Massimo Campanini e l’alternativa islamica

Fabio Merone ricostruisce un’appassionata biografia intellettuale dello studioso Massimo Campanini, recentemente scomparso, con particolare attenzione alla sua lettura del rapporto tra Islam e politica.

Massimo Campanini (1954-2020)

Massimo Campanini, scomparso prematuramente nell’ottobre 2020, è stato uno dei più importanti esperti italiani di Islam degli ultimi decenni. Di formazione filosofica medievalista, le sue opere hanno spaziato dalla storia contemporanea del mondo arabo all’ermeneutica del Corano. In particolare, si è interessato al tema del rapporto tra Islam e politica, analizzato attraverso il prisma della teologia politica. In questo articolo in sua memoria, si è deciso di dare una lettura del suo pensiero mettendo in evidenza il progetto politico islamico, che lo studioso aveva ritenuto, almeno fino al 2013, un serio tentativo post-moderno di elaborazione di un modello politico alternativo a quello occidentale. Si porrà in evidenza il percorso attraverso cui, secondo Campanini, il “politico” nell’Islam emerge storicamente come dimensione autonoma, per poi passare all’analisi della “alternativa islamica”. Infine, saranno fatte alcune considerazioni critiche, per concludere su quello che appare il maggiore contributo del pensiero dello studioso.

Il politico nell’Islam

Per Campanini, il concetto di «politico» nell’Islam ha una dimensione autonoma, benché non scindibile dalla religione in senso proprio. La concezione politica teologica dell’Islam si sviluppa più come conseguenza del processo storico di espansione della comunità dei credenti (umma) che come specifico atto fondativo della missione profetica. Mentre la prima comunità musulmana di Medina è organizzata «profanamente» come alleanza tribale (come si evince dalla Costituzione di Medina), il tema politico teologico si sviluppa solo come conseguenza dei conflitti interni alla comunità avvenuti dopo la morte del suo fondatore. La legittimità del potere dell’imam (o califfo), i suoi doveri e le responsabilità nei confronti della comunità, nonché il diritto del musulmano a reagire contro un’autorità ingiusta: furono questi i temi fondativi che si dibatterono allorquando il conflitto politico venne man mano elaborato in chiave religiosa-teologica. Tuttavia, nell’Islam, la dottrina si risolve in una ortoprassi, dove la giurispudenza (la normativa etico e sociale) è più importante della teologia. Inoltre, a differenza del Cristianesimo, non esiste una mediazione terrena e istituzionale tra il divino e il fedele come nella Chiesa. L’uomo è lasciato solo di fronte a un Dio profondamente trascendentale. Ciò ha come conseguenza che l’universalismo dell’Islam si esprime nel concetto unificato della umma e del califfato e che la comunità è teoricamente libera di esprimere un suo sistema politico senza costrizioni istituzionali, dovuti dalla presenza di una istituzione che incarna la trascendenza sulla terra. La teoria politico-teologica nell’Islam si sviluppa nel periodo classico, tra il IX e l’XI secolo, in parallelo alla formazione della dottrina. Influenzata dalla sistematizzazione del diritto, essa si basa su quella che Campanini chiama una “utopia retrospettiva”. L’utopia diventa un concetto chiave nel tentativo dello studioso di ricostruire una teologia politica adeguata alla comprensione del fenomeno contemporaneo dell’islamismo. L’utopia, alla maniera di Ernst Bloch, è il principio speranza, la prospettiva ideale verso cui tendere. La particolarità della teologia politica islamica consiste nel legare l’utopia al passato idealizzato di Medina, del profeta Muhammad e del governo dei primi quattro califfi “Ben guidati”. Dopo la sistematizzazione della dottrina (e soprattutto della giurisprudenza) in epoca classica, l’ideale dei pii antenati (al-salaf al-salih) diventa la base di una teologia politica propriamente islamica, il cui progetto ideologico è il ristabilimento della comunità originaria. Si tratta dunque di una utopia che guarda all’indietro, di un progetto teso alla realizzazione della società “giusta”, fissato idealmente in una realtà che si è già realizzata anziché nel suo divenire. Siffatta concezione rappresenta la base del progetto “rivoluzionario” dei movimenti islamisti.

