In Libia, il maresciallo Haftar accumula sconfitte, così come la Francia

In questo articolo, pubblicato originalmente in francese il 4 giugno 2020, si ripercorrono alcune fasi fondamentali della seconda guerra civile in Libia. Il vento gira a favore della coalizione al potere a Tripoli. Le sue truppe hanno ripreso il controllo di diverse città del paese, strappandole a quello del maresciallo Khalifa Haftar. Tutto ciò è stato possibile certamente grazie al sostegno turco, ma anche a quello della popolazione che sembra ostile all’idea di una dittatura militare. Le numerose potenze regionali e internazionali coinvolte in Libia potrebbero tentare di evitare la prospettiva di un’escalation. In primo luogo la Francia che si è schierata a fianco di Haftar.

Tripoli, 20 maggio 2020. — Le truppe del Governo d’alleanza nazionale di Fayez Serraj sfilano con un camion lanciamissili Pantsir presi sulla base aerea d’Al-Watiyya, ultimo bastione del maresciallo Haftar all’ovest della capitale.
Mahmud Turkia/AFP

Il 19 maggio scorso è stato il momento del giubilo nella Piazza dei Martiri di Tripoli, in una calda serata di Ramadan. Era da tempo che gli abitanti della capitale non si riunivano per celebrare qualche evento. Obiettivi per diversi mesi dei bombardamenti da parte delle forze del maresciallo Haftar, dominati dalla preoccupazione per la diffusione del coronavirus e alle prese con quotidiane interruzioni di luce ed acqua, oltre alle difficoltà di approvvigionamento e di smaltimento dei rifiuti, i Tripolini vogliono credere in una prossima vittoria.

Nessuno ha voluto perdere lo spettacolo dell’immenso veicolo lancia-missili antiaerei Pantsir-S1 sequestrato il giorno prima dal Governo di Alleanza Nazionale (GAN) di Fayez Sarraj nella base aerea di Al-Watiyya, ultimo bastione del maresciallo Haftar a Ovest di Tripoli. Esposto trionfalmente, questo sistema di difesa russo fornito recentemente dagli Emirati Arabi (EAU) alle forze di Khalifa Haftar1 è il simbolo di ciò che è avvenuto nelle ultime settimane in Libia. Le sorti della guerra sembrano girare a favore delle forze del GAN. L’iniziativa è passata sull’altro fronte e le sconfitte si accumulano per l’«Esercito nazionale arabo-libico» (ANAL), per quanto il suo portavoce insista nel definirle «ritirate tattiche».

L’impegno turco come catalizzatore

Nel giro di alcune settimane, le forze del GAN hanno ripreso il controllo di una dozzina di città della Tripolitania che si erano in precedenza alleate con il maresciallo prima di conquistare vittoriosamente la base aerea di Al-Watiyya. Ultimo bastione di Khalifa Haftar in Tripolitania, la città di Tarhuna situata a circa 50 km a Sud-Est di Tripoli è assediata dalle forze del GAN. Il generale Oussama Jweili, comandante del settore militare occidentale del GAN ha annunciato che la città è il prossimo obiettivo delle sue truppe.

L’impegno militare della Turchia al fianco del GAN è stato indiscutibilmente il catalizzatore di queste vittorie di Tripoli. Prima che si rafforzasse il sostegno turco, i bombardamenti con i droni forniti dagli Emirati alle forze del maresciallo Haftar e i mercenari del gruppo russo Wagner avevano messo sistematicamente in scacco le truppe di Tripoli. Il coinvolgimento turco ha permesso di riequilibrare la situazione fornendo il duplice supporto di intelligence e bombardamenti con i droni. La possibilità di bombardare di giorno e di notte le linee di rifornimento, i centri di comando e i punti di concentramento delle truppe nemiche è stato, pertanto, decisivo.

