Opinione

Armi, spyware, tecnologie agricole o di come Israele sta acquisendo influenza in Africa

La prima conferenza panafricana di solidarietà con la Palestina si è tenuta all’inizio di marzo 2022 a Dakar. In linea con il nonno Nelson Mandela, che aveva dichiarato: “La nostra liberazione non sarà completa finché la Palestina non sarà liberata”, il deputato Zwelivelile Mandela ha denunciato la crescente influenza di Israele in Africa

Sandton, Johannesburg, 27 gennaio 2022. Sindacalisti del General Industrial Workers Union del Sud Africa, associazioni civili e partiti politici manifestano davanti all’Ufficio israeliano per il Commercio e gli Investimenti.
Luca Sola/AFP

Il mese scorso, sono intervenuto alla conferenza inaugurale del Pan-African Palestine Solidarity Network1 (PAPSN) a Dakar, in Senegal, dove attivisti provenienti da 21 paesi africani si sono riuniti per costruire un movimento a livello continentale con lo scopo di sostenere la lotta di liberazione palestinese contro l’apartheid israeliano.

Ho avuto l’onore di stare accanto a tanti giovani africani coraggiosi, che hanno riaffermato la posizione storica dell’Africa sulla Palestina e il legame indissolubile tra africani e palestinesi: due popoli che condividono una lotta comune contro l’occupazione, il colonialismo e l’apartheid.2 Immagino che mio nonno, Nelson Mandela, abbia provato lo stesso senso di fratellanza sessant’anni fa quando si recò a Dakar per una mobilitazione a sostegno della lotta di liberazione del Sud Africa.

I delegati del PAPSN hanno discusso della penetrazione dello Stato d’apartheid israeliano in Africa attraverso la fornitura di tecnologia militare e di sorveglianza a molti governi repressivi, e di come ciò abbia indebolito la democrazia e i diritti umani in Africa, nonché la solidarietà con la Palestina nel continente. Ho condiviso questa tesi durante il mio intervento all’evento pubblico organizzato dalla rete il 12 marzo.

Ho sostenuto che Israele ha allungato i suoi tentacoli in Africa. Alla disperata ricerca di alleati dal momento che un numero crescente di autorevoli organizzazioni per i diritti umani lo etichettano come uno Stato di apartheid, Israele sta usando la sorveglianza, la tecnologia militare e agricola come moneta di scambio per ottenere legittimità in Africa. In questo processo, Israele si è insinuato nelle strutture africane, sia apertamente che di nascosto. Queste non sono dichiarazioni antisemite, come hanno riportato in maniera isterica alcuni media filo-israeliani in Sud Africa. Come ha recentemente stabilito la Corte costituzionale sudafricana: criticare Israele non significa attaccare l’ebraismo. Esiste una chiara distinzione tra ebraismo e sionismo, come tra il popolo ebraico e gli apologeti di Israele.

Soffiare sul fuoco della protesta

L’esportazione di armi, testate sui palestinesi nei territori occupati, verso alcuni dei regimi più sanguinari dell’Africa è stata per decenni una componente centrale della diplomazia israeliana, quando il paese cercava di recuperare i rapporti con gran parte del continente africano che lo aveva boicottato dopo la Guerra del Kippur del 1973.

Negli anni ‘70 e ’80, Israele ha armato il regime d’apartheid sudafricano. Negli anni ‘90, il governo israeliano ha violato l’embargo internazionale sulla vendita di armi in Ruanda, fornendo armi sia alle forze governative hutu che all’esercito ribelle di Paul Kagame, mentre era in corso il genocidio. Israele ha violato ancora una volta l’embargo internazionale, con la fornitura di armi sia alle milizie filo-governative che alle forze di opposizione in Sud Sudan durante la sanguinosa guerra civile che ha sconvolto il paese. Le aziende produttrici di armi israeliane hanno inviato in maniera scandalosa armi offensive per un valore di 150 milioni di dollari (142 miliardi di euro) con il pretesto di un progetto agricolo in Sud Sudan.

Da anni, Israele addestra e arma le unità militari a guardia dei regimi presidenziali oppressivi in Camerun, Uganda, Guinea Equatoriale e Togo. Così facendo, mantiene i dittatori al potere.

Rafforzare le dittature

Israele fornisce anche armi informatiche, come lo spyware Pegasus del gruppo NSO e il suo software Circles, a vari governi africani per sedare il dissenso e reprimere giornalisti, oppositori politici e attivisti per i diritti umani. E perfino spiare altri leader africani, incluso il presidente sudafricano Cyril Ramaphosa. Il software spia può hackerare le comunicazioni crittografate di qualsiasi iPhone o smartphone Android.

Negli ultimi anni, Tel Aviv ha corteggiato i leader africani offrendo tecnologie di spionaggio, con la speranza di ottenere voti favorevoli all’ONU e all’Unione Africana (UA). Aiutare i leader a rimanere al potere, anche a scapito dei diritti umani in Africa, è stato un modo efficace da parte del governo israeliano per stringere nuove relazioni nel continente.

Coinvolgimento nelle elezioni africane

Aziende e privati israeliani sono anche coinvolti nelle campagne elettorali di quasi tutti i paesi africani, minando alcune delle democrazie più stabili del continente. C’è stata poi la forte ingerenza israeliana prima delle elezioni del 2014 in Botswana quando decine di consulenti israeliani legati al Mossad, il servizio di intelligence israeliano per le operazioni all’estero, hanno allestito una “war room” per il partito al governo.

