Crisi economica

L’interminabile agonia della Tunisia

La Banca Mondiale ha lanciato l’ennesimo grido d’allarme per la situazione economica della Tunisia. Ma chi è disposto ad ascoltarlo quando in programma ci sono le elezioni politiche a dicembre?

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Osservatori e consumatori per una volta sono d’accordo: la situazione sta rapidamente peggiorando. Lunedì 13 settembre, l’Istituto nazionale di statistica, che pubblica le stime della bilancia commerciale con l’estero per i primi otto mesi del 2022, ha comunicato un aumento del disavanzo di due terzi in un anno. Il giorno seguente, la Banca centrale di Tunisia ha reso noto il pesante debito estero, sempre relativo ai primi otto mesi dell’anno: 1,7 miliardi di euro. Il calcolo è presto fatto. Commercio e debito estero sono in perdita di 7 miliardi di euro, il turismo e le rimesse degli emigrati in attivo di 2,6 miliardi di euro. Mancano quindi 4,4 miliardi di euro. Per l’intero anno, i dati superano, nella migliore delle ipotesi, i 6 miliardi di euro, arrivando pericolosamente quasi il 100 per cento delle riserve di valuta estera, che oscillano, a seconda dei mesi, tra i 6,5 e i 7 miliardi di euro.

Una fuga disperata verso l’estero

Per le strade di Tunisi, la parola ricorrente in ogni conversazione è: carenza! Mancano soprattutto zucchero, latte, burro, caffè, riso, mangimi, vari pezzi di ricambio, medicinali, bibite... Quasi ogni giorno si allunga la lista dei prodotti, non solo alimentari, che non si trovano più. Fuori dalla città di Tunisi la situazione è ancora peggiore. Dalle voci che girano la colpa è dei monopoli, degli speculatori, dei trafficanti, dei sabotatori, dei contrabbandieri, dei politici, a cui si aggiunge l’ansia di molti tunisini che si dirigono sempre più verso l’Italia. Nell’ultima settimana di agosto, il 75% dei migranti bloccati dalla Guardia nazionale era di nazionalità tunisina. Gli ospedali parigini sono sommersi dalla valanga di domande di medici tunisini in cerca di lavoro, molto meno rispetto ai sempre più numerosi ingegneri che vanno all’estero.

La realtà che vive la popolazione è l’esatta traduzione del degrado dell’economia nazionale. A parte qualche rara istituzione pubblica straniera, nessuno è più disposto a prestare un dollaro alla Tunisia. Peggio ancora, i fornitori esteri chiedono sempre più spesso di essere pagati in contanti prima di spedire la merce ordinata. Il credito commerciale a breve termine sta lentamente scomparendo. La carenza di beni alimenta altre carenze. Gli allevatori non riescono più a sostenere i costi del mangime per bestiame in gran parte importato, mentre i loro animali vivono in condizioni di sofferenza. Il latte da vendere scarseggia e così per tirare avanti vendono tutto o parte del loro bestiame, riducendo ulteriormente l’offerta. Altri hanno lasciato il settore per trovare lavoro nel campo dell’edilizia o del commercio. La categoria influente dei fornai aveva fin dai tempi del protettorato francese un sistema di “compensazione” vantaggioso destinato a sfamare a buon mercato la popolazione cittadina e a sostenere gli artigiani.

Ma, con l’impennata dei prezzi del grano, lo Stato non riesce più a gestire la situazione. Gli incentivi, che passano attraverso un complesso sistema di monopoli di Stato in ogni passaggio, sommati a un prezzo al dettaglio fermo da quasi quindici anni, non coprono più i costi di produzione. Di conseguenza, i tunisini fanno fatica a trovare del pane mentre il governo spende più di un miliardo di euro in sovvenzioni. In un recente rapporto che ha destato scalpore a Tunisi1, la Banca Mondiale sostiene la necessità di un nuovo accordo più mirato, di aiuti economici diretti ai più poveri. Se ne parla da almeno vent’anni senza che ci siano sostanziali passi avanti, sotto la dittatura di Zine El-Abidine Ben Ali come dei suoi successori.

Contare sulle proprie forze?

Sembra che gli ambienti politici o mediatici stiano dando scarsa attenzione a questa discesa verso l’abisso dell’economia tunisina. Appassiona più la legge elettorale rispetto al doppio deficit di bilancio (-9,7% previsto quest’anno) e ai conti correnti con l’estero, all’inflazione (+8,6% in un anno) o al tasso di disoccupazione della popolazione attiva (18%). Di recente, quando ha ricevuto il governatore della Banca centrale per la consegna del rapporto annuale dell’Istituto che lo esortava ad accelerare i negoziati con il Fondo Monetario Internazionale (FMI), il presidente Kaïs Sayed l’ha liquidato pronunciando un panegirico sulle “risorse locali”, sulla loro ricchezza e sull’obbligo per il momento di fare affidamento sulle proprie forze prima di fare ricorso all’estero. Il messaggio è chiaro, il Raïs non ha fretta di chiudere accordi. In fondo, Tunisi finanzia da sola il suo deficit di bilancio. Le banche locali danno un importante contributo in tal senso prestando allo Stato denaro a tasso agevolato. Naturalmente, gli investitori privati sono esclusi sempre di più dal finanziamento bancario, e ciò comporta una fragilità per le imprese e la creazione di valore.

Resta il fatto che il presidente sembra tralasciare un dettaglio: la Tunisia non ha il potere di stampare i dollari o gli euro necessari per sfamare, trasportare e prendersi cura dei suoi concittadini. Dove trovarli, se non presso il Fondo Monetario Internazionale (FMI) con cui sono ufficialmente iniziate le trattative da giugno 2022? Alla fine di luglio, degli esperti del FMI hanno trascorso una settimana a Tunisi. Ufficialmente per negoziare il prestito che dovrà accompagnare il programma di riforme adottato dal governo quasi un anno fa. “Serve un’agenda chiara”, ha concluso il capomissione prima di lasciare l’aeroporto. In altre parole, serve una data per ogni riforma (stipendi pubblici, imprese di Stato, incentivi, ecc.).

L’Unione Generale Tunisina del Lavoro (UGTT), in un primo momento fortemente contraria a qualsiasi concessione sugli stipendi dell’amministrazione pubblica, ha infine siglato un accordo con il governo. Rappresenta un passo avanti verso una soluzione? Ministri e sindacalisti hanno trovato il modo “socialmente accettabile” per affrontare gli squilibri di varia natura che affliggono la sua economia, come ha suggerito il 19 luglio il capo missione, Björn Rother? A due mesi dalla visita degli esperti del FMI, stiamo ancora aspettando...

1Si veda qui il comunicato della Banca mondiale qui.