Femminismi

Algeria. L’impunità dei femminicidi, zona d’ombra del Codice della famiglia

Dall’inizio del 2022, sono state almeno quaranta le donne uccise in Algeria. Le associazioni chiedono a gran voce che i femminicidi siano classificati come reati penali, ma se da una parte la Costituzione sostiene di tutelare le donne da ogni forma di violenza, d’altra il Codice della famiglia e il silenzio dei parenti delle vittime aprono la strada all’impunità dei colpevoli.

Algeri, 8 ottobre 2020. Manifestazione contro le violenze di genere dopo l’assassinio di Shaima, 19 anni, trovata morta in una stazione di servizio deserta a Thénia, 80 km a est di Algeri.
Ryad Kramdi/ AFP

“Mi ha bruciata! Ha bruciato il mio futuro!”. Mentre attende l’autobus per Tizi-Ouzou, in Cabilia, all’alba del 26 settembre scorso, Ryma Anane non sa che la sua vita sta per cambiare. Sola, alla fermata dell’autobus, quest’insegnante di francese di 28 anni dall’aria angelica non sospetta di essere spiata. Approfittando del primo mattino, un uomo sbuca dal nulla, la cosparge di benzina e le dà fuoco con l’accendino prima di sparire di nuovo. Sconvolta, traumatizzata, la giovane corre verso casa mentre lotta contro le fiamme che le divorano il corpo. Nonostante il dolore, ha il tempo di spiegare alla sua famiglia che l’aggressore è un suo pretendente che la molestava da anni. Poco dopo l’aggressione, l’uomo si è consegnato spontaneamente alla polizia che l’ha condotto in carcere.

Trasportata in ospedale, la giovane ha lottato tra la vita e la morte. Con ustioni di terzo e quarto grado su più del 60% del corpo, soprattutto sulla schiena e sul collo, la ragazza è stata poi trasferita in una struttura specializzata in Spagna. Le immagini della vittima, fasciata e immobile, trasportata in barella e sistemata su un’ambulanza per essere condotta a bordo di un aereo sanitario in partenza dall’aeroporto di Algeri, hanno commosso centinaia di algerini e non solo. Si tratta purtroppo dell’ennesimo caso di femminicidio in un paese che ne conta decine all’anno.

Se a Ryma Anane hanno salvato la vita – visto che i medici spagnoli che si stanno prendendo cura di lei sono ottimisti sulla sua guarigione, almeno da quanto confidano i membri della sua famiglia –, altre donne non sono state altrettanto fortunate. Il 18 ottobre, Touatia Mazouz è stata sgozzata dal cognato nei dintorni di Orano. Secondo il collettivo fondato nel 2019 Féminicides Algérie, che ha una pagina Facebook e un sito web dove sono censiti i femminicidi, la giovane impiegata statale di 26 anni si prendeva cura dei figli della sorella scomparsa di recente. Per ragioni ancora sconosciute, il vedovo ha decapitato la zia dei suoi figli. È la 37esima vittima di femminicidi in Algeria da inizio anno, secondo le ricerche dell’associazione che si limita a fare un resoconto degli articoli di giornale, dice Chérifa Kheddar, un’attivista femminista che combatte da anni per far sì che il femminicidio sia perseguito penalmente.

Il Codice della famiglia contro la Costituzione

Per la maggior parte delle femministe algerine, questi crimini sono possibili solo grazie a una legge che non tutela a sufficienza le donne. Nell’articolo 40 della Costituzione algerina si legge chiaramente che

lo Stato protegge le donne contro ogni forma di violenza in ogni luogo e in ogni circostanza nello spazio pubblico, nella sfera professionale e nella sfera privata. La legge garantisce l’accesso delle vittime alle strutture di accoglienza, cura e assistenza legale.

Ma “c’è una grande contraddizione tra la Costituzione e il Codice della famiglia” che pone le donne sotto la tutela degli uomini, osserva Fatma Oussedik, eminente sociologa e autrice di innumerevoli libri sulla condizione femminile in Algeria e che si batte da anni in difesa delle donne. “È necessario che il femminicidio sia riconosciuto come reato”, si auspica a sua volta la giurista e attivista per i diritti umani Nadia Aït-Zaï. Ma questo non è l’unico aspetto contraddittorio. Perché, se da una parte la Costituzione sancisce la “parità” dei sessi, dall’altra il Codice della famiglia1 non riconosce agli uomini gli stessi diritti delle donne. Per gli attivisti, quel che è peggio è che, nei casi di violenza domestica ad esempio, “l’uomo ha il diritto di richiedere la sospensione del processo nel caso in cui riceva il perdono della vittima”. Secondo Fatma Oussedik:

È solo una questione di educazione, imitazione, manca qualsiasi forma di riflessione. Si invoca Dio perché siamo in una situazione in cui si ricorre alla religione, alla parola divina. La religione diventa un rifugio. È un modo per comprendere i fatti che accadono, un livello d’interpretazione della realtà. Ora, quando ti dicono: “non pensare”, tu rispondi semplicemente di sì, e questo non è più per te un rimedio, ma un gesto vuoto; arrivi persino a uccidere in nome della religione.

