
La notte tra il 16 e il 17 giugno 2024 una barca a vela con a bordo tre turisti francesi ha soccorso 12 migranti su un’altra imbarcazione che stava affondando a circa 120 miglia dalle coste calabresi. Erano salpati in 76 da Bodrum, in Turchia, molti di loro erano bambini, alcuni sotto i 5 anni, e c’erano anche delle donne incinte. Provenivano perlopiù da Iraq, Iran e Afghanistan e per 5 giorni avevano vagato alla deriva senza cibo né acqua tra Grecia e Italia senza che nessuno andasse loro in aiuto. Il 16 giugno il naufragio è stato segnalato a Ranj Pzhdari, un giornalista curdo che riceve spesso chiamate in caso di difficoltà durante le traversate o richieste di aiuto dai famigliari in cerca dei propri cari morti o dispersi in mare.
Pzhdari ha subito contattato Alarm Phone1, che a sua volta ha comunicato alla Guardia costiera italiana la loro posizione. Quest’ultima ha dichiarato di aver avvisato le imbarcazioni in zona e di aver inviato un mercantile, dopo essersi assicurata che a sorvolare quel tratto di mare ci fossero anche gli aerei di Frontex. L’Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera, però, ha negato di avere operazioni in corso quel giorno.

Questo ennesimo, drammatico naufragio, avvenuto al largo del piccolo borgo marinaro di Roccella Jonica, è rimasto per mesi occultato da un velo di mistero. Non c’è stata trasparenza sul numero dei corpi recuperati poiché il trasporto è avvenuto di notte e in porti distanti tra loro centinaia di chilometri, rendendo impossibile ai pochi giornalisti presenti di documentare il fatto. I 12 superstiti sono stati trasferiti in quattro diversi ospedali e persino gli operatori del porto erano all’oscuro della gravità di quell’evento. Inoltre, non c’è stata nessuna cerimonia ufficiale per commemorare le vittime e le istituzioni politiche non hanno inviato alcun messaggio di cordoglio ai sopravvissuti.
“È passato un anno e mezzo dalla tragedia di Cutro, quando l’immagine del governo fu messa in crisi di fronte agli esiti tragici delle politiche migratorie, con i 94 morti che erano lì davanti agli occhi dei ministri e del mondo”, ha commentato Rosamaria Aquino, la giornalista di Report autrice del servizio che il 27 ottobre scorso ha denunciato per la prima volta l’accaduto. “Forse per evitare lo stesso imbarazzo doveva calare una nebbia sui morti e sui testimoni di quella strage?”, chiede la cronista.
Non è un caso, del resto, se il Rapporto 2024 sulla libertà di stampa di Reporter Senza Frontiere ha collocato l’Italia al 46esimo posto su 180 Paesi esaminati. Da anni, ormai, assistiamo a un progressivo inasprimento delle ingerenze della politica sugli organi di informazione e sulle istituzioni democratiche con intimidazioni, provvedimenti e minacce sempre più frequenti e preoccupanti.
È in questo clima di tensione e censura che va contestualizzato l’acceso scontro di queste settimane tra il governo Meloni e la magistratura per la mancata convalida da parte del Tribunale di Roma del fermo di 12 cittadini stranieri trasferiti al Centro di permanenza e rimpatrio (Cpr) di Gjadër, in Albania, il 18 ottobre scorso. Rispetto al silenzio assordante che ha insabbiato la tragedia di Roccella Jonica, la copertura mediatica destinata a questa altrettanto ignobile vicenda è stata, in effetti, altissima e vale la pena chiedersi perché.

Cronaca di un flop annunciato
L’accordo per il controllo dei flussi migratori siglato a novembre 2023 dalla premier italiana Giorgia Meloni e il presidente albanese Edi Rama prevede che nei due Cpt costruiti a Shengjin e Gjadër siano trasferiti individui maschi adulti non vulnerabili provenienti da paesi sicuri soccorsi dalle navi delle autorità italiane in acque internazionali.
Il 14 ottobre scorso un’imbarcazione salpata dalla Libia con a bordo 86 persone è stata soccorsa dalle autorità italiane nel Mediterraneo. Invece di essere portati nel porto sicuro più vicino, come imposto dalle leggi internazionali, 16 di loro sono stati trasportati in Albania dalla nave Libra della Marina militare italiana, un’imbarcazione militare di 80 metri con un equipaggio di settanta persone.
Due di loro, poiché ancora minorenni, sono stati subito rimandati indietro e altri due sono stati scartati perché considerati “vulnerabili”. La procedura accelerata di frontiera prevista dal protocollo bilaterale è stata, tuttavia, giudicata inapplicabile dal Tribunale di Roma e anche i restanti 12 migranti sono stati rimpatriati in Italia. I loro paesi di provenienza, Bangladesh ed Egitto, non possono, infatti, considerarsi «sicuri»2 alla luce di una recente sentenza della Corte di giustizia europea secondo la quale per potersi definire tale un paese deve esserlo per l’intera popolazione e in tutto il suo territorio.
