L’asilo selettivo dell’Occidente

L’accoglienza dei profughi in Occidente non è mai stata priva di contraddizioni, ma l’invasione russa dell’Ucraina e la fuga di circa 5 milioni di persone hanno reso tali contraddizioni più esplicite. Le politiche governative stanno creando ovunque un sistema di selezione dei profughi fondato sulla razza e sulla religione.

Nell'immagine si vedono due bambini che si affacciano attraverso un copertone di gomma, posto in orizzontale. I bambini, che sembrano curiosi e giocosi, sono circondati da altri copertoni impilati. Sullo sfondo si possono intravedere tende bianche e un paesaggio collinare sotto un cielo blu con alcune nuvole. L'atmosfera sembra essere di gioco e scoperta, nonostante l'ambiente circostante possa suggerire condizioni di vita difficili.

L’accoglienza dei profughi in Occidente non è mai stata priva di contraddizioni, ma l’invasione russa dell’Ucraina e la fuga di circa 5 milioni di persone hanno reso tali contraddizioni più esplicite. Le politiche governative stanno creando ovunque un sistema di selezione dei profughi fondato sulla razza e sulla religione: accoglienza diffusa e accesso veloce alla protezione per i profughi “giusti”; respingimenti, campi e fili spinati per tutti gli altri, i “profugastri”. La mutazione genetica del diritto d’asilo appare talmente grave da presagire la sua morte imminente.

L’asilo nella tempesta globale

L’estrema instabilità politica, economica, sociale e ambientale che sta attraversando il mondo negli ultimi anni ha portato a una crescita senza precedenti del numero delle persone forzate ad abbandonare la propria abitazione o il proprio paese.

Secondo le stime dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR), le persone sradicate e sfollate (sfollati interni, richiedenti asilo e rifugiati) erano più di 84 milioni nel giugno 20211. La cifra non tiene conto, dunque, né dei 5 milioni di ucraini scappati dopo l’invasione russa nel febbraio 2022, né degli afghani fuggiti dopo il rocambolesco ritiro dell’esercito statunitense dal paese e l’insediamento dei talebani nell’agosto 2021, né del numero dei curdi costretti a lasciare la propria casa a seguito dell’intensificazione della violenza militare nei loro confronti e neanche dei disertori russi che non vogliono combattere in Ucraina dopo la mobilitazione parziale dei riservisti.

La Convenzione internazionale di Ginevra (1951) relativa allo status dei rifugiati, componente fondamentale delle leggi in materia di diritti umani e fresca delle celebrazioni per i 70 anni di vita, è identificata come la bussola che dovrebbe guidare l’azione degli Stati e delle istituzioni sovranazionali nella tutela dei profughi. L’art. 1 della Convenzione, fondato sul principio universalista, stabilisce il dovere degli Stati di fornire adeguata protezione a chiunque fugga dal proprio paese per il timore di subire persecuzioni a causa della razza, della cittadinanza, della religione, dell’appartenenza a un gruppo sociale o dell’orientamento politico. Il principio di non discriminazione rappresenta dunque il fondamento etico e giuridico dell’asilo e la protezione accordata ai rifugiati serve per sanare la condizione discriminatoria che ha determinato la fuga. Di conseguenza, il diritto d’asilo non ammette approcci selettivi e discrezionali, basati su gerarchie razziali, nazionali, religiose, opinioni politiche o altro, pena la morte della Convenzione. Ebbene, le campane a morto sono ora udibili da ogni direzione, soprattutto in Occidente, dove la Convenzione è nata.

