
I principali partiti di centro-sinistra italiani hanno indetto una manifestazione nazionale per Gaza il 7 giugno in piazza San Giovanni a Roma. PD, 5 Stelle e AVS1, dopo aver presentato una mozione2 in Parlamento a fine maggio, hanno deciso di impegnarsi, a più di un anno e mezzo dall’inizio del genocidio perpetrato da Israele contro il popolo palestinese, nella convocazione di questa piazza. Tuttavia, diversi aspetti di questa iniziativa sembrano confermare, fin dalla sua nascita, l’atteggiamento che ha portato al silenzio e all’indifferenza verso quanto è accaduto a Gaza in tutto questo tempo.
Se oggi i principali giornali parlano di questa manifestazione, questi stessi hanno evitato di raccontare che non si tratterebbe affatto del primo corteo nazionale organizzato in questi mesi sulla Palestina. Da ottobre 2023 sono stati organizzati sei cortei nazionali: : 28 ottobre 2023 a Roma3, 18 novembre 2023 a Bologna4, 24 febbraio 2024 a Milano5, 5 ottobre6 e 30 novembre 20247 a Roma e infine 12 aprile 20258 a Milano. Alla testa di questi si sono messe le diverse organizzazioni palestinesi presenti in Italia: gli sforzi congiunti delle associazioni, delle organizzazioni giovanili e delle realtà sociali hanno permesso a queste manifestazioni di raggiungere numeri sempre molto alti di partecipanti, nonostante il disinteresse mostrato dalle principali organizzazioni politiche e sindacali di questo Paese. Queste ultime, infatti, non hanno mai dimostrato di voler supportare tali iniziative né di dare peso al significato più ampio che hanno rappresentato.
I dati politici emersi nel corso di queste manifestazioni sono stati svariati. Innanzitutto, tutte le iniziative nascevano con un chiaro e netto schierarsi a fianco del diritto del popolo palestinese di rivendicare la propria libertà, di difendere e di lottare per essa con ogni mezzo necessario. Non si trattava quindi di una semplice richiesta di cessate il fuoco o di individuare nel governo di Netanyahu il solo antagonista. Si è sempre voluto identificare nel colonialismo israeliano l’esempio del sistema globale che si regge sull’oppressione dei popoli. Non solo: queste manifestazioni hanno dimostrato che tra le comunità migranti vi è la volontà e la forza di non scendere a compromessi sui propri diritti. Vi è la capacità di mobilitare, di diventare attori politici in una scena ormai stantia e che paga lo scotto di svolgersi in un Paese, l’Italia, che diventa un attore sempre meno influente nello scenario politico internazionale.
I giovani di queste nuove realtà hanno guidato questi sforzi sia nell’organizzazione dei cortei nazionali e locali che si sono susseguiti nelle principali città italiane, come nelle università. L’intifada studentesca ha portato nuova linfa alle università, tornate così a essere un luogo dove si fa politica. L’emergere di questi spazi nuovi, guidati da gruppi non legati alla politica tradizionale e che, anzi, rappresentano senz’altro un elemento di novità e dunque di potenziale instabilità, anziché generare interesse ha suscitato preoccupazione nelle organizzazioni politiche tradizionali. Il loro strutturarsi e rafforzarsi poteva mettere a repentaglio la posizione di tutti gli apparati della politica tradizionale, ma soprattutto rischiava di mettere in crisi i meccanismi su cui si basa lo sfruttamento coloniale occidentale. Pertanto, partiti e sindacati confederali hanno riconosciuto l’importanza di questi nuovi gruppi e delle situazioni create da essi, ma hanno visto il tutto con sospetto e timore.
La reazione al protagonismo palestinese in Italia
Per rispondere all’emergere di queste nuove situazioni gli approcci sono stati diversi, ma tutti caratterizzati dal timore che queste tendenze potessero prendere il sopravvento e minare il proprio predominio sulla politica. Il primo atteggiamento è stato quello di ignorarle. Le proteste che ogni settimana si tenevano in tutto il Paese non godevano di alcuna copertura mediatica e questo permetteva di ignorarle. Questo atteggiamento era possibile solo per chi non aveva al proprio interno una base interessata alla questione palestinese, una base che quindi non avrebbe potuto chiedere conto alla propria dirigenza e spingerla a occuparsi del tema. Per chi, invece, si trovava costretto a dimostrare alla propria base un certo interessamento alla questione palestinese, subentrava una seconda modalità di approccio. Si cercava di circoscrivere e limitare le rivendicazioni che riempivano e tutt’ora riempiono le piazze, riconducendole a vie meno problematiche e che non mettessero in discussione l’impianto generale del colonialismo sionista.
