Il calcio ricorda al mondo che la Palestina esiste

La Federazione Calcistica Palestinese ha presentato una richiesta alla FIFA per escludere Israele dalle competizioni internazionali fino a quando proseguirà il genocidio in corso a Gaza. Intervista a Dima Said, portavoce della Federazione palestinese.

L'immagine mostra un gruppo di persone che si stanno divertendo in un ambiente all'aperto. Alcuni ragazzi stanno giocando a calcio, utilizzando un pneumatico come obiettivo. Si vedono diverse persone in piedi attorno, probabilmente che osservano la partita. La scena si svolge su un terreno sterrato, con muri bianchi sullo sfondo e un cielo azzurro. L'atmosfera è di divertimento e convivialità.
Ragazzi palestinesi che giocano a calcio in Cisgiordania.
Justin McIntosh/Wikimedia Commons

Lo scorso primo luglio, la Federazione Calcistica Palestinese (Palestinian Football Association, PFA) guidata da Jibril Rajoub ha rilasciato un comunicato stampa con cui ha fatto sapere di aver presentato le proprie argomentazioni alla commissione legale indipendente, costituita dal Consiglio della FIFA, per escludere la Federazione Calcistica Israeliana (IFA) da qualsiasi competizione fino a quando il governo di Tel Aviv non metterà fine al genocidio in corso in Palestina.

Il Consiglio della FIFA, in quell’occasione, aveva preferito rimandare la decisione al 31 agosto 2024, in attesa che una commissione legale indipendente - appositamente costituita - fornisse un parere e una consulenza. La richiesta della PFA trova le sue ragioni nella situazione che si vive a Gaza e in tutta la Palestina in seguito all’operazione militare avviata da Israele nell’ottobre 2023 e che lo stesso governo di Tel Aviv non ha avuto problemi a definire come “lo scontro finale” di una questione che - aggiungiamo noi - non è iniziata il 7 ottobre scorso ma va avanti da oltre 75 anni.

Come sottolineato nel comunicato della PFA, dal 7 ottobre oltre 41mila palestinesi, tra cui quasi 16.000 bambini, sono stati uccisi dalle forze di occupazione israeliane (IOF) a Gaza e altri 500 in Cisgiordania (cui bisogna aggiungere 5.200 feriti).

Lo sport e il calcio palestinese sono stati completamente decimati: a Gaza, tutte le infrastrutture calcistiche sono state gravemente danneggiate o interamente distrutte; gli stadi, le hall e le sedi dei club sono stati presi di mira e distrutti - 41 nella Striscia di Gaza e 7 in Cisgiordania. Lo stadio Yarmouk di Gaza è stato utilizzato come centro di detenzione temporaneo dove i civili, tra cui ragazzini di 10 anni e uomini anziani, sono stati denudati, umiliati in mutande e bendati. A oggi, sono stati uccisi 231 calciatori, tra cui 66 bambini dell’accademia di calcio.

Consapevoli e convinti che lo sport, e il calcio nello specifico, non siano una bolla avulsa dalla realtà in cui sono immersi ma che anzi possano e debbano essere uno straordinario strumento per contribuire a costruire ponti di umanità, solidarietà e pace, abbiamo avuto il piacere di parlare con Dima Said, portavoce ufficiale della Federazione Calcistica Palestinese, per dare voce e spazio alle richieste avanzate dalla Federazione, ma soprattutto per meglio comprendere cosa voglia dire vivere sotto occupazione e dover lottare ogni minuto per la propria vita e per veder riconosciuti anche i più basilari diritti.

Gabriele Granato e Andrea Ponticelli — Nei giorni scorsi la PFA (Palestinian Football Association) ha rilasciato un comunicato stampa in cui spiegava le ragioni delle proprie richieste. Puoi dirci, innanzitutto, quali sono le vostre richieste e perché avete sentito l’esigenza di pubblicare questo comunicato che per qualcuno rappresenta un vero e proprio atto politico? Non avete paura di essere criticati da chi pensa che il calcio e la politica debbano rimanere separati?

Dima Said — Il comunicato stampa delinea le nostre richieste chiave alla FIFA, che affondano le proprie radici nei diritti fondamentali e nelle regole stesse della Federazione. Chiediamo la sospensione immediata della Federcalcio israeliana (IFA) alla luce delle azioni illegali messe in atto e che abbiamo opportunamente documentato; ma chiediamo anche il divieto per l’IFA e i suoi membri di prendere parte alle attività legate alla FIFA e il rispetto dell’integrità territoriale, ovvero la cessazione delle sue attività in Cisgiordania. Infine, chiediamo il rinvio al Comitato Disciplinare della FIFA del giudizio e delle sanzioni.

Per quanto riguarda la percezione politica, vogliamo dare risalto alla governance sportiva e alla tutela dei diritti secondo le normative internazionali. Sebbene separati, le violazioni della governance richiedono il coinvolgimento della FIFA, come ci dimostrano i precedenti riguardanti la Jugoslavia e il Sudafrica dell’Apartheid. Sosteniamo l’equità, la trasparenza e l’integrità del calcio.