Dal 2015, il Codice penale algerino punisce le violenze contro le donne, allo stesso modo in cui vengono punite, in teoria, le aggressioni in strada e le molestie sessuali. Ma solo sulla carta. Secondo molte attiviste per i diritti delle donne, la maggior parte di queste violenze, in particolare quelle che si consumano all’interno della famiglia, non vengono denunciate. Quel che è peggio è che l’articolo 279 del Codice penale algerino prevede per gli omicidi commessi in caso di flagrante adulterio una riduzione della pena, che può arrivare ad essere inferiore ai 5 anni. Inoltre, il Codice della famiglia introduce la clausola del “perdono” che fa cadere ogni accusa di violenza domestica nei confronti del marito violento. Finora non è stato introdotto alcun articolo di legge specifico sui femminicidi, non ancora riconosciuti come tali dalla legge. Nel 2021, la polizia ha reso note le oltre 8.000 denunce di “violenza domestica” ricevute. Ma senza entrare nei dettagli.

Innamorati “rifiutati”?

L’assenza di ricerche specifiche rende quasi impossibile tracciare i profili degli autori di femminicidi. Un lavoro che è reso ancora più complicato dall’assenza di statistiche fornite dalle autorità, nonostante esista un ministero dedicato alle donne. Avvocata di lungo corso e fondatrice del Centro di informazione e documentazione sui diritti dei bambini e delle donne (Ciddef), Nadia Aït-Zaï ritiene di poter individuare il profilo del potenziale assassino: “Spesso, stando alle descrizioni fornite dai media, si tratta di uomini rifiutati, come nel caso di Ryma Anane”. È anche vero che casi simili vengono periodicamente riportati dai media o dalle associazioni. Si pensi al caso di Ghania Ouettar. Una ragazza di 30 anni, disabile e residente nella città di Sedrata (Souk-Ahras, per gli algerini) che è stata uccisa da un uomo da cui voleva separarsi, secondo il collettivoFéminicides Algérie la vittima sarebbe morta a causa di atti violenti.

Ci sarebbe una ritorsione “amorosa” anche dietro l’uccisione, avvenuta nel luglio 2020, di una giovane avvocata. Il corpo di Yasmine Tarafi è stata trovato in un veicolo nei pressi della città di Bouira (100 km a est di Algeri). L’indagine ha portato all’arresto di tre presunti colpevoli, uno dei quali sarebbe un pretendente rifiutato. Non sopportando l’idea di vederla con un altro uomo, il principale indiziato si sarebbe accordato con due suoi amici per uno stupro di gruppo prima di uccidere la ragazza.

Un tipo di “vendetta” che può portare a crimini efferati. È quello che è successo a Shaima, una ragazza di 19 anni, dall’aspetto innocente, che viveva con la madre in una bidonville di Reghaïa, periferia orientale di Algeri e che è stata violentata, decapitata e poi bruciata da un ex conoscente. Due anni prima di quel giorno di ottobre 2020, la ragazza aveva denunciato il violentatore agli agenti di polizia che l’avevano arrestato per tentato stupro. Era stato poi condannato a scontare due anni di carcere. Ma una volta tornato in libertà, il ragazzo ha cercato subito di riprendere i contatti con Shaima. L’ha portata in una fattoria isolata, l’ha violentata e poi l’ha riempita di calci e pugni. Poi ha cosparso il suo corpo di benzina e le ha dato fuoco. Tre giorni dopo, il corpo della ragazza è stato ritrovato in una stazione di servizio abbandonata nella città di Thénia, una cinquantina di chilometri a est di Algeri. L’aggressore è stato arrestato dagli agenti di polizia, ma il caso, ampiamente ripreso dai social, ha commosso l’intero paese, riportando alla ribalta una vecchia pratica criminale non ancora scomparsa.

Oltre a questi reati di inaudita violenza, i mezzi d’informazione continuano a riportare anche altre forme più “classiche” di femminicidio. Spesso sono dei problemi di coppia che si trasformano in eventi drammatici. E la cosa a volte accade in pubblico, come per la donna pugnalata a morte dal marito a Tizi-Ouzou. È successo nell’ottobre 2021, in una stazione degli autobus, davanti ai passanti e altri viaggiatori. Lo stesso mese e nella stessa città, un uomo ha ucciso la moglie nel salone del suo parrucchiere dopo un litigio. I due uomini sono stati arrestati e condannati a pene severe. Ma questo non ha fermato la spirale dei femminicidi.