Un evidente esempio di questo viene dal modo in cui ci si è relazionati alle proteste studentesche del maggio 2024. Nicola Fratoianni, segretario di Sinistra Italiana, in un suo post su Instagram, parlando delle accampate di maggio, affermava che gli studenti non volevano “essere complici del governo criminale di Netanyahu” e per questo motivo chiedevano, tra le altre cose, “sanzioni economiche e stop agli accordi commerciali, fino a quando Israele non garantirà il rispetto del diritto internazionale”. Ancora una volta, quindi, i motivi dietro alle proteste studentesche, che erano mossi da un profondo desiderio di rimettere in discussione tutto il piano coloniale su cui si basa Israele, venivano fraintesi e ricondotti a terreni più “sicuri”.
Ancora peggiore, tuttavia, è il trattamento riservato ai palestinesi, ossia a coloro che dovrebbero essere i principali protagonisti di queste vicende. I palestinesi, pur esistendo in Italia in forze e pur essendo in grado di pensare e, soprattutto, di organizzare non una ma sei manifestazioni nazionali, pur organizzando con costanza cortei, presidi e iniziative in tutte le città italiane per la Palestina, non sono mai menzionati dai politici italiani e anzi sono ignorati da questi. Per questo motivo, nessuno dei partiti sopra menzionati ha mai aderito, se non a livello locale9, alle piazze convocate dalle organizzazioni palestinesi, né li ha mai coinvolti alla costruzione delle proprie. Anzi, spesse volte venivano promosse iniziative che si ponevano in alternativa a quelle realizzate dalle organizzazioni palestinesi, con piattaforme politiche sensibilmente più moderate10.
Un esempio di questo atteggiamento lo si ebbe in occasione della manifestazione nazionale del 24 febbraio 2024 a Milano. Essa fu organizzata dalle realtà palestinesi e dai sindacati di base. La CGIL non vi aderì, preferendo invece essere coinvolta per la stessa giornata nella mobilitazione di AssisiPaceGiusta, che chiamò a presidi contro “tutte le guerre” nelle diverse città italiane. Nella piattaforma11 di lancio si indicava “l’atroce attacco di Hamas del 7 ottobre 2023” quale momento da cui è “conseguito l’assedio della Striscia di Gaza da parte del governo israeliano”, ignorando così l’assedio a cui Gaza venne sottoposta dal 2007. Tuttavia, vedendo il successo della manifestazione nazionale di Milano, la CGIL, evidentemente temendo di perdere terreno su questo fronte, lanciò una manifestazione12 per il cessate il fuoco a Roma per il 9 marzo, che non vide il coinvolgimento delle realtà palestinesi. Similmente, il segretario della CGIL Maurizio Landini il 31 marzo 2025, anziché spingere le Camere del Lavoro ad aderire alle manifestazioni realizzate dalle realtà palestinesi (come la manifestazione nazionale che si sarebbe tenuta due settimane dopo il 12 aprile), indicava alle proprie strutture di “promuovere presidi e iniziative di mobilitazione pubblica, a partire dalla giornata di mercoledì 2 aprile, coinvolgendo comitati e associazioni locali, per denunciare quanto sta avvenendo a Gaza e in Cisgiordania”. Questa indicazione ha portato all’organizzazione di presidi e fiaccolate13, che anche in questo caso non hanno visto la partecipazione delle realtà palestinesi.
Il dato che emerge da questi esempi è che i palestinesi che si organizzano, che mobilitano, che portano avanti rivendicazioni proprie e, soprattutto, che indicano con chiarezza le responsabilità che l’Italia e la politica italiana hanno nei confronti dell’occupazione e del colonialismo sono da mettere ai margini. Riconoscere il valore delle mobilitazioni, unitamente alla consapevolezza che alla base di queste organizzazioni vi sia chi è genuinamente interessato alla questione e vede con profondo interesse l’emergere di queste nuove realtà guidate dai palestinesi, rende necessario correre ai ripari e confermare ai propri iscritti che partiti come AVS e organizzazioni come la CGIL si interessano alla causa palestinese. Ed ecco che, per ricevere la legittimazione presso il proprio elettorato sensibile al tema, anziché instaurare un dialogo con le realtà palestinesi italiane si preferisce realizzare viaggi14 in Palestina. In questo modo si evita di poter essere contestati sulle proprie posizioni, ma si può trarre legittimazione politica dall’essersi recati in Palestina. Si prende dai palestinesi ciò che si può senza dare modo a loro di esprimere le proprie posizioni e le proprie idee. Allo stesso modo, non si aderisce alle azioni politiche organizzate dalle realtà palestinesi, ma si preferisce partecipare ad iniziative come “l’ultimo giorno di Gaza” o “50.000 sudari per Gaza”, perché non implicano nessun investimento politico concreto e reale per porre fine al genocidio e all’occupazione coloniale della Palestina.