Ma questa vittoria dipende in primo luogo dalle truppe del GAN che hanno superato le rivalità e le fratture al loro interno per organizzarsi e combattere ciò che percepiscono come un rischio: l’instaurazione di una dittatura militare nel loro paese. A quanti parlano di «caos» per descrivere la situazione in Libia — e sono spesso gli stessi che credono che un regime autoritario, o militare, sia l’unica alternativa possibile al «caos» —, gli eventi di queste ultimi mesi dimostrano il contrario, mostrando, in realtà, la continuità delle aspirazioni del popolo libico ostile nella sua stragrande maggioranza a un regime militare. Tutto ciò è emerso chiaramente in occasione delle consultazioni compiute nel corso del 2018 nel quadro del processo per giungere ad una Conferenza Nazionale, lanciato dall’inviato speciale dell’ONU, Ghassan Salamé.

Ma questa vittoria dipende in primo luogo dalle truppe del GAN che hanno superato le rivalità e le fratture al loro interno per organizzarsi e combattere ciò che percepiscono come un rischio: l’instaurazione di una dittatura militare nel loro paese. A quanti parlano di «caos» per descrivere la situazione in Libia — e sono spesso gli stessi che credono che un regime autoritario, o militare, sia l’unica alternativa possibile al «caos» —, gli eventi di queste ultimi mesi dimostrano il contrario, mostrando, in realtà, la continuità delle aspirazioni del popolo libico ostile nella sua stragrande maggioranza a un regime militare. Tutto ciò è emerso chiaramente in occasione delle consultazioni compiute nel corso del 2018 nel quadro del processo per giungere ad una Conferenza Nazionale, lanciato dall’inviato speciale dell’ONU, Ghassan Salamé.

Un’opzione politica per uscire dalla crisi

Nella sua roccaforte della Cirenaica, sebbene nessuna reale opposizione o voce contraria a Khalifa Haftar sia emersa in questa fase, cominciano a circolare critiche circa la sua offensiva militare. La dichiarazione da parte del maresciallo, il 27 aprile, che il popolo « lo avrebbe investito per guidare il paese » ha suscitato poche reazioni favorevoli, a parte le sparute manifestazioni organizzate con molta probabilità dai servizi di sicurezza. Inoltre, poche ore dopo tali dichiarazioni, il presidente del Parlamento di Tobrouk, Aguila Saleh, fino a quel momento fedele sostenitore del maresciallo, ha lanciato la sua personale iniziativa politica tesa a trasformare l’attuale consiglio presidenziale2 in un organo costituito da un presidente e due vice, ciascuno dei quali originario di una delle tre regioni in cui è storicamente divisa la Libia. Tale proposta di Aguila Saleh sembra non avere alcun «mandato» da parte di Haftar. Si tratta di un’iniziativa che incontra un certo interesse nei responsabili della Libia occidentale i quali vedono in essa non solo la possibilità di indebolire il campo avversario, ma anche una valida base di lavoro per elaborare una via di uscita credibile alla crisi.

La guerra non è finita e sono talmente tante le variabili in gioco che è difficile azzardare valutazioni su come si evolveranno gli eventi. La Libia è dal 2011 teatro di crescenti ingerenze esterne, fino a diventare la cassa di risonanza di rivalità e conflitti tra potenze regionali e internazionali. Se i Libici riusciranno a giungere ad un’opzione politica per uscire dalla crisi, ciò non potrà avvenire senza trovare un minimo di unità tra loro, o per lo meno senza che gli attori esterni coinvolti cessino di fornire il loro sostegno alle parti in conflitto. Questa è una condizione necessaria, ma non sufficiente. Gli attori libici, infatti, sembrano muoversi con un certo grado di autonomia: ne è stata un’eloquente manifestazione il netto rifiuto posto a Mosca a metà gennaio dal maresciallo Haftar di impegnarsi nel cessate il fuoco promosso da Russia e Turchia.