Si è fatto ricorso a Pegasus per spiare giornalisti e altri esponenti del mondo politico durante le elezioni presidenziali e parlamentari in Ghana nel 2016. Nel 2020, il quotidiano ghanese The Herald ha rivelato il coinvolgimento di figure dell’intelligence israeliana che stavano cercando di influenzare l’esito delle elezioni presidenziali di quell’anno nel paese.

Sono state fatte affermazioni analoghe in relazione al coinvolgimento di esperti dell’intelligence israeliana per le elezioni presidenziali del Malawi del 2020. In passato, la registrazione delle liste e dei sistemi elettorali in Zimbabwe e Zambia erano nelle mani di una compagnia israeliana legata al Mossad.

Ci sono anche gruppi israeliani che hanno condotto campagne di disinformazione in Africa. Nel 2015, alcuni esperti israeliani hanno hackerato le e-mail personali dell’allora candidato d’opposizione Muhammadu Buhari prima delle elezioni presidenziali in Nigeria. Le informazioni sono state utilizzate nelle campagne WhatsApp e Facebook contro di lui.

Quattro anni più tardi, l’Archimedes Group, una società israeliana di consulenza politica che si vantava sul suo sito web di poter “cambiare la realtà secondo i desideri del nostro cliente” in modo da influenzare in maniera determinante le elezioni presidenziali in tutto il mondo, sembrava volesse sostenere Buhari quando quest’ultimo ha vinto le elezioni del 2019. I post di Facebook, gestiti dalla Archimedes, esprimevano apprezzamento per Buhari, denigrando il suo avversario, Atiku Abubakar.

Facebook ha poi chiuso centinaia di falsi account Instagram e Facebook, gestiti dall’Archimedes Group in Israele, che miravano a manipolare le elezioni, non solo in Nigeria, ma anche in Senegal, Togo, Angola, Niger e Tunisia. Gli account condividevano notizie relative alle elezioni e critiche ai politici presi di mira, presentandosi come organi di stampa locali.

Non stiamo parlando quindi di aziende private che fanno affari in Africa. Le società israeliane di armi e tecnologie di spionaggio devono ottenere licenze di esportazione dal ministero della Difesa israeliano. Questo fornisce al governo israeliano una leva chiave per esercitare influenza e fare di queste società un’estensione della politica estera del governo. “Con il nostro ministero della Difesa seduto al posto di comando nella gestione di questi sistemi, saremo in grado di sfruttarli e trarne vantaggi diplomatici”, ha affermato un collaboratore dell’ex primo ministro israeliano Benyamin Netanyahu.

Israele fa molto affidamento su diverse società israeliane private, uomini d’affari, consulenti e intermediari che sfruttano l’accesso alle stanze del potere in Africa per fare gli interessi dello Stato israeliano. In Africa, la “diplomazia degli intermediari” di Israele va a gonfie vele.

La diplomazia del libretto degli assegni

In nome dello sviluppo e della sicurezza alimentare, Israele promette all’Africa tecnologie agricole e idriche, ma contribuirà alla lotta alla povertà nel continente solo se in linea con i suoi interessi politici.

Quando il Senegal ha presentato la risoluzione 2334 alle Nazioni Unite nel 2016 che ha ribadito l’illegalità degli insediamenti israeliani nella Cisgiordania occupata e a Gerusalemme Est3, Israele ha risposto annullando tutti i programmi di aiuto nel paese, anche se il ministero degli Esteri israeliano li aveva fortemente promossi come parte del contributo di Israele alla lotta contro la povertà in Africa.

Gli aiuti di Israele agli Stati africani, che si tratti di tecnologie agricole, militari o di sorveglianza, non hanno un intento filantropico. Ciò che è richiesto è una contropartita diplomatica all’ONU e all’UA. È qualcosa di simile a un rapporto clientelare e interessato. È in atto la “diplomazia del libretto degli assegni”. Ecco la realtà del progetto sionista in Africa.

È così che l’Africa, un tempo baluardo della solidarietà palestinese, è stata abbagliata dalle promesse israeliane di armi, spyware e aiuti agricoli, al punto da ospitare uno Stato d’apartheid all’interno dell’Unione africana (UA).4 Dobbiamo fare una profonda riflessione su come la diplomazia parallela dello Stato d’apartheid israeliano si sia insinuata in maniera ingannevole nella psiche africana. Dobbiamo respingere gli sforzi di Israele di cooptare l’Africa. Se non lo faremo, continueremo a essere complici di spargimenti di sangue, sia in Africa che in Palestina.

1La Rete pan-africana di solidarietà con la Palestina. Ndr

2Ndr. Benché sia sudafricano, l’autore usa qui “apartheid” come un nome comune, senza lettera maiuscola, nel senso universale che il termine ha acquisito oggi. Secondo il diritto internazionale, l’apartheid è un crimine contro l’umanità che implica il dominio di un gruppo sull’altro. È usato per descrivere la situazione in Palestina dalle ONG israeliane per i diritti umani, nonché da Human Rights Watch e Amnesty International

3Ndr. Il testo è stato messo ai voti da Senegal, ma anche Nuova Zelanda, Malesia e Venezuela, dopo che l’Egitto, che lo aveva inizialmente proposto, aveva chiesto il rinvio della votazione alla vigilia della sua, svoltasi a seguito di un incontro tra Abdel Fattah al-Sisi e il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu e il presidente degli Stati Uniti Donald Trump.

4Ndr. A Israele è stato concesso un posto di osservatore presso l’Unione africana il 22 luglio 2021, cosa che divide fortemente l’organizzazione. I paesi dell’Africa settentrionale e meridionale sono tra i principali Stati del continente ancora contrari a questa nomina.