Due pesi e due misure negli Stati Uniti

Negli Stati Uniti, le associazioni per i diritti umani hanno di recente denunciato non solo il record di detenzione dei richiedenti asilo durante la presidenza Biden (più di 1 milione di richiedenti detenuti dal novembre 2021 all’aprile 2022)2, ma anche la brutale violenza della polizia esercitata nei confronti dei profughi provenienti dall’America centrale e del sud. Le operazioni Lone Star della Guardia Nazionale in Texas e Vigilant Sentry della Guardia Costiera in Florida rappresentano gli sviluppi più preoccupanti del lungo processo di militarizzazione dell’asilo negli Stati Uniti. A tutto ciò si deve aggiungere la discriminazione razziale tra profughi: quelli provenienti da Haiti, Messico, Cuba, Venezuela e Camerun sono sottoposti a enormi restrizioni, mentre i profughi ucraini ricevono un trattamento migliore, che comprende l’accesso veloce allo status di rifugiato e perfino l’esenzione dall’applicazione del Titolo 42 del Codice governativo statunitense del 1944, il quale consente alle autorità federali di impedire l’ingresso nel paese per motivi sanitari. Si tratta della norma maggiormente utilizzata dalle precedenti amministrazioni, in particolare dall’amministrazione Trump durante la pandemia da Covid-19, per impedire l’ingresso dei richiedenti asilo nel territorio dello Stato.

Profughi e “profugastri” nella schizofrenia europea

Dall’altra parte dell’Atlantico, il governo britannico di Liz Truss promette via Twitter di portare a termine il “Rwanda policy” approntato alcuni mesi prima dal governo di Boris Johnson. Si tratta del joint agreement siglato con il governo del Rwanda per deportarvi i richiedenti asilo, in cambio di 120 milioni di sterline. Tale accordo è giustificato con l’incapacità del Regno Unito di accogliere i profughi, come ebbe modo di spiegare lo stesso Johnson il 14 aprile scorso: “Our compassion may be infinite but our capacity to help people is not”3.

Eppure, entrambi i governi conservatori hanno promesso aiuti (di 350 sterline al mese, esentasse, per un anno) per ogni famiglia britannica disposta a ospitare i profughi ucraini, i quali evidentemente sono ritenuti meritevoli di accoglienza. Va anche detto che il “Rwanda policy” non è stato finora implementato, perché la Corte europea per i diritti dell’uomo è riuscita a bloccare i voli programmati. Senza grande originalità, l’ex premier italiano, Mario Draghi, ha ripetuto la medesima (e falsa) litania sul limite dell’accoglienza italiana, durante un incontro bilaterale tra Italia e Turchia del 5 luglio scorso: “Ad un certo punto il paese che accoglie non ce la fa più. Forse siamo il paese meno discriminante e aperto il più possibile, ma anche noi abbiamo dei limiti e ora ci siamo arrivati”4.

Secondo i dati dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni (OIM), al 30 giugno 2022 gli arrivi in Italia dalla Turchia sono stati 5.856, contro 15.187 dalla Libia, 5.843 dalla Tunisia, 472 dal Libano e 6 dalla Grecia. Dall’inizio dell’invasione russa, invece, i profughi dall’Ucraina sono più di 145mila. Il limite invocato dall’allora premier italiano non si riferiva quindi all’accoglienza dei profughi ucraini. Anche il ‘blocco navale’, promesso in campagna elettorale da Giorgia Meloni e Matteo Salvini, non riguarda questi, ma tutti gli altri. È a questi altri che il futuro governo italiano si prepara a dichiarare guerra: chiusura totale dei porti, campi di raccolta in Africa, drastica riduzione dei fondi dell’accoglienza e legislazione ultra-repressiva. Il tutto accompagnato da un diluvio isterico di hashtag, come la tweeting-governance richiede.

La discrezionalità nell’agire dei governi italiani in materia di asilo si allarga però anche in altre direzioni, facendo temere nuovi abissi in tema di razzismo istituzionale. Un decreto del ministero dell’Interno, risalente a marzo 2022, che dichiara a priori “inaccessibili” gli atti relativi alla “gestione delle frontiere e dell’immigrazione”, inclusa la collaborazione con Frontex, intensifica l’opacità dell’agire istituzionale in materia di asilo e immigrazione, pregiudicando in modo sostanziale i diritti dei profughi, i quali finiscono per essere considerati una minaccia per la sicurezza nazionale. Così, la già scarsa trasparenza operativa di governi e polizie nella gestione delle frontiere – modellata più da circolari e accordi (semi)segreti che dagli ordinamenti in vigore – viene del tutto azzerata, trasformando la governance dell’asilo nel regno dell’arbitrio.