Il persistente sostegno di Parigi

Per quanto riguarda la Francia, il cui ex Presidente Nicolas Sarkozy era stato così solerte nell’intervenire militarmente per abbattere il regime nel 2011, essa non solo si è rifiutata di condannare l’offensiva del maresciallo Haftar del 4 aprile 2019, ma si è anche sistematicamente rifiutata di attribuirgli le responsabilità della guerra. Parigi per tredici mesi è stata attenta rinviare qualsiasi accordo tra le parti e a risparmiare sia il maresciallo Haftar che il suo principale fornitore di armi, gli Emirati Arabi Uniti.Prima della stessa offensiva del maresciallo, il sostegno di Parigi, o ciò che è stato interpretato come tale da Haftar, lo ha incoraggiato nella scelta dell’opzione militare. Si può citare in proposito un articolo di Figaro del 20 marzo 2019 che, con il senno di poi, appare tanto più interessante:

Al quartier generale dell’Esercito Nazionale Libico, presso Bengasi, nell’Est della Libia, sembra quasi di essere in Svizzera. I prati sono perfettamente rasati, con aiuole fiorite di rose. Gli uomini di Haftar sono più disciplinati e aperti dei miliziani di Tripoli. All’interno, gli ambienti profumano di pulito, la moquette è impeccabile e il tè servito con cura. “E’ da tempo che lei non viene a trovarmi!”. Alto, imponente e sicuro di sé, Khalifa Haftar riceve sotto un’immensa aquila dorata, uno dei simboli della Libia. “Aspettavamo la vostra vittoria!” gli risponde prontamente Jean-Yves Le Drian. I due, visibilmente, si rispettano.

Emblematico dello spirito cortigiano dominante nella stampa nei confronti del maresciallo e di un pregiudizio favorevole nei suoi confronti, l’articolo merita di essere meglio contestualizzato. Siamo alla fine di marzo del 2019. Il maresciallo Haftar ha appena lanciato qualche settimana prima un’offensiva tesa a riprendere il controllo della Libia del Sud. Con l’appoggio di milizie locali, qualche centinaio di soldati dell’« Esercito Nazionale Arabo Libico » di Khalifa Haftar si è installato con successo nelle principali città del Sud. L’intensa campagna di comunicazione che ha accompagnato l’operazione e l’accoglienza favorevole della popolazione che si sentiva totalmente abbandonata dal 2011, hanno indotto alcuni osservatori a credere ad una promettente vittoria del maresciallo Haftar.

La Francia, impegnata militarmente nel Sahel, accoglie favorevolmente la presa del Sud libico da parte di un militare.Al Ministero della Difesa francese, e anche nella cerchia del Presidente Emmanuel Macron e di Jean-Yves Le Drian, sono molti a scommettere sul ritorno di un regime forte in Libia. Jean-Yves Le Drian, che ha lasciato il suo posto di Ministro della Difesa da due anni, è su questa linea in nome della “guerra al terrorismo”, nozione sotto cui è compresa una visione che intreccia gli interessi della Francia con quelli del suo apparato militare-industriale e con gli obiettivi strategici del suo esercito dispiegato nel Sahel. Va ricordato che il Presidente francese è stato il primo capo di Stato europeo ad aver ricevuto Haftar, contribuendo così a dare legittimità politica a colui che si presenta ufficialmente solo come capo dell’esercito arabo nazionale libico. Il presidente russo non lo ha mai voluto ricevere ufficialmente. Alcuni a Parigi, specie nella cerchia dei consiglieri del Presidente, avevano stimato nell’aprile 2019 che il maresciallo Haftar, così come lui stesso aveva annunciato, era in grado di prendere Tripoli in pochi giorni. Come titola Le Figaro, lo scopo della visita del Ministro degli esteri in Libia Era di «riavvicinare i fratelli libici nemici». Le prime righe dell’articolo non lasciano dubbi sulle preferenze del Ministro.