Una solidarietà vuota: quando la Palestina è senza palestinesi
Le iniziative di cui sopra, così come la manifestazione del 7 giugno, soffrono di un problema evidente. Senza rendere chiaro il legame politico, economico e sociale che lega l’Italia a Israele, senza indicare con determinazione il colonialismo quale radice del genocidio che sta vivendo il popolo palestinese, e addossando invece al solo governo Netanyahu le responsabilità di ciò, vuol dire impegnarsi in uno sforzo puramente performativo e rendere il tutto un palliativo che forse allevierà ora le sofferenze del popolo palestinese, ma che di certo non le risolve. Il riposizionamento dei partiti di centro-sinistra, che hanno deciso di scaricare il governo di Netanyahu, serve a salvare l’impianto coloniale stemperandone gli aspetti più violenti. Un ulteriore aspetto problematico è il tentativo da parte dei partiti e delle organizzazioni italiane riunitesi per la manifestazione di giugno di cogliere per sé il frutto del lavoro collettivo fatto dalle associazioni, associazioni che dal basso hanno lavorato per più di un anno e mezzo per impedire la complicità italiana con il sionismo che oggi porta avanti il genocidio in Palestina, Non coinvolgere chi è stato dietro a queste mobilitazioni, ossia le organizzazioni palestinesi, vuol dire replicare il meccanismo coloniale di marginalizzazione dei palestinesi.
Così, la Palestina e i palestinesi, quando diventano motivo di interesse della politica, rappresentano dei simboli vuoti da riempire all’occorrenza con quello che si preferisce, ma non è loro permesso di essere dei corpi vivo che esprimono le proprie aspirazioni. Ed è proprio questo che lega il genocidio che lo stato ebraico oggi conduce in Palestina a queste iniziative. Israele ambisce a svuotare la Palestina dai palestinesi e così, seppure con pratiche diverse, la teoria è la stessa perché anche per i partiti promotori del 7 giugno la Palestina va bene solo quando è senza palestinesi, nel timore che questi possano opporsi al loro modo di far politica.
Riconoscere le proprie lacune e lo sguardo coloniale che connota l’approccio occidentale alla questione palestinese e contrastare questa impostazione diventa l’unico modo per dimostrare solidarietà, ridando dignità e reale autodeterminazione ai palestinesi. Ed è per questo motivo che dare centralità alle realtà palestinesi che hanno animato le mobilitazioni di questi anni diventa fondamentale come pratica reale e concreta di decolonialità e di solidarietà. Accettare le critiche, le istanze e le aspirazioni nazionali palestinesi deve essere un aspetto centrale della manifestazione, pena il reiterare i meccanismi coloniali che hanno connotato finora l’approccio di chi la propone.
3https://www.ansa.it/lazio/notizie/2023/10/28/palestina-libera-partito-il-corteo-a-roma_28f07dce-332f-49ec-a5cc-374288b576cf.html
5https://tg.la7.it/cronaca/migliaia-in-piazza-milano-corteo-pro-palestina-sagome-dei-ministri-mani-insanguinate-24-02-2024-206970
6https://www.romatoday.it/attualita/video-manifestazione-pro-palestina-scontri-polizia-5-ottobre.html
7https://www.romatoday.it/cronaca/manifestazione-palestina-roma-oggi-aggiornamenti-30-novembre-2024.html
10Se si prende come esempio Milano, dal 7 ottobre a oggi le realtà palestinesi hanno promosso manifestazioni a cui, però, le organizzazioni di centro-sinistra non hanno partecipato, preferendo invece promuovere iniziative come quella del 13 ottobre 2023, che vide “il presidio indetto da Anpi, altre associazioni e partiti per condannare il terrorismo di Hamas, chiedere la liberazione degli ostaggi israeliani di Gaza e la fine della carneficina in atto”.
11https://www.cgil.it/ci-occupiamo-di/pace-e-disarmo/24-febbraio-2024-giornata-di-mobilitazione-nelle-citta-italiane-per-il-cessate-il-fuoco-in-palestina-e-ucraina-km5wkroh
12https://www.ansa.it/sito/notizie/topnews/2024/02/27/cgil-il-9-marzo-in-piazza-a-roma-per-il-cessate-il-fuoco_90fed848-ed89-4f4a-a976-502ba84e4d69.html