D’ora in poi, per conoscere quanto accade in alto mare, nei deserti o nei campi profughi occorrerà fidarsi di ciò che cortesemente vorranno dichiarare gli ufficiali di turno, ivi compresi quelli libici o turchi. Questi ultimi, secondo l’ultimo accordo siglato tra Draghi ed Erdogan, saranno ora presenti anche nei punti di sbarco e negli aeroporti italiani, per “prevenire gli arrivi”.

Il decreto ministeriale italiano preclude anche la possibilità di fare piena luce sulle innumerevoli stragi di profughi lungo le rotte del Mediterraneo, le più mortali al mondo. Così scrive l’UNHCR in un comunicato del 10 giugno 2022:

Nonostante la diminuzione del numero di attraversamenti, il bilancio delle vittime ha visto un forte aumento. L’anno scorso sono stati registrati circa 3.231 morti o dispersi in mare nel Mediterraneo e nell’Atlantico nord-occidentale. Nel 2020 il numero registrato corrispondeva a 1881, 1510 nel 2019 e 2.277 nel 2018. Il numero potrebbe essere ancora più elevato con morti e dispersi lungo le rotte terrestri attraverso il deserto del Sahara e zone di confine remote5.

Non si cura, invece, il governo spagnolo di opacizzare le informazioni sulla morte violenta dei profughi, anzi se ne fa quasi un vanto e, soprattutto, un monito per tutti coloro che vorranno rivendicare in futuro il diritto a chiedere asilo in Spagna. Quando il 24 giugno scorso, centinaia di profughi africani hanno tentato di assalire la fortezza Europa, scavalcando i fili spinati che circondano Melilla, la Guardia Civil spagnola e la gendarmeria marocchina hanno reagito con fermezza, causando 37 morti e centinaia di feriti. Nel mentre accadeva tutto ciò, il governo spagnolo e lo stesso Sanchez davano il benvenuto ai 134mila rifugiati ucraini.

Anche la politica “zero asilo e tanto filo spinato” di Polonia e Ungheria, che abbiamo dolorosamente conosciuto in questi ultimi anni, si è letteralmente sciolta in lacrime e appelli solidali per accogliere i profughi giunti dall’Ucraina. Il governo tedesco, che applica una politica d’asilo assai restrittiva, arrivando ad espellere 6.198 profughi nei primi sei mesi del 2022, ha generosamente dato il benvenuto a 900mila rifugiati ucraini, ai quali garantisce un processo amministrativo snello, consentendo l’accesso ai sussidi, al lavoro e all’alloggio. La stessa disponibilità di accoglienza sembra sia garantita ai disertori russi, come ha spiegato di recente la ministra dell’Interno, Nancy Faeser, in un’intervista rilasciata al Frankfurter Allgemeine Zeitung6. Anche il governo francese accoglie senza problemi migliaia di profughi ucraini, nel mentre non smette però di dare la caccia ai profughi africani, asiatici e mediorientali che tentano di attraversare il confine di Ventimiglia.

La palese schizofrenia che abita ora le politiche d’asilo degli Stati europei non è aliena alle istituzioni dell’Unione europea. Queste da anni onorano a suon di milioni di euro l’accordo con la Turchia per “liberare” l’Europa dai profughi mediorientali (soprattutto siriani), promuovono altri simili accordi con i paesi africani e poi, magicamente, quando si è trattato di garantire la protezione degli ucraini in fuga dalla guerra, hanno deciso di dare esecuzione a una norma comunitaria volutamente disapplicata da ben 21 anni, ossia l’art. 5 della direttiva 2001/55/CE, che garantisce diritti e immediata protezione temporanea in caso di afflussi massicci, senza cioè inutili irrigidimenti burocratici ed estenuanti attese per comparire davanti alle commissioni o per cercare lavoro e alloggio.

