Ad una settimana circa dall’attacco guidato da Hamas del 7 ottobre 2023, sul lungo muro bianco dell’Istituto Francese di Tunisi (IFT) appare il disegno di una bandiera palestinese. L’Istituto, che al pari dei suoi omologhi nel resto del mondo opera per conto del ministero degli Esteri francese ed è il principale strumento di promozione della “francofonia” nel paese, fa immediatamente cancellare il murale. L’indignazione suscitata da quest’atto, materiale e simbolico, di whitewashing, spinge un gruppo di attivisti a prendere nuovamente di mira il muro, e a ricoprirlo di una nuova e più grande bandiera palestinese, oltre che di slogan resistenziali, anti-sionisti e anti-imperialisti.
Sono gli stessi slogan che riecheggiano nelle manifestazioni che hanno luogo sin dall’inizio di questa nuova guerra genocida contro il popolo palestinese. Dal famigerato “Min al-nahr ila al-baḥr”, intonato in tutto il mondo nella sua versione inglese “From the river to the sea” e incubo di diversi governi occidentali che lo hanno messo al bando, a quelli legati al dibattito interno come “Muqāwma muqāwma, lā ṣilḥ wa lā musāwma”, “Resistenza, resistenza, no alla riconciliazione, no al compromesso”, e “Al-taṭbī’ jarīma”, “La normalizzazione è un crimine”, in riferimento ad una proposta di legge presentata in Parlamento e poi bloccata dal Presidente Kais Saied, volta a istituire pene severissime per chiunque intrattenga relazioni con l’“entità sionista”1. La Francia è particolarmente presa di mira dai writers che, in francese (a scanso di equivoci), scrivono “Macron assassin”, e ancora “Colon un jour colon toujours”, a denunciare il retaggio coloniale della République.
L’Istituto non ha questa volta cancellato i graffiti, che sono tuttora in bella vista lungo il muro della centralissima Avenue de Paris, una strada che si estende perpendicolare all’arteria principale della capitale, l’Avenue Bourguiba. Ma la sua contro-mossa, l’invito a presentare proposte per un “progetto collettivo di pittura murale”, è stata ridicolizzata e deprecata da migliaia di utenti sui social media. “Voilà une proposition” ripostano in tanti sulle bacheche Facebook e Instagram dell’IFT: cuoricini rossi, verdi, bianchi e neri compongono una bandiera palestinese. La solidarietà per la Palestina si esprime in Tunisia anche attraverso la creatività e l’utilizzo di tecniche e pratiche politiche ed estetiche vecchie e nuove, passando, senza soluzione di continuità, dallo spazio pubblico a quello virtuale.
Manifestare, creare, boicottare
Le manifestazioni che da ormai 7 mesi riempiono le piazze, le strade e le università di tutto il mondo per chiedere lo stop al genocidio in corso e per sostenere il diritto all’autodeterminazione del popolo palestinese, segnalano una divisione sempre più netta non solo tra Nord e Sud globale, ma anche, all’interno delle stesse società, tra il sentire dei popoli e le élite economiche e politiche che li governano. In Tunisia, la stretta repressiva del regime di Kais Saied si fa sempre più pressante, abbattendosi con censure e arresti non solo sui militanti dei partiti di opposizione, ma sulla società civile in generale, artisti compresi2.
È in questo clima che l’opposizione alla guerra di Israele e la solidarietà verso la resistenza palestinese ha riportato decine di migliaia di persone per strada, come non succedeva da tempo. Una valvola di sfogo? Forse; e certamente il regime, che fa leva su una retorica fortemente anti-imperialista e anti-sionista (mentre stringe accordi anti-migranti con l’Europa), cercherà di capitalizzare su questa apparente unità. Eppure, molti di quelli che si mobilitano oggi per la Palestina sono gli stessi che non hanno mai smesso di denunciare (e di subire) la repressione dei vari governi che si sono succeduti, compreso l’ultimo.
Ad ogni modo, la causa palestinese ha riattivato forme e reti di mobilitazione e di attivismo, dando anche un nuovo slancio alla sfera artistica e culturale. Nuove modalità e forme espressive sono messe in campo, ma si attinge anche dal bagaglio ideologico ed estetico del terzomondismo e dell’anti-colonialismo globale, in continuità con una tradizione di cultura e arte impegnata (di sinistra) che in Tunisia, come altrove, ha spesso fatto della causa palestinese un suo tratto distintivo.