Il fallimento della conferenza nazionale

Nello stesso tempo, l’inviato speciale dell’ONU, Ghassan Salamé, lavora all’organizzazione della Conferenza nazionale che doveva tenersi il 15 aprile a Ghadames, 400 km a Sud di Tripoli. Questa conferenza, che è una delle quattro componenti della roadmap convalidata dal Consiglio di sicurezza dell’Onu, chiude un processo di consultazioni popolari che ha dato voce a migliaia di libici.La relazione fuoriuscita da queste consultazioni popolari costituisce la base dell’agenda della riunione di Ghadamès, il cui obiettivo è l’adozione di una nuova Costituzione e di una roadmap che dovrebbe portare alle elezioni.

La conferenza non si è mai tenuta. Il maresciallo Haftar ha lanciato il suo attacco a sorpresa a Tripoli il 4 aprile, mentre il Segretario generale delle Nazioni Unite era in visita ufficiale a Tripoli. Il Consiglio di sicurezza si è riunito il 18 aprile. Quest’ultimo è risultato diviso e incapace di esprimere una posizione comune se non per ribadire che in Libia non esiste una soluzione militare. Questa divisione continua ancora oggi, ma ci sono segni che le cose potrebbero cambiare dopo le sconfitte militari di Haftar. Mentre questi annunciava una massiccia offensiva aerea e rinforzi militari continuavano a fluire in entrambi i campi3. La Russia, che non ha mai trascurato di coltivare i rapporti con alcuni attori in Tripolitania, ha cambiato tono nei confronti del maresciallo condannando il suo «plebiscito» del 27 aprile e sostenendo l’iniziativa politica del presidente del Parlamento, Aguila Saleh.

È troppo presto per sapere se la parentesi Haftar — almeno nella sua forma attuale — sta volgendo al termine in Libia. Gli Emirati Arabi Uniti sono pronti a rinunciare a dare sostegno militare al maresciallo senza una forte spinta da parte di Stati Uniti e Francia? Lo spettro della creazione di basi militari turche in Tripolitania e la prospettiva di vedere Istanbul stabilirsi a lungo termine nella regione costituiscono a questo proposito l’argomento principale di Khalifa Haftar per combattere l’ex «colonizzatore ottomano». La popolazione della Cirenaica è sensibile a questo argomento, compresi coloro che non sostengono le ambizioni politiche del maresciallo. La prospettiva di una Turchia saldamente impiantata in Tripolitania è motivo di grande preoccupazione anche per gli Emirati Arabi Uniti e l’Egitto che vi vedono il rischio di un sostegno ai Fratelli Musulmani libici. Come il Cairo, pure Parigi vede l’emergere di una nuova potenza in Libia come una minaccia ai suoi interessi strategici in Nord Africa e nel Sahel.

L’obbiettivo di una ripresa del dialogo politico

Il peggio quindi non è mai certo. Paradossalmente, i tempi potrebbero essere maturi per un allentamento dell’escalation e per la ripresa dei negoziati politici sotto l’egida delle Nazioni Unite. Come ha ricordato il 19 maggio Stéphanie Williams, rappresentante speciale ad interim del Segretario generale delle Nazioni Unite in Libia, nel suo rapporto trimestrale al Consiglio di sicurezza, l’idea di ristrutturare il consiglio presidenziale attorno a un presidente e due vicepresidenti è uno degli obiettivi realistici della ripresa del dialogo politico, la cui prima sessione si è tenuta a Ginevra in febbraio. Questa architettura del nuovo consiglio presidenziale, che riprende la proposta del presidente del Parlamento libico, è stata accettata da Fayez Sarraj il 5 maggio.

Il successo delle prossime sessioni di dialogo politico sotto l’egida delle Nazioni Unite sarà subordinato alla partecipazione e al sostegno di tutte le parti libiche. L’assenza, l’esclusione o l’emarginazione di uno dei partiti da questo forum politico, come è avvenuto a Skheirat nel 2015, avrebbe le stesse conseguenze e sarebbe catastrofica per i libici, le cui speranze per la fine della crisi sono state continuamente deluse negli ultimi anni.

