Tunisia. Quando le prigioniere politiche ricordano

Cosa rara nella letteratura carceraria tunisina, le donne prendono la parola. Sei di loro, militanti storiche della sinistra, consegnano le proprie testimonianze sulla repressione subita sotto il regime di Bourguiba.

L'immagine rappresenta una figura umana seduta, che sembra riflettere e osservare qualcosa al di là delle sbarre. La persona indossa un abito chiaro e ha un'espressione pensierosa. L'ambientazione sembra essere di tipo carcerario, con la luce che filtra attraverso le sbarre. I colori utilizzati sono intensi e contrastanti, evidenziando le emozioni della figura. La composizione trasmette un senso di reclusione e introspezione.
Inji Efflatoun, Sogni della detenuta, 1961

“Le nuove Antigone”: è con questo titolo che sei militanti e detenute del movimento Perspectives1 hanno preso parte, nell’ottobre del 2018, ad un laboratorio di scrittura animato dalla militante comunista irachena Haifa Zangana, per consegnare alla carta i ricordi della loro esperienza politica. Sei testimonianze pubblicate nel 2020 con il titolo Bnat Essyassa (Le ragazze della politica), soprannome che era stato dato loro dai carcerieri per distinguerle dalle detenute comuni.

Riscrivere ancora una volta il mito di colei che disse “No, non tacerò!” di fronte a Creonte, avatar di un potere tirannico e paternalista: per Amal Ben Aba, Dalila Mahfoudh Jedidi, Zeineb Ben Said Echarni, Sassiya Rouissi Ben Hassan, Aicha Guellouz Ben Mansour e Layla Temime Blili non è questione di finzione. È la loro personale tragedia quella che raccontano. Come nel teatro antico, la regola delle tre unità è in un certo modo rispettata. Quella del luogo: la Tunisia, in particolare tra il Ministero dell’Interno e la prigione femminile della Manouba. Quella del tempo: siamo agli inizi degli anni Settanta; e infine quella dell’azione: opporsi politicamente, in nome di un’ideologia marxista, al regime di Habib Bourguiba e al partito unico. Un’esperienza comune raccontata a più voci, le cui eco sottolineano allo stesso tempo somiglianze e specificità.

La paura di ricordare

Come anche nelle tragedie greche, la dimensione catartica è presente fintanto che l’esercizio della memoria riesce a reimpossessarsi di un passato represso. Le sei donne non nascondono il timore che le ha accompagnate all’inizio del laboratorio. Amel Ben Aba ammette di non aver chiuso occhio dopo la sera del loro primo incontro “senza dubbio per il timore di rievocare un passato pieno di dolore”. La sua compagna Aicha Guellouz ricorda gli incubi che hanno tormentato il suo sonno via via che si avvicinava il momento di parlare di queste “cose coperte da strati di silenzio e oblio”.

Eppure, la gioia di questi incontri era reale. E in queste emozioni contraddittorie c’era l’eco dei ricordi dei mesi trascorsi nelle carceri del regime: la violenza dei carnefici, la tortura, la sincera solidarietà tra detenute e la sorellanza, vissute al ritmo dei canti rivoluzionari e del repertorio di Cheikh Imam, che canticchiavano insieme, in segreto, nelle loro celle.

Attraverso le loro testimonianze, viene quasi delineata una metodologia della repressione con una sua topologia propria. Il ministero degli Interni ne è la prima tappa – inevitabile – i cui uffici fungevano sia da prigione che da stanze di tortura. Amel Ben Aba sottolineerà il simbolismo, 40 anni dopo il suo primo arresto, di aver manifestato proprio davanti a quella stessa istituzione il 14 gennaio 2011. A partire dal 1973, al culmine della repressione, il ministro Tahar Balkhodja stesso avrebbe verificato il lavoro dei suoi agenti, sorprendendosi che queste “ragazze di buona famiglia” si ostinassero ad opporsi al “combattente supremo”2, che tanto aveva fatto per le donne. Ed è con ironia che Layla Temime Blili ricorda come siano state proprio “le ragazze della Repubblica”, coloro che avevano beneficiato della scuola pubblica e dell’estensione dell’insegnamento voluto da Bourguiba, a rivoltarsi contro il Presidente e il suo partito unico.

