Da bambina cresciuta negli anni ‘90 in Marocco, a volte andavo a letto con la paura che venisse evocata Aisha Kandisha. Raffigurata per metà donna e metà cammello, Aisha è una figura del folklore marocchino spesso associata alla lussuria e alla possessione, come orchessa, fattucchiera o vendicatrice, oltre ad essere una delle figure più affascinanti della tradizione orale del regno marocchino. Me la immaginavo vestita tutta di bianco con le zampe con gli zoccoli di cammello e una cascata di lunghi capelli neri. Ignoravo la sua storia, ma sapevo che bisognava temerla. Quando chiedo in giro cosa evoca il suo nome, le risposte sono sempre le stesse: confuse, disinteressate e dettate dalla superstizione.
Oggi, alla luce della mia coscienza politica e femminista, penso che, come molte importanti figure femminili della Storia, Kandisha sia stata demonizzata per essere cancellata dalla memoria. Ora preferisco credere che Aisha sia realmente esistita, immaginandola nella sua forma più gloriosa. Esplorare la sua figura e la sua eredità rappresenta il mio sforzo verso una riparazione, un riscatto e una riconciliazione con l’immagine di Aisha Kandisha.
L’archetipo della strega: tra fascino e demonizzazione
Nonostante ci sono quasi venti nomi basati sulle varie attribuzioni e sulle varianti regionali, il nome “Aisha” significa prima di tutto “la vivente”. L’origine del nome “Kandisha”, enigmatica quanto la sua esistenza, potrebbe venire dal portoghese, in riferimento al suo status di contessa decaduta – condessa in portoghese – o dall’ebraico qadesha, che significa prostituta sacra, o ancora da Astarte, la Grande Madre cananea dell’antichità.
Secondo il mito fondatore, Kandisha sarebbe una figura di primo piano della resistenza anticoloniale all’occupazione portoghese nel XVI secolo. Sebbene poco presente nella cultura popolare e nelle produzioni artistiche contemporanee, la storia di Aisha Kandisha continua ad essere trasmessa, anche se in forma parziale e lacunosa.
Nel film documentario Transes girato nel 1981 dal regista marocchino Ahmed Maanouni, Larbi Batma, leader del famoso gruppo Nass El Ghiwane, confutando completamente la tesi della “jinniya” – in arabo la strega –, parla di Aisha come di una delle “prime ribelli della storia”. Racconta il massacro nel suo villaggio vicino al porto di Jorf Lasfar, nella provincia di El Jadida, e lo stupro subito per mano di un soldato dell’occupazione.
Forse è a quest’esperienza che si deve la sua vendetta: la sua ammaliante bellezza sarebbe diventata la sua arma di guerra per sedurre i coloni, attirandoli nei boschi e uccidendoli. In questa sequenza, i filmati d’archivio nelle varie inquadrature mostrano Bousbir, il ghetto della prostituzione del protettorato di Casablanca, e altre testimonianze della brutalità della presenza dell’esercito francese.
Una netta presa di posizione contro la storia coloniale e la violenza sessuale – fin troppo edulcorata – da parte del regista, il cui film è stato restaurato da Martin Scorsese nel 2007. Il regista Maamouni parla di un’intersezionalità1 ante litteram, evidenziando lo sfruttamento dei corpi e l’espropriazione delle terre, così come l’interdipendenza del femminismo e la decolonizzazione. Aisha Kandisha ha quindi subito una doppia punizione: quella di essere donna e indigena, oggettivata e ipersessualizzata dal patriarcato e dall’occupazione.
Esistono numerose varianti di questa leggenda in cui Aisha è di volta in volta fille de joie o nobildonna, principessa andalusa o contessa portoghese. Personaggio controverso, a metà strada tra la succube giudeo-cristiana e la sirena, Aisha farebbe ricorso al suo fascino e alla sua straripante sessualità per scopi funesti. Con la sua pelle candida, i suoi occhi neri a mandorla e la sua bocca rosso sangue, Aisha avrebbe il potere di sedurre gli uomini fino a farli perdere la testa.
Vendicativa ai limiti della misandria, Aisha era solita prendere di mira soprattutto i più giovani, quelli che amava o quelli che non svolgevano il loro ruolo di capifamiglia. Secondo alcune credenze, sarebbe la figlia di Sidi Chamharouch, re dei Jinn, venerato come un santo dalle tribù dell’Atlante. Credenza diffusa presso l’ordine Sufi Buffis, questa versione di Aisha “jinniyya” farebbe di lei una figura in grado di possedere le persone, cambiandone l’aspetto.
Che il massacro della sua famiglia da parte delle truppe portoghesi sia stata una forma di rappresaglia o il punto di partenza della sua resistenza è del tutto irrilevante: tutte le storie finiscono in un bagno di sangue, facendo precipitare la nostra antieroina nella follia. Dopo la sua morte, si dice che sia diventata uno spirito piangente, una Llorona2, che infesta la foresta alla continua caccia di uomini per divorarli.
D’altronde, l’occupazione portoghese del Marocco coincise con il picco della caccia alle streghe in Europa e negli Stati Uniti. Nel contesto di quello che viene definito “il primo femminicidio della Storia”, che è anche il titolo di un documentario di Dominique Eloudy-Lenys uscito nel 2024, è plausibile che i portoghesi abbiano inventato la leggenda dell’orchessa malvagia, forse attingendo ad altre tradizioni, per intaccarne il mito e dissuadere il popolo a schierarsi dalla sua parte, se non addirittura a darle la caccia.
Una leggenda che include alcune caratteristiche che si trovano nella letteratura occidentale delle streghe: come Tituba di Maryse Condé, vittima dei processi alle streghe di Salem, che avrebbe vissuto isolata, vicino a corso d’acqua, un fiume o al mare. Una donna solitaria, forte e attraente vista come un evidente pericolo da neutralizzare.
Tuttavia, nelle cerimonie di trance estatica Gnawa, o “hadra”, viene ancora invocata con il nome di Lalla Aisha Kandisha, come figura sacra per poter comunicare con gli spiriti. Ma l’ambivalenza della sua figura permane tra incantesimi e guarigione, possessione ed esorcismo, creando una complessa relazione che oscilla tra paura e venerazione.
Le grandi dimenticate della Storia
Alla fine, si sa molto poco di Aisha Kandisha e non ci sono fonti storiche o documenti scritti per definire i contorni di questo mito polimorfo. Dato che la storia è stata scritta dalla prospettiva maschile, è chiaro che molte donne siano state cancellate, e il folklore sia stato spesso un modo semplice, ma efficace per screditare le figure più forti.
Tuttavia, il primo testo mai scritto e rivendicato da un autore, il primo “io”, è in realtà quello di una poetessa e scrittrice, la sacerdotessa accadica Enheduanna che nel 2300 a.C. indirizzò una lettera a una dea. Quest’esempio tratto dal libro Les grandes Oubliées: Pourquoi l’Histoire a effacé les femmes dello scrittore francese Titou Lecoq, fa parte del suo lavoro di scavo nel rintracciare la storia cancellata delle donne e del loro contributo, risalendo fino alla preistoria.
La ricerca storica di Lecoq individua l’origine della violenza e della disuguaglianza nel periodo neolitico con la sedentarizzazione, la nascita della proprietà privata e dell’agricoltura, che hanno configurato il concetto di fertilità. La donna perde così il suo status associato al culto della Grande madre e al miracolo della vita, finendo per essere relegata alla mera riproduzione. L’obiettivo di Lecoq è quello di cambiare prospettiva, rivendicando la storia e documentando il percorso di donne straordinarie.
In Marocco, l’esistenza di molte figure di rilievo viene ancora oggi messa in discussione, come quella di Fatima Al-Fihriya, a cui si deve l’Università al-Qarawiyyin di Fès, la più antica del mondo ancora in attività.
Anche la storia di Haddah Zaidia, meglio nota come Cheikha Kharboucha, resta un mistero. Cantante popolare considerata la madre dell’Aïta, (“il grido” in dialetto marocchino), un genere musicale rurale associato alla lotta tribale e anticoloniale. La leggenda narra che sia stata murata viva da un sanguinario caïd3, segretamente innamorato di lei, per l’audacia dei suoi testi politicamente impegnati. Mentre la sua musica continua ad essere tramandata, la sua vita rimane avvolta nel mistero. Il poeta surrealista André Breton la descrisse come “un nastro attorno a una bomba!”.
Dihya, formidabile condottiera Amazigh del VII secolo, fu demonizzata dai suoi nemici, che la soprannominarono La Kahina, in arabo sacerdotessa, maga, indovina, attribuendo la sua abilità militare all’opera del diavolo.
Anche se i destini di altre donne marocchine con una grande storia sono maggiormente documentati e meno falsati rispetto a quello di Kandisha, restano in ogni caso figure marginali. Salvo qualche raro film biografico – per inciso, film girati da uomini – come quello su Zaynab Nefzaouia, fondatrice di Marrakech nell’XI secolo e moglie del sultano almoravide del Maghreb al-Aqsa, Yūsuf ibn Tāshfīn al suo quarto matrimonio, o su Fatima Mernissi, sociologa e figura di spicco del movimento femminista marocchino, figure storiche femminili raramente riconosciute nella coscienza collettiva.
Non esiste un viale dedicato a Malika al-Fassi, una delle firmatarie della Dichiarazione di Indipendenza a cui si deve il diritto di voto delle donne, né a Sayyida al-Hurra, nonostante sia stata una regina corsara alleata di Barbarossa4.