Pesantissime sono state le reazioni del governo, che ha definito il provvedimento un’indebita ingerenza del potere giudiziario nelle scelte dell’esecutivo. Il ministro della Giustizia Carlo Nordio ha affermato: “Non può essere la magistratura a definire uno stato più o meno sicuro, è una decisione di altissima politica. Prenderemo dei provvedimenti legislativi”. Il 21 ottobre, infatti, il Consiglio dei ministri ha approvato un discusso decreto legge (dl “paesi sicuri”, n.158/2024) che introduce disposizioni urgenti sulle procedure per il riconoscimento della protezione internazionale. Una precedente lista era già stata pubblicata a maggio 2024 tramite un decreto ministeriale che allegava a 15 dei 22 stati dell’elenco – Algeria, Bangladesh, Camerun, Colombia, Costa d’Avorio, Egitto, Gambia, Georgia, Ghana, Marocco, Nigeria, Perù, Senegal, Sri Lanka e Tunisia – una scheda in cui si indicavano aree o categorie di persone per le quali non era garantita la sicurezza.
Il passaggio da decreto interministeriale a decreto legge è significativo, poiché quest’ultimo, avendo forza di legge, per l’ordinamento italiano non può essere disapplicato dai giudici. Ma il primato del diritto dell’Unione, che è alla base del processo di integrazione europea, è incontrovertibile e la normativa comunitaria deve sempre prevalere su quella nazionale.
In virtù di questo principio, il 29 ottobre il Tribunale di Bologna ha rinviato il dl alla Corte europea nell’ambito di un ricorso promosso da un richiedente asilo del Bangladesh contro la commissione territoriale per il riconoscimento della protezione. Nel lungo quesito inviato in Lussemburgo, i magistrati italiani hanno addirittura fatto riferimento alla Germania nazista: un luogo sicuro per la maggioranza della popolazione tedesca ma estremamente pericoloso per alcune minoranze, come ebrei, omosessuali, rom e oppositori del regime. “Se qualcuno, invece di essere in tribunale, si sente nella sede di Rifondazione comunista, si tolga la toga, si candidi alle elezioni e faccia politica”, ha chiosato il ministro delle infrastrutture e dei trasporti Matteo Salvini.
Il 4 novembre, il tribunale di Catania ha emesso un’altra sentenza di mancata convalida del trattenimento di un cittadino egiziano disposto due giorni prima dalla questura di Ragusa. Proprio in virtù della decisione della Corte europea del 4 ottobre, il giudice ha stabilito che è compito della magistratura valutare caso per caso se un paese di provenienza sia sicuro oppure no. Si tratta del primo caso in cui un tribunale disapplica il recente decreto legge, e molto probabilmente non sarà l’ultimo.
Il ministero dell’Interno italiano ha dichiarato che la nave Libra della Marina militare è partita il 6 novembre da Lampedusa verso l’Albania con a bordo 8 migranti – 3 egiziani e 5 bengalesi. Una volta giunti all’hotspot allestito nel porto di Shengjin, sono stati trasferiti al centro di Gjadër per esaminare la loro richiesta di asilo.
“Una nave da guerra della Marina militare viene utilizzata per trasportare otto migranti da Lampedusa in Albania”, ha affermato in una nota Angelo Bonelli, deputato di Alleanza Verdi e Sinistra, “ un viaggio che costa ben 36mila euro a migrante”. Il primo trasferimento effettuato a metà ottobre era costato più di 200mila euro.
Subito dopo lo sbarco nel porto di Shengjin, l’8 novembre, uno di loro è stato diagnosticato dai medici come vulnerabile per motivi di salute ed è stato rimpatriato in Italia dalla nave della Marina. Anche i suoi compagni sono rientrati nella notte tra il 12 e il 13, poiché il Tribunale di Roma ha sospeso l’ordinanza di convalida del loro trattenimento, rimettendo la questione nelle mani della Corte di giustizia europea.
La parola ai giuristi
L’Associazione Studi Giuridici sull’Immigrazione (ASGI) in un comunicato ha dichiarato che la nuova lista dei paesi sicuri non solo non risolve le criticità contestate, ma le amplifica rappresentando una pericolosa minaccia del diritto di asilo con gravissime implicazioni legali e umane. Inoltre, alcuni dei paesi considerati sicuri non figurano in nessun’altra delle liste adottate dagli altri stati membri dell’UE e in molti casi coincidono con quelli da cui proviene il maggior numero di richiedenti asilo in Italia. “Risulta, dunque, evidente la finalità di assoggettare la maggior parte dei richiedenti alla procedura accelerata di frontiera e al possibile confinamento nei centri albanesi, rendendo tale procedura, di fatto, la norma”, si legge nel documento.