L’alternativa islamica

Massimo Campanini si è confrontato direttamente con autori quali Antonio Gramsci, ‘Ali Shariati e Hasan Hanafi. Da quest’ultimo prende in prestito il concetto del carattere potenzialmente politico della assoluta trascendenza di Dio perchè ciò “fa si’ che l’uomo debba scegliere e operare in piena autonomia”. Da Shariati e Gramsci prende in prestito il concetto di politica come praxis umana. L’Islam infatti è una ideologia totalizzante (e non totalitaria), “una Weltanshauung globale dove la dimensione del sacro ha necessariamente un effetto sulla dimensione politica e sociale degli esseri umani”.1 Essa è un’ideologia a due livelli: da un lato rappresenta l’ideologia della comunità, una visione del mondo attraverso la quale la comunità si identifica; dall’altro, è una ideologia di impegno pratico e di trasformazione sociale, una “ideologia della prassi”. Il pensiero di Campanini è fortemente ispirato quindi dall’idea di una teologia politica della liberazione dove l’adesione “ideologica” all’Islam porta il musulmano ad agire attivamente per la trasformazione del mondo. Il progetto è, secondo il nostro autore, equiparabile ad una versione islamica del contratto sociale, una democrazia senza reverenze nei confronti del modello occidentale. Campanini ha dedicato almeno quattro importanti volumi sul tema tra il 1999 e il 2019.2 In controcorrente rispetto al pensiero dominante di quegli anni, egli ha prodotto una riflessione originale cercando di dimostrare “la modernità o addirittura la contemporaneità delle rivendicazioni dello stato islamico, in cui religione e politica trovavano una convergenza che innovava il pensiero dell’epoca classica”. Lo studioso ha insistito sul fatto che “la sottovalutazione e la banalizzazione dell’islamismo sono un rischio che non ci si puo’ permettere di correre (...). A monte del radicalismo vi è una riflessione giuridica e politica non sempre superficiale”. Ma nel volume La politica nell’Islam (2019), appariva disilluso, Riteneva che le derive terroristiche delle frange radicali avessero spezzato l’esperimento di costruire una “alternativa islamica”, tesi che aveva invece proposto nell’opera del 2012 dall’omonimo titolo. “I Fratelli Musulmani, Sayyed Qutb, lo sciismo radicale e la teologia di liberazione di Shariati e Hanafi hanno prefigurato una alternativa islamica che sfortunatamente è stata negata dal radicalismo movimentista e dalle sue derive terroriste. L’alternativa islamica mirava infatti non a distruggere, ma a costruire, era un nuovo potere costituente, basato su una lettura aggiornata e modernizzata delle basi concettuali dell’Islam, che ha alimentato l’elaborazione di una riflessione politologica originale”, conclude Campanini.3

Rivoluzione o reazione

Il dilemma di Campanini, e di altri che osservano con appassionato interesse l’originalità del fenomeno politico nell’Islam, è che il progetto islamico è rivoluzionario e conservatore allo stesso tempo. Campanini era stato audace nel comprendere che la dimensione politica dell’Islam si basa su una categoria moderna, dove l’ideologia (gramscianamente intesa) è la rappresentazione critica della realtà e la possibilità di trasformarla attraverso l’organizzazione politica. Tuttavia, se lideologia è trasformatrice, essa è anche conservatrice: mentre contesta lo status quo, ripropone allo stesso tempo un modello di società già realizzato e fissato nel passato (l’ “utopia retrospettiva”). L’utopia islamica diventa dunque metastorica: vagheggia un modello ideale di società, cristallizzato nel passato. La “soggettività” dell’Islam – per dirla con Campanini- dovrebbe invece operare come una ideologia di trasformazione del reale, affinché il principio della giustizia si affermi attraverso la proclamazione del tawhid (unicità di Dio) contro gli idoli (consumismo, tirannia, ingiustizia). Ma la teologia della liberazione resta un modello intellettuale che non ha presa sulle masse se non attraverso il prisma del salafismo, riproduzione del modello dottrinario purificato del revival religioso. È solo dalla riproduzione pratica del modