
“Ho cominciato a filmare quando è cominciata la nostra fine”
È una splendida notte sulle alture della Palestina, la luna rischiara il cielo, ma dei minacciosi bagliori di luce si stagliano all’orizzonte. Sui crinali c’è un insediamento circondato da grovigli di filo spinato e un potente sistema d’illuminazione. Lì, una base militare, un punto di controllo o un checkpoint turbano la notte stellata con le loro luci ancora più potenti. Da un’altra parte, un convoglio di ponderosi veicoli delle forze di occupazione squarcia l’oscurità, sembrano non finire mai. Ogni notte, i coloni e le forze di occupazione escogitano nuovi piani per attaccare i palestinesi. No Other Land ha il grande merito di far luce su una delle pratiche più frequenti, antiche e radicate del colonialismo israeliano: la demolizione delle case palestinesi.
Strani ricordi d’infanzia
Un’auto gira di notte, alla guida c’è un giovane uomo. Seguiamo una strada sconnessa, si sente una voce gracchiare in un telefono in vivavoce: “Ragazzi, l’esercito ha circondato il villaggio”. La macchina si avvicina ai fari dei veicoli militari fino a formare un improvvisato posto di blocco. Basel Adra scende dalla sua auto e comincia a filmare i soldati nella penombra. È l’inizio, semplice e disperato allo stesso tempo, di No other land. Un attimo dopo, il film torna sui ricordi d’infanzia di Basel: il primo arresto del padre, quando aveva 5 anni, la sua prima manifestazione all’età di 7 anni con sua madre. Prende coscienza, mentre rievoca, che anche i suoi genitori sono stati degli “attivisti” e che, nei loro cuori, c’è sempre stata la causa palestinese. Nella famiglia Adra, è abitudine filmare ogni giornata sia buona che cattiva.
Le immagini di questi momenti risalgono a poco tempo fa, ai primi anni 2000, e si alternano con quelle girate nel periodo 2017-2023 dai quattro registi del film, Basel Adra e Hamdan Ballal, palestinesi, Yuval Abraham e Rachel Szor, israeliani. Anche se girato da un collettivo, il film è incentrato sul rapporto tra Basel e Yuval. La famiglia di Basel gestisce la stazione di servizio di Masafer Yatta, mentre Israele minaccia di distruggere molti villaggi della regione per costruire una base militare, un vecchio progetto legittimato dalla decisione della Corte Suprema. Lo stesso tribunale stabilisce che devono essere espulsi più di 1.000 palestinesi. Le manifestazioni scandiscono il ritmo del film. “Quando gridi, non muori”, dice una donna. Vengono organizzate fino a tre manifestazioni a settimana per protestare contro le demolizioni.
Nell’estate del 2019, un lugubre corteo di automezzi, bulldozer, potenti 4x4 e auto blindate si schiera lungo il crinale che domina una frazione di Masafer. A valle, una piccola folla, composta da molte donne, cerca di opporsi agli agenti incaricati dello sgombero. Le famiglie hanno a malapena il tempo di recuperare i pochi effetti personali – materassi, frigorifero, lavatrice – prima che i bulldozer radano al suolo tutto in pochi minuti, andando poi via in fila indiana. Tutt’intorno, lo stridente contrasto tra le case in ordine degli insediamenti di nuova costruzione e il cumulo di macerie dei villaggi palestinesi rasi al suolo. Un palestinese chiede a un soldato israeliano se non prova vergogna a distruggere la sua casa: “Perché dovrei vergognarmi, è la legge?”.
Come poi non ricordare, in questo spettrale metà di novembre, che nel nord di Gaza i rulli compressori stanno già preparando i lavori di sterro per gli insediamenti israeliani, mentre tutto il mondo si volta dall’altra parte.
Un’amicizia nascente ma complessa
Il lavoro in comune, il terreno condiviso e il desiderio di far uscire la Palestina dal cono d’ombra mediatico sono il contesto in cui nasce la complessa amicizia tra Basel e Yuval. Durante la loro frequentazione, i due sono sottoposti a un sistema discriminatorio e mortale. Yuval dice a Basel: “Imparare l’arabo ha realmente cambiato le mie opinioni politiche”, cercando un punto in comune, ma non è così facile, vista l’isteria dei media mainstream israeliani sui palestinesi, e che Yuval decostruisce passo dopo passo.
La sottile tensione tra i due, entrambi decisi a smascherare le informazioni occultate da Israele, nasce da questa distanza, sia professionale che personale. Yuval è libero e senza restrizioni, Basel vive sotto una brutale occupazione. :
Ti esalti facilmente. Vorresti che tutto accadesse velocemente. È come se fossi venuto a risolvere tutto in dieci giorni, così dopo puoi tornare a casa. Vuoi tutto subito. Abituati al fallimento, qui sei un perdente.
Ciò non vuol dire che Yuval farà sempre condannato a parte di una minoranza, non più di Basel, per il quale la questione della durata della lotta è una forza motrice, mentre per l’altro è un rinascita. Non viene messa in discussione né la sua determinazione, né il suo coraggio, ma Yuval è libero, mentre Basel vive sotto occupazione. Il lavoro di Yuval è prezioso perché pone la questione dei limiti della compassione, e di conseguenza del nostro impegno collettivo per la Palestina.
I sette minuti di Tony Blair
Per una strana coincidenza, le riprese di No Other Land sono terminate il 7 ottobre. A prescindere dalla sua portata, è un evento che ha smascherato la cecità occidentale, mentre è stato una tragedia per decine di migliaia di palestinesi, libanesi e israeliani. Due brevi sequenze nel film la dicono lunga sull’ipocrisia dell’Occidente. Nel 2009, Tony Blair, allora primo ministro britannico, si reca in visita in uno dei villaggi di Masafer Yatta – un visita che dura sette minuti. L’ex premier riesce però a impedire all’esercito israeliano di distruggere una scuola. Ma il salvataggio non impedirà la distruzione della scuola, che verrà rasa al suolo nel 2023 dall’IDF. Nessun primo ministro britannico o occidentale ha trovato un minuto per impedirlo.
Molti esponenti europei, tedeschi ma non solo, hanno però trovato il tempo per mostrare il loro dissenso verso il successo del film alla Berlinale. Il premio che il pubblico di Berlino ha attribuito al documentario significa che la volontà di combattere l’arbitrarietà israeliana comincia ad essere condivisa anche in Europa. No other land ha ricevuto anche il premio come miglior documentario, e la giuria è stata dello stesso avviso del pubblico. Contrariamente alle grida di indignazione dei sostenitori filo-israeliani alla cerimonia di premiazione, in questo film non c’è un briciolo di antisemitismo. La legge del più forte non può più giustificare le più vergognose falsità. E nulla può contro la determinazione, la fraternità, l’amicizia. No other land merita di essere visto anche solo per le emozioni che sa regalare. Dopo la Palestina nel cuore, coraggio terra di Palestina!