Arturo Salerni, avvocato penalista di Progetto Diritti e legale di Open Arms nel processo contro Matteo Salvini, ha definito le reazioni del governo “sguaiate”. “Sanno benissimo che con i venti xenofobi che girano per l’Europa quello albanese potrebbe essere un modello replicabile e chiunque ostacoli la realizzazione di questo obiettivo è considerato un nemico”, ha dichiarato a Babelmed. “La magistratura è stata individuata come un soggetto che non collabora con l’azione di governo come se, ignorando la distinzione tra i poteri, questa dovesse essere un organismo di collaborazione con le autorità governative e non l’organo che deve applicare la legge, ossia ciò che è nell’ordinamento con le sue sovraordinazioni, rispettando il fatto che la norma costituzionale sia al di sopra di quella ordinaria e quella sovranazionale sia immediatamente applicabile all’interno di ciascun paese dell’Unione”. In quest’ottica, la magistratura non poteva fare altro che ordinare l’immediata liberazione e quindi il trasferimento sul territorio italiano di chi è stato prima soccorso e poi destinato alla privazione della libertà nel centro di permanenza e rimpatrio in Albania.
Una volta rientrate in Italia, queste persone sono state portate nel centro di accoglienza per richiedenti asilo a Bari dove hanno proposto il ricorso contro il diniego della protezione internazionale. Con una procedura insolitamente accelerata, infatti, la commissione d’asilo si era recata in Albania per esaminare rapidamente i loro casi e, ancor prima che il Tribunale di Roma si pronunciasse sulla convalida del loro trattenimento, aveva deciso di respingere tutte le richieste. “Per alcuni cittadini bengalesi abbiamo depositato i ricorsi in cui chiediamo di annullare il provvedimento della commissione e di sospenderne gli effetti, perché ci sarebbe un pregiudizio grave e irreparabile se fosse disposto il rimpatrio”, ha aggiunto Salerni.
La sordida strategia meloniana
Sono lontani i tempi in cui Silvio Berlusconi accusava i giudici di essere “comunisti”, ma a quanto pare screditare la magistratura è ancora oggi uno dei cavalli di battaglia della destra italiana. “Quando c’era Berlusconi la vicenda era circoscritta alla magistratura inquirente, cioè all’attività e ai poteri del pubblico ministero, al modo di conduzione delle indagini, alla detenzione usata come strumento per estorcere confessioni e all’attacco che si riteneva fosse fatto contro la sua persona” ha precisato l’avvocato. Meloni, invece, fa guerra ai giudici “corrotti” per avere un nemico che distolga l’attenzione dai suoi insuccessi politici facendo leva su questioni identitarie per ottenere consensi. Nella sua narrazione demagogica, infatti, le istituzioni nazionali e sovranazionali diventano organi politicizzati che tentano di imporre regole coercitive al governo di maggioranza.

Salerni ritiene che lo scontro in atto tra il governo e la magistratura in materia d’asilo vada inserito in un disegno più ampio: quello della verticalizzazione dei poteri che vede da un lato il presidenzialismo e dall’altro la non tolleranza di tutto ciò che potrebbe ostacolare, o normare, i poteri legislativo ed esecutivo. “Siamo davanti a un attacco generale ai principi di carattere costituzionale ma anche al funzionamento di uno stato basato sulla divisione dei poteri”, ha spiegato, menzionando la discussione in corso sul possibile superamento delle carriere unificate della magistratura. “Un altro elemento importante è che dentro questo smantellamento di alcuni principi dello stato di diritto vi è l’attacco alle persone straniere per le quali la tutela della dignità personale, prevista dall’articolo 2 della Costituzione, è notevolmente diminuita, se non addirittura negata. Il diritto d’asilo, inoltre, sancito dall’articolo 10 della Costituzione, è sempre più spesso usato in modo strumentale e anche il diritto alla vita non è più garantito, poiché le stesse operazioni di soccorso in mare sono osteggiate. Del resto, siglare accordi con i paesi da cui queste persone fuggono costituisce una palese negazione del diritto d’asilo”.
1Alarm Phone è un numero telefonico internazionale ormai conosciuto in tutto il Mediterraneo. L’iniziativa, nata nel 2014 dopo il naufragio di 600 persone provenienti dall’Africa e dal Medio Oriente, coinvolge 200 volontari di 16 paesi che offrono un servizio gratuito 24 ore su 24, 7 giorni su 7.
2Le leggi nazionali, che recepiscono le disposizioni della normativa europea in materia (direttiva 2005/85/CE), stabiliscono che un paese può essere considerato sicuro se si può dimostrare che “(...) non si verificano persecuzioni, torture, trattamenti o pene inumane o degradanti e che non vi è alcuna minaccia di violenza che possa essere estesa alle persone indipendentemente dalla loro situazione personale in situazioni di conflitto armato internazionale o interno”. Detto questo, un cittadino di un paese cosiddetto “sicuro” può comunque chiedere protezione.