Disegnatori, attori, musicisti si uniscono al coro di chi chiede il cessate il fuoco e denuncia la complicità delle potenze occidentali, trovando eco e diffusione sui social media, ma soprattutto agendo negli spazi fisici, pubblici e privati, popolari e di nicchia, propriamente o non propriamente adibiti alla produzione artistica e culturale: teatri, gallerie d’arte, centri culturali statali o sedi di associazioni locali, ma anche bar, caffè, e, naturalmente, i muri. Ed è spesso cruciale, nello sviluppo e la circolazione di questi eventi e prodotti artistici, l’intervento di attivisti culturali, militanti e attori della società civile che dal canto loro promuovono una cultura impegnata e resistenziale come strumento informativo, aggregativo, di sensibilizzazione e di lotta.
Ma gli attivisti sanno bene che la cultura è anche un potente strumento di propaganda e di mantenimento dell’egemonia dall’altra parte della barricata. Lo dimostrano bene le molte azioni di boicottaggio e targeting di istituzioni ed eventi culturali portate avanti nei mesi scorsi: come la decisione del proprietario del cinema-teatro Le Rio di sospendere le collaborazioni con il Goethe Institut tedesco; il “blitz” di alcuni militanti alle Journées du Cinema Européen, alla cui cerimonia di apertura presenziavano diversi ambasciatori; o ancora la contestazione davanti al centro culturale americano Amideast. L’episodio più recente ha interessato proprio l’Italia, finora rimasta piuttosto fuori dai radar dei sostenitori del boicottaggio, i quali sono infine intervenuti alla Fiera Internazionale del Libro di Tunisi tenutasi a fine aprile, in cui l’Italia figurava come ospite d’onore (le relazioni tra i due paesi sono in effetti più solide che mai). Alla presenza del ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano, i manifestanti hanno fatto irruzione al padiglione italiano accusando il paese di fascismo e sionismo.
“Dopotutto, è un muro tunisino”
Le pratiche politiche ed estetiche degli artisti e degli attivisti tunisini riconfermano dunque il ruolo centrale dell’arte e della cultura nell’articolazione di opposti discorsi e progetti ideologici. In particolare, l’attivismo culturale di giovani tunisini e tunisine afferenti al (frammentato) mondo della sinistra, i quali hanno accumulato esperienze di mobilitazione nei movimenti sociali dello scorso decennio, si radica in un discorso fortemente anti-coloniale e anti-imperialista, che rivendica un’arte resistenziale e rivoluzionaria.
L’affaire del muro dell’Istituto Francese è particolarmente emblematico in questo senso. In primo luogo, esso tocca un nervo scoperto, e mette in luce il deterioramento sempre più evidente dei sentimenti che i giovani nutrono nei confronti dell’ex-potenza coloniale e della sua egemonia culturale e morale. La guerra contro Gaza ha compromesso in modo forse irrimediabile la pretesa autorevolezza dell’Occidente liberale in materia di diritti umani, libertà e democrazia; e in Tunisia, la Francia è, dato il suo ruolo storico, la principale rappresentante di questo doppio-standard. Ma la contesa sul muro fa soprattutto luce sulla rilevanza politica e ideologica della cultura, sul ruolo di chi ne detiene il controllo, e sui modi in cui essa si manifesta nello spazio pubblico.
“È un muro tunisino in fin dei conti”, dice Khalil Lahbibi, 29 anni, attivista e proprietario del Café Culturel Biblio’Thé, che incontriamo a Tunisi. Situato nel quartiere Lafayette, lo spazio organizza e ospita eventi culturali e artistici alternativi. Comprensibilmente, la questione palestinese in questo periodo è il fil rouge di tutti gli eventi, come nel caso del festival di street art On the wall, la proiezione di film sul tema, e i dibattiti con attivisti locali. “La cultura è ciò che viviamo”, continua Lahbibi, commentando la questione del muro, “è un riflesso della società, dei suoi problemi e delle sue cause. La Palestina è la nostra causa. Non si può cancellare la bandiera della Palestina mentre Gaza è bombardata, mentre tutto il popolo tunisino piange per questo. È una follia.”