Dare la colpa agli “errori” delle vittime

Fino a metà novembre, il collettivo Féminicides Algérie ha registrato 37 femminicidi nel paese. Nel 2021, sono state 62 le donne uccise da un parente o da un conoscente, secondo le stime di molte associazioni che precisano quanto sia difficile conoscere il numero esatto a causa dei tabù che impediscono alle famiglie di parlarne liberamente. Come nel caso dell’omicidio commesso nel gennaio 2021. Tinhinane Laceb, giornalista della televisione pubblica algerina, è stata uccisa dal marito dopo una serie di liti domestiche, da quanto riferiscono le amiche della vittima con cui si era confidata. Ma, tra lo stupore generale, il padre della giornalista, neomamma di due bambine, ha chiesto ai media di smetterla di parlare di “femminicidio”. Per lui, si è trattato di un incidente.

Perchè sostenere una cosa del genere? Per Chérifa Khedar, fondatrice dell’associazione Djazirouna (La nostra Algeria) per la lotta contro la violenza sulle donne, un tale atteggiamento mira a “non tirare in causa eventuali errori commessi dalla vittima”. Con il termine “errore”, l’attivista intende presunti casi di adulterio che alcuni mariti imputano alle mogli prima di passare dalle parole ai fatti. Ma “anche se queste colpe si rivelassero vere, ci sarebbero sempre altre soluzioni senza bisogno di ricorrere alla violenza”, obietta Chérifa Khedar, che punta il dito contro una società che “spesso dà ragione agli autori dei crimini”. “Spesso si cerca di giustificare i crimini commessi dagli uomini”, risponde indignata. A tal proposito, cita un caso che ha destato molto scalpore: un professore di medicina, Mostefa Khiati, presidente di un’associazione che aiuta i bambini vittime di traumi, ha giustificato l’omicidio della giovane Shaima, parlando delle responsabilità della sua famiglia, in particolare dei genitori. Il professore ha dichiarato alla stampa:

La loro figlia doveva avere relazioni facili con le persone. Si è fatta ingannare sia sui social che di persona. Di solito, una ragazza ben educata non deve stringere amicizie o anche semplici relazioni con chiunque. Deve sapere chi è e come si comporta la persona con cui si relaziona, a meno che non sia un compagno di scuola o d’università. L’educazione permette alla persona di tutelarsi, di proteggersi. Se non ci sono meccanismi e abitudini inculcate dall’ambiente familiare, chi altro potrebbe farlo? Una cosa simile è inaccettabile.

Pochi giorni dopo, Khiati si è giustificato facendo riferimento alla “realtà sociale”. Ma sui social, come per molti cittadini, un atto di violenza commesso da un uomo sarebbe inevitabilmente giustificato da una “colpa” della donna.

La condizione di capofamiglia

Per il mondo accademico e le femministe, queste giustificazioni della violenza contro le donne, in generale, e dei femminicidi in particolare, sono in una certa misura legate a “una crisi della mascolinità”, spiega Fatma Oussedik. Per la sociologa, questa violenza, talvolta estrema, è legata all’“evoluzione” della condizione femminile all’interno della società algerina.

Con “crisi della mascolinità”, la studiosa intende un contesto in cui gli uomini si trovano di fronte a una situazione in cui le donne non hanno necessariamente bisogno di loro per vivere – cosa che gli uomini non sempre accettano. Secondo la sua analisi, il fatto che “le ragazze ottengano risultati migliori all’università, occupino sempre più spazio e che la vita da single si diffonda anche tra le donne che tengono testa agli uomini” provoca nell’universo maschile una crisi di identità che li porta alla violenza. Per Fatma Oussedik, l’indipendenza finanziaria della donna algerina ha un valore sovversivo che permette alle donne, ad esempio, di rifiutare un uomo, rifiuto che quest’ultimo non riesce ad accettare. Un sentimento influenzato dal Codice della famiglia, ispirato direttamente alla Sharia, che attribuisce agli uomini lo status di reb, capofamiglia – parola che letteralmente significa “dio”. “Qui, ci troviamo in una situazione particolarmente difficile in cui l’ideologia dominante dice agli uomini che sono loro a comandare all’interno della famiglia, una formula ripresa nel Codice”, sintetizza Fatma Oussedik, ben consapevole che il suo profilo può servire da esempio alle giovani ragazze algerine. “Oggettivamente, le donne come me possono essere un punto di riferimento per le ragazze, anche se sembriamo aggressive per le donne di oggi”, considerate più sottomesse, quindi più esposte al dominio maschile. “Abbiamo libertà di movimento, siamo sposate, siamo madri, siamo nonne, il che significa che è possibile anche per altre donne”, dice.

Nel frattempo, le associazioni per la difesa dei diritti delle donne continuano a fare il conto e a rendere noti i dati dei femminicidi, cercando di aiutare le sopravvissute alla violenza. Ryma Anane è ancora ricoverata in ospedale a Madrid, nella speranza di uscire dalla rianimazione. Una “speranza” che non potranno avere tutte quelle donne che non ci sono più.

1Il Codice algerino della famiglia, adottato il 9 giugno 1984 dall’Assemblea nazionale del popolo, riunisce le regole che determinano i rapporti familiari, includendo elementi della Sharia sostenuti da islamisti e conservatori. [NdT].