trattata in maniera succinta, così come in qualche caso sono presenti semplificazioni che ripetono certi luoghi comuni, come sui movimenti jihadisti, per esempio. Si consiglia vivamente, ad esempio, di rimanere critici rispetto all’uso dei termini “terrorismo” (pp. 33, 90, 61) o “radicalizzazione” (p. 126), largamente usati in certa pubblicistica ma di scarso valore epistemologico. La parte sul jihadismo appare in effetti quella meno approfondita e problematizzata. Il libro avrebbe beneficiato senz’altro se avesse mantenuto un approccio critico anche su questo tema.
In conclusione, L’attivismo islamico in Maghreb è un ottimo strumento di presentazione del fenomeno islamista nel “Piccolo Maghreb”, che può certamente essere uno strumento utile di consultazione per chiunque sia interessato alla politica in questa regione o al fenomeno specifico dell’attivismo islamico. Inoltre, va dato il merito alla casa editrice di aver restituito al pubblico italiano un dibattito di grande attualità come quello dell’Islam politico, e di avere puntato su due brillanti studiosi italiani, già noti nella letteratura scientifica internazionale. Infatti, non si può non rammentare, prima di concludere, che Ester Sigillò e Massimo Ramaioli hanno contribuito in maniera significativa al dibattito sull’argomento: la prima sull’associazionismo islamico, il secondo sul salafismo attraverso un approccio gramsciano. Il loro marchio specifico è la ragione vera che sta dietro all’originalità e l’interesse di questo libro.