Il simbolismo ha una grande importanza. Mentre alcuni sostengono ancora che il femminismo sia un’idea importata dall’Occidente per corrompere la virtù delle donne musulmane, è ormai chiaro che le donne marocchine abbiano sempre avuto un ruolo significativo nella Storia, combattendo per i loro diritti e le loro libertà. Oggi la questione della rappresentanza resta più importante che mai.
Verso una riabilitazione collettiva?
Solo a partire dagli anni ‘70 negli Stati Uniti, l’archetipo della strega è diventato un’icona della lotta femminista. Nel 2001, l’Assemblea del Massachusetts ha approvato una legge che ha riabilitato i nomi di tutti coloro che sono stati condannati durante i processi alle streghe di Salem. Da allora, c’è stata un’ondata di riabilitazioni ufficiali anche in Europa, sostenuta dai movimenti femministi.
Questo processo di riparazione storica si affianca agli sforzi compiuti per non dimenticare, con monumenti e altre cerimonie commemorative. Nel 2016, Papa Francesco ha elevato la figura di Maria Maddalena, a lungo considerata dalla Chiesa una prostituta, ad “apostola degli apostoli”, celebrandone la memoria con una festa liturgica.
Due anni dopo, il film Mary Magdalene di Garth Davis mette in scena un personaggio – interpretato da Rooney Mara – intriso di dolcezza, saggezza e umanità, che dimostra però una grande indipendenza rifiutando il modello patriarcale e la maternità. Lo stesso anno in Francia, la figura della strega ha riscontrato una straordinaria popolarità, soprattutto grazie al saggio della scrittrice e giornalista franco-svizzera Mona Chollet5.
Una delle pioniere è stata la giornalista, femminista e attivista per i diritti delle donne marocchina Fedwa Misk che, nel 2011, ha aperto la webzine femminista Qandisha. Accusata di mettere le donne contro gli uomini, la rivista online ha comunque offerto uno spazio di replica nell’interesse dell’inclusività.
Restano ancora molto rare le iniziative culturali in grado di cogliere la portata emancipatrice della figura di Kandisha. Due film omonimi, usciti rispettivamente nel 2010 e nel 2020 e diretti da uomini, riprendono la storia di Aisha, ma accentuandone i tratti più terribili, per trasformarla in un thriller. Il cinema gioca un ruolo molto importante nel plasmare il nostro immaginario collettivo.
Lo sa bene la regista Yasmine Benkirane. Nel suo primo lungometraggio femminista Reines, uscito nel 2022, la figura di Aisha Kandisha, anche se affrontata dal punto di vista di un misticismo a volte un po’ forzato, diventa la regina dei djin, agendo come presenza benevola che guida la giovane eroina del film nel suo percorso iniziatico.
In un’intervista al sito Sorociné, la regista spiega di voler “rivendicare la figura di Kandisha per farne un simbolo della rivolta femminista, proprio come le femministe europee hanno rivendicato la figura della strega”.
Forse è questa una delle possibili chiavi di lettura: la riappropriazione della storia delle donne da parte delle donne. Riconoscersi in loro, rendendole omaggio. E se fossimo tutte in qualche modo le eredi di quelle stirpi di donne demonizzate, come suggeriscono alcuni movimenti femministi contemporanei?
In un certo senso, anch’io sono un archetipo della strega moderna: mi curo con le piante, sono sensibile alle fasi lunari, parlo con gli animali... e così mi chiedo se non spetti forse alla mia generazione rompere il circolo vizioso di queste violenze transgenerazionali per risacralizzare il potere del femminile.
Non si nasce femministe, ma lo si diventa, per forza di cose e per la brutalità del mondo, allora credo che spetti anche a noi creare la nostra mitologia, conoscere i nostri riferimenti culturali, identificandoci con le nostre eroine e celebrando le nostre figure religiose. Anche la figura di Kandisha non ha ancora trovato una narrazione che la riconosca come simbolo della resistenza, quale è sicuramente stata, e ciò che resta della sua storia sarà sempre e solo ciò che sceglieremo di farne.
1Termine proposto dall’attivista e giurista statunitense Kimberlé Crenshaw per descrivere la sovrapposizione di diverse identità sociali e le relative possibili particolari discriminazioni, oppressioni, o dominazioni. [NdT].
2La Llorona (“la piangente”) è uno spirito tipico del folklore dell’America Latina, le cui origini cambiano spesso a seconda del luogo. [NdT].
3I caid erano governanti feudali berberi delle regioni meridionali del Marocco sotto il Protettorato francese. [NdT].
4Aruj Barbarossa, il corsaro ottomano signore di Algeri. [NdT].
5In italiano, Streghe. Storie di donne indomabili dai roghi medievali a #MeToo, Torino UTET, 2019