«Portala alla festa»

Per coloro che sono rimaste detenute più a lungo, o che non erano al loro primo arresto, si procedeva quindi in direzione dell’Istituto penitenziario. Se la prigione di Borj Erroumi, a nord della Tunisia, è divenuta tristemente celebre per le testimonianze dei prigionieri di Perspectives , le donne, loro furono destinate alla prigione della Manouba, nella periferia di Tunisi. Il luogo è stato ironicamente battezzato “il palazzo delle principesse”, in riferimento alla sua funzione originale di palazzo del bey3. Alcune militanti hanno raccontato che le loro celle erano antiche sale da bagno.

Ma la repressione non si limitava al periodo della detenzione. Due testimonianze ricordano il calvario vissuto da queste militanti prima e dopo il loro arresto. Sassiya Rouissi racconta i lunghi mesi di clandestinità che hanno preceduto il suo arresto, quando è stata sballottata di casa in casa, di città in città, discreta e camuffata, per sfuggire agli occhi della polizia politica e dei suoi collaboratori. Se lei ricorda non senza ironia alcuni episodi, la presa di distanza le è necessaria quando passa a ricordare il momento dopo l’arresto, quando il capo torturatore ordinò: “Portatela alla festa”. Per descrivere le sessioni di tortura, la prima persona cede il passo alla terza: “Per 22 ore è rimasta in piedi, non poteva sedersi né inginocchiarsi, non aveva il diritto di mangiare né di bere, mentre le ferite aperte dalle frustrate sanguinavano”. Zeineb Ben Said Echarni da parte sua racconterà gli anni che hanno fatto seguito alla liberazione, tra le vessazioni della polizia e l’impossibilità di accedere a un impiego per far fronte ai bisogni della sua famiglia.

Eppure, non si sono mai pentite. La maggior parte di queste donne, una volta tornate a una vita normale, si sono orientate verso la militanza associativa e hanno preso parte alla creazione di organizzazioni come l’Associazione Tunisina delle Donne Democratiche (ATFD) o la Lega Tunisina dei Diritti Umani (LTDH), il cui peso sarà rilevante soprattutto negli anni del regime di Ben Ali. Alcune si uniranno ai ranghi del sindacato, l’Unione Generale Tunisina del Lavoro (UGTT), come Zeineb Ben Said Echarni, che ha ripreso la sua attività politica appena possibile, cioè nel 20114.

Scrivere per la storia e per le nuove generazioni

Perché sei donne si sono finalmente decise a consegnare le proprie testimonianze? Dalila Mahfoudh, che era ancora una liceale quando è stata arrestata la prima volta, risponde: “Perché questo passato tracci la sua strada verso il diritto a far parte della Storia”. E le fa eco Aicha Guellouz: “Noi siamo qui. Noi figlie della politica, a sinistra della Storia, là dove il suo cuore batte”. Molte tra loro hanno dedicato i propri testi ai figli, sottolineando così il bisogno di una trasmissione che è anche sinonimo della continuità della vita. Una vita che è stata possibile, nonostante il calvario vissuto. Molte di loro erano infatti in piazza, con i propri figli, il giorno della partenza di Zine El-Abidine Ben Ali.

L’epilogo di queste sei testimonianze tunisine è iracheno. È firmato da Haifa Zangana, membro del Partito Comunista, che ha scritto le sue memorie della prigione. Se non fosse stato per l’identità dell’autrice, niente avrebbe potuto distinguerle dalle testimonianze precedenti. Una comunità di destino, raccontata tristemente dal romanzo A est del Mediterraneo (1975)5 del saudita Abd al-Rahman Munif, uno dei pionieri della letteratura araba del carceredella letteratura araba del carcere, la cui trama si svolge in un paese arabo volontariamente non identificato.

Hanno tutte lottato contro i fantasmi del passato, riportato al presente le immagini dei loro carnefici indicandoli con le loro iniziali, per consegnare una degna testimonianza in cui traspira ancora il soffio della loro rivolta. Zangana e le sue compagne tunisine sembrano anche riprendere a loro modo il motto dell’Antigone di Anouilh: “Povero Creonte! Con le mie unghie rotte e piene di terra e le ferite che i tuoi guardiani mi hanno inferto sulle braccia, con la mia paura che mi torce il ventre, io sono la regina”.

1Movimento politico di sinistra ed estrema sinistra attivo in Tunisia tra gli anni Sessanta e Settanta

2Soprannome del presidente tunisino Habib Bourguiba

3Relativo alla dinastia dei bey che hanno governato la Tunisia dal XVIII secolo al 1957

4Sull’impegno dei militanti di Perspectives con le nuove generazioni alle elezioni del 2011, si veda il documentario Une Plume au gré du vent di Sélim Gribaa, 2012.

5Tradotto in italiano da Monica Ruocco per Jouvence, 1993 (NdT)