“La cultura è uno spazio conteso”
Percepita come un insopportabile insulto, la cancellazione della bandiera palestinese ha fatto da detonatore per iniziative che si propongono di decolonizzare lo spazio, i saperi e la cultura, e di scardinare le rappresentazioni egemoniche occidentali sulla regione. È il caso di Cinema Days of Resistance (Ayyām sīnimā al-muqāwwama): una controffensiva di militantismo culturale lanciata in aperta risposta all’azione di whitewashing da parte di quella che gli organizzatori, nel loro manifesto, definiscono una “istituzione che simboleggia l’egemonia. Un’istituzione che ha occultato la bandiera palestinese che decorava il suo muro così come occulta ogni giorno l’occupazione”3.
L’iniziativa, lanciata a Tunisi, coordinata in modo orizzontale e senza etichette politiche o associative, si è propagata in diversi centri urbani del paese. Gli attivisti hanno proiettato film sull’occupazione e sulla resistenza palestinese sui muri dell’IFT, dell’Istituto Goethe, di fronte al Parlamento e in diverse piazze, ma anche in luoghi come il caffè culturale Biblio’Thé e il festival del media indipendente Nawaat. La selezione dei film mette particolare accento sulla prospettiva femminile della resistenza palestinese, con documentari di registe come Arab Lotfi (“Jamila’s Mirror”, 1993), Jocelyin Saab, (“Les femmes palestiniennes”, 1974), Nabiha Lotfi (“Because the roots will not die”, 1977), che evidenziano il ruolo delle militanti e delle guerrigliere palestinesi. Sottolineando la volontà di scardinare lo sguardo paternalista occidentale e del femminismo bianco sulle donne arabe e musulmane.
“Per un cinema che contribuisce alla liberazione del popolo e della terra” si legge nella locandina del Cinema Days of Resistance; il logo, un fucile a forma di cinepresa, una simbologia e un linguaggio che si rifanno alla tradizione cinematografica terzo-mondista. Fernando Solanas e Octavio Getino, nel loro manifesto del 1969 “Verso un Terzo Cinema”, propugnavano infatti l’idea di cinema rivoluzionario, di film-making come “attività di guerrilla”. I due argentini, insieme ad altri cineasti e teorici chiave del cinema del “Terzo Mondo”, sono anche un riferimento esplicito del Ciné-club di Tunisi, afferente alla storica Federazione Tunisina di Ciné-Club. Con il ciclo di proiezioni Black Screen, White Masks, chiaro omaggio a Fanon, i cinefili tunisini ribadiscono la necessità, oggi più che mai, di mettere in discussione l’egemonia non solo economica, ma anche estetica, del cinema occidentale, e di conseguenza della rappresentazione dei mondi altri che esso propaga. E al cinema Le Rio, proiettano e discutono film di registi come il palestinese Elia Suleiman, il brasiliano Glauber Rocha, o il mauritano Abderrahmane Sissako.
Sono solo alcune, queste, delle molte azioni di attivismo culturale con cui tunisini e tunisine rivendicano un’arte emancipata e autonoma, e sottolineano che l’imperialismo dell’Occidente si fonda, oltre che sulle sue strutture economiche e militari, anche sulle rappresentazioni, sui valori, e sugli immaginari. In un momento come quello attuale, in cui si assiste impotenti al massacro di Gaza, alla pulizia etnica della Palestina, nonché alla brutale repressione del dissenso nelle democrazie liberali, parlare di cultura può apparire superfluo e forse fuori luogo. Eppure, le mobilitazioni in corso, nel mondo arabo, così come negli Stati Uniti e in Europa, dimostrano ancora una volta come proprio la cultura sia uno spazio conteso, uno strumento cruciale per la ri-articolazione di discorsi politici e identitari, per l’espressione di dissenso, resistenza e solidarietà.
1.https://kapitalis.com/tunisie/2023/11/03/criminaliser-la-normalisation-avec-israel-est-ce-vraiment-une-bonne-idee/
2Un caso tra tanti, quello dell’artista Rached Tamboura, arrestato nel luglio 2023 e condannato a due anni di prigione per aver denunciato con dei graffiti le affermazioni razziste di Saied https://www.amnesty.ch/fr/participer/ecrire-des-lettres/actions-urgentes/annees/2024/ua-027-24-tunisie
3Manifesto pubblicato sulla pagina FB dell’iniziativa, creata il 23 ottobre 2023.