Dima Said
Dima Said

G.G. e A.P. La vostra richiesta è nota da mesi e se ne è discusso tanto. Come è stata accolta nel mondo del calcio e cosa può rappresentare la solidarietà per tutta la Palestina in un momento come questo?

D.S. La risposta è stata positiva, soprattutto tra quelle federazioni che danno priorità al rispetto dei diritti umani e al fair play. Tutte le discussioni fatte hanno evidenziato la necessità che la FIFA affronti le intersezioni tra governance sportiva e questioni politiche e di diritti umani. Abbiamo ottenuto un sostegno significativo, in particolare da 12 Federazioni calcistiche del Medio Oriente, tra cui quella del Qatar, dell’Arabia Saudita e degli Emirati Arabi Uniti, guidate dal Principe Ali bin Al Hussein. La nostra è un’iniziativa per spingere la FIFA a prendere posizione contro le azioni di Israele. La solidarietà che ci viene quotidianamente manifestata è profondamente significativa per la Palestina, poiché ci aiuta ad affermare i nostri diritti e ci rafforza nella ricerca di un trattamento equo non solo nello sport, ma anche in contesti più ampi. E’ un faro di speranza, e siamo ottimisti che la FIFA non verrà meno alle sue responsabilità e cercherà una giusta risoluzione in linea con i suoi principi e regolamenti.

G.G. e A.P. Da quando ha preso il via la nuova operazione militare, Israele ha distrutto decine di impianti sportivi e causato la morte di tantissimi atleti, violando diversi principi della Convenzione di Ginevra. Puoi raccontarci cosa rappresenta per voi, per lo sviluppo dello sport in Palestina e per il riconoscimento dello sport in quanto diritto di tutti e tutte?

D.S. L’occupazione in corso, l’attuale genocidio a Gaza e la distruzione delle strutture sportive, insieme alla tragica perdita di atleti, ci hanno profondamente colpiti sotto tanti punti di vista. Decine di strutture sono state distrutte, limitando gravemente la nostra capacità di fornire infrastrutture essenziali per l’allenamento e l’impegno della comunità. Questi spazi sono vitali per promuovere l’orgoglio nazionale e lo sviluppo dei giovani attraverso lo sport. La perdita degli atleti ha devastato famiglie e comunità, riducendo il nostro bacino di talenti e spegnendo alcuni di quelli che definiamo veri e propri fari di speranza e resilienza in tempi difficili come questo. E’ difficile immaginare uno sviluppo sportiva in Palestina in queste condizioni: ci impediscono di coltivare talenti e promuovere l’eccellenza.

Nonostante queste difficoltà, il popolo palestinese rimane resiliente, vedendo lo sport come un catalizzatore per l’unità e la coesione sociale. Siamo impegnati a dare potere ai giovani, promuovere la comprensione e la pace attraverso lo sport. Nelle avversità, lo sport ispira speranza e unisce le persone. Apprezziamo la solidarietà della comunità sportiva internazionale, che rafforza la nostra determinazione a superare gli ostacoli e avanzare nello sviluppo sportivo in Palestina.

G.G. e A.P. Credete che azioni di boicottaggio come la vostra possano aiutare ad arrivare a un cessate il fuoco definitivo? E in quest’ottica, quale ruolo pensi debbano avere sport e calcio?

D.S. Le azioni di boicottaggio, come la nostra, sono forme legittime e democratiche di protesta pacifica volte ad affrontare le ingiustizie e promuovere il cambiamento. Sebbene possano non portare direttamente a un cessate il fuoco o a una risoluzione politica, servono a diversi scopi importanti come esercitare pressioni internazionali. Le azioni di boicottaggio sollecitano le parti in conflitto a riconsiderare le loro azioni e a perseguire risoluzioni pacifiche. Questa pressione può influenzare i decisori e gli organismi internazionali a dare priorità al dialogo rispetto alla violenza. Ci aiutano inoltre ad aumentare la consapevolezza globale e a dimostrare solidarietà. Anche se da sole non garantiscono un cessate il fuoco permanente, contribuiscono a plasmare il discorso pubblico, influenzare le politiche e creare condizioni per un dialogo significativo. Fanno parte di un più ampio spettro di sforzi di advocacy pacifica mirati a promuovere la pace, la giustizia e i diritti umani. Siamo dediti a utilizzare mezzi pacifici, comprese le azioni di boicottaggio, per promuovere risoluzioni giuste e durature ai conflitti nella nostra regione ed apprezziamo, in questo senso, il sostegno e la solidarietà della comunità internazionale nella nostra ricerca di pace e giustizia.