La fine del diritto d’asilo tra politiche di potenza e razzismo di Stato

Ciò che colpisce negativamente in questo schizofrenico trend delle politiche d’asilo e accoglienza in Occidente non è ovviamente il trattamento benevolo riservato ai rifugiati ucraini, ma il mancato riconoscimento dello stesso agli altri. Si sta affermando progressivamente un diritto d’asilo selettivo, su base razziale, nazionale o religiosa, che fa due pesi e due misure tra i profughi: campi, repressione e respingimenti per le popolazioni non bianche e non cristiane e “accoglienza diffusa” per i profughi bianchi e cristiani, con buona pace dello stato di diritto e della Convenzione di Ginevra. Le politiche di potenza degli Stati in tempi di crisi possono spiegare parte di quanto sta accadendo. Fu Weber a indicare per primo come non vi sia alcun nesso tra stato di diritto e interessi di potenza delle nazioni:

In ultima istanza sono lotte per la potenza anche i processi di sviluppo economico e gli interessi di potenza della nazione, dove essi sono posti in questione, sono gli interessi ultimi e decisivi, al servizio dei quali deve porsi la politica economica della nazione. […] E lo Stato nazionale […] è l’organizzazione di terrena potenza della nazione7.

Accogliere alcuni profughi e respingerne altri è espressione di una politica statuale che si pone come obiettivo prioritario la realizzazione della propria potenza nell’arena internazionale, ossia l’affermazione dei propri peculiari interessi economici e geopolitici. Nel caso specifico potrebbe coincidere con il bisogno di sostenere il governo ucraino in chiave antirussa, oppure con il posizionamento privilegiato delle aziende nazionali nella competizione internazionale per la ricostruzione dell’Ucraina nell’eventuale prossimo dopoguerra.

Le politiche di potenza delle nazioni, per realizzarsi, devono necessariamente mettere in campo il razzismo istituzionale, fondato sul trattamento differenziale e arbitrario tra gruppi e popolazioni. Così facendo mettono a nudo anche il ruolo degli Stati nella diffusione del razzismo, il quale, come scriveva Sartre, non è una semplice ideologia, ma una violenza che si autogiustifica:

Il razzismo deve farsi pratica: non è un risveglio contemplativo dei significati incisi nelle cose; è in sé una violenza che si dà la propria giustificazione: una violenza che si presenta come violenza indotta, contro-violenza e legittima difesa8.

La recente emersione della schizofrenia occidentale in materia di asilo disvela il (vecchio) carattere razzista delle politiche migratorie, tese a creare gerarchie tra popolazioni e individui. La costruzione sociale delle razze secondo un ordine gerarchico, spiega Satnam Virdee, ha sempre la funzione di mettere in moto, ovunque, “un processo di differenziazione e riordino gerarchico del proletariato globale”9. Le guerre, la violenza, le persecuzioni e i disastri ecologici oltre a produrre distruzioni e morti, formano anche tsunami di lavoratori poveri e disperati da scaraventare nei vari angoli del mercato globale del lavoro, il quale, evidentemente, li preferisce divisi e gerarchizzati.

7Max Weber (1895). Der Nationalstaat undie Volkswirtschaftpolitik. Akademische Antrittsrede, Akademische Verlagsbuchhandlung, Freiburg i.B.-Leipzig, tr. it. Lo Stato nazionale e la politica economica tedesca, in ID. Scritti politici, Roma, 1998, 17-18 (3-28).

8Jean-Paul Sartre (1960). Critique de la raison dialectique. Tome I. Théories des ensembles pratiques, Gallimard, Paris, p. 677.

9Satnam Virdee (2019). «Racialized capitalism: An account of its contested origins and consolidation». The Sociological Review, 67(1), p. 22, (3-27).