La guerra in corso, contrariamente a quanto affermano molti osservatori, non è uno scontro tra Est e Ovest. Mentre la storia, la geografia, le condizioni di vita materiali e le strutture sociologiche hanno contribuito a plasmare identità regionali distinte tra Tripolitania e Cirenaica, esiste nondimeno un sentimento nazionale libico. Questo senso di appartenenza a una nazione ha resistito alla distruzione dello Stato, a molteplici interferenze straniere e a nove anni di instabilità e frammentazione. La grande diversità delle popolazioni originarie (abitanti delle città, beduini, abitanti delle montagne, Amazigh, ecc.) e la frammentazione seguita alla guerra del 2011 hanno portato all’emergere di una cultura politica di negoziazione e compromesso rappresentata dal governo di accordo nazionale di Tripoli. In Cirenaica, le strutture sociali connesse alle grandi tribù beduine hanno accolto più facilmente un potere piramidale e un governo militarizzato.

Mentre la questione della frammentazione e della debolezza del potere può apparire problematica oggi in Occidente, quella della concentrazione del potere è altrettanto problematica in Oriente. Ciò non significa che le due culture non possano cedere il passo a una cultura politica nazionale che resta tutta da inventare. Per essere in sintonia con il Paese reale, questa cultura politica dovrà tenere in considerazione l’articolazione tra locale e nazionale, l’equa distribuzione delle risorse e la giustizia sociale, al centro delle preoccupazioni del popolo libico.

La strada sarà lunga e disseminata di insidie, ma l’obiettivo non è irrealistico. Quanto a Jean-Yves Le Drian, se aspetta le prossime vittorie del maresciallo Haftar per fargli visita, probabilmente dovrà aspettare molto tempo.

1La presenza di almeno dieci sistemi Pantsir consegnati dagli EAU è stato avverato in Libia. Nove sono stati distrutti dalle forze affiliata al GAN questi ultimi giorni.

2L’attuale consiglio presidenziale guidato da Fayez Sarraj, risultato degli accordi di Skhirat includeva un presidente, un vice presidente et sette membri. Oggi, imane in attività solo il presidente, suo vice presidente e un membro. di fatto questo consiglio presidenziale non è mai funzionato come previsto negli accordi di Skhirat.

3sei aerei di guerra Mig 29 Fulcrum russi provenienti dalla Russia via la Siria, arrivati sulla base d’Al Jufra tenuta dall’ANAL e vari voli di aerei-cargo provenienti dalla Turchia verso l’aeroporto di Misrata, suscitando timori sulla grave prospettiva di un’escalation militare, le potenze regionali e internazionali sono sembrate comunque determinate a evitare il peggio.

Le manovre americane

Dopo essersi intrattenuto il 19 e 20 maggio prima con il presidente francese e poi con quello turco, Donald Trump ha fatto un appello per fermare l’escalation in Libia. I leader russo e turco hanno nello stesso momento annunciato di aver trovato un’intesa per un accordo. Il primo obiettivo di questo accordo era probabilmente quello di garantire il ritiro delle poche centinaia di mercenari della compagnia militare privata russa che combattevano a fianco delle truppe pro-Haftar a Sud di Tripoli. Sono stati così in grado di raggiungere in sicurezza l’aeroporto di Bani Walid prima di lasciare la Libia occidentale in aereo il 24 maggio.

Da parte sua, il segretario di Stato americano Mike Pompeo ha chiamato il capo del consiglio presidenziale di Tripoli Fayez Sarraj e ha avviato i contatti con Khalifa Haftar. Per molti osservatori in Tripolitania, questo appello è un segno che gli Stati Uniti hanno tratto le conseguenze delle sconfitte di Haftar riconsiderando la loro benevola neutralità nei suoi confronti [[Senza condannarla come fatto dal ministro degli esteri russo, il dipartimento dello Stato aveva tuttavia «deplorato» l’annuncio del 26 aprile da Khalifa Haftar del suo « plebiscito ».