G.G. e A.P. In tempi di genocidio, quando è a rischio l’esistenza stessa delle persone, in cui in gioco è la vita e la morte, perché uno sport come il calcio può essere importante? Non è, come qualcuno pensa, un lusso da lasciare da parte per concentrarsi su bisogni primari?

D.S. In tempi di crisi e conflitto, lo sport, incluso il calcio, svolge un ruolo cruciale che va oltre la semplice ricreazione e competizione. Agisce come un potente simbolo di resilienza e unità, riunendo le comunità e promuovendo la solidarietà tra persone di diverse origini. Lo sport fornisce una piattaforma neutrale per il dialogo e la comprensione, promuovendo il rispetto reciproco, la tolleranza e l’empatia - elementi essenziali per la convivenza pacifica e la riconciliazione. Inoltre, il calcio internazionale può amplificare l’advocacy per i diritti umani e la giustizia, aumentando la consapevolezza sulle crisi umanitarie e mobilitando la solidarietà globale. Nonostante le priorità immediate di soddisfare i bisogni fondamentali durante “crisi” come un genocidio, lo sport completa questi sforzi affrontando gli aspetti psicologici, sociali ed emotivi del benessere umano. Rafforza valori universali come equità, rispetto e inclusione, cruciali per costruire società resilienti e pacifiche. Siamo convinti che il calcio e lo sport siano strumenti potenti.

G.G. e A.P. Ad agosto a Parigi si svolgeranno i giochi olimpici e la delegazione italiana sarà sulla stessa barca di quella israeliana durante la cerimonia d’inaugurazione, mentre a settembre la Nazionale di calcio italiana giocherà due partite di Nations League contro Israele. Cosa vuoi dire alla FIGC, al Coni, ma anche a tutti i tifosi italiani?

D.S. Invitiamo la FIGC e il Comitato Olimpico Nazionale Italiano (CONI) a considerare attentamente le implicazioni della partecipazione insieme alla delegazione israeliana alla cerimonia di apertura dei Giochi Olimpici. Pur rispettando i valori di sportività e unità che incarnano le Olimpiadi, è altrettanto cruciale sostenere i principi di giustizia e i diritti umani in tutte le interazioni internazionali. Per quanto riguarda le partite della Nations League programmate con Israele a settembre, facciamo appello alla FIGC e ai tifosi italiani affinché riconoscano la sensibilità di questi incontri. La nostra preoccupazione è radicata nelle sfide continue affrontate dal popolo palestinese, inclusa la tragica situazione a Gaza e le restrizioni che influenzano la libertà di movimento e l’accesso alle strutture sportive, ostacolando lo sviluppo del calcio in Palestina.

Crediamo nel potere dello sport di promuovere pace e comprensione, ma riconosciamo che gli eventi sportivi non dovrebbero svolgersi isolatamente dai contesti politici più ampi. Incoraggiamo la FIGC, il CONI e i tifosi italiani ad affrontare queste partite con una comprensione sfumata di queste complessità. Il dialogo continuo e l’impegno sono essenziali per promuovere rispetto reciproco, uguaglianza e giustizia per tutti. Il nostro obiettivo è creare un ambiente sportivo in cui equità, inclusività e dignità umana siano rispettate sia dentro che fuori dal campo.

G.G. e A.P. Il 31 agosto la FIFA dovrà esprimersi sulla vostra richiesta di escludere la Federazione di Israele: cosa pensi che deciderà?

D.S. Siamo cautamente ottimisti e abbiamo aspettative realistiche. Abbiamo presentato un caso convincente dettagliando violazioni documentate e azioni illegali da parte della Federazione Calcistica Israeliana, concentrandoci sulle questioni dei diritti umani e sulle normative della FIFA. La nostra richiesta riflette i principi di equità, giustizia e aderenza alle norme internazionali di governance dello sport. Tuttavia, la decisione della FIFA dipenderà da una valutazione approfondita delle prove, dal rispetto dei suoi statuti e dalla considerazione delle implicazioni più ampie per il calcio internazionale. Prevediamo un processo di revisione completo che tenga conto di diverse prospettive e aspetti legali prima di raggiungere una decisione. Pur essendo fiduciosi che la FIFA non verrà meno alle sue responsabilità e che prenderà le misure appropriate per garantire il rispetto delle normative, riconosciamo la complessità di queste decisioni e i fattori che possono influenzarle. Ci aspettiamo che la FIFA dimostri il suo impegno per l’integrità e l’equità nella governance dello sport, prendendo decisioni in linea con quelle che sono le procedure ed i principi stabiliti. Confidiamo nella priorità della FIFA nell’interesse del bene del calcio mondiale, inclusa la promozione dei diritti umani e non la discriminazione. Rimaniamo concentrati sulla difesa pacifica e sul dialogo, cercando una risoluzione che rispetti i diritti e la dignità di tutte le parti coinvolte. Indipendentemente dall’esito, il nostro obiettivo rimane quello di promuovere equità, giustizia e uguaglianza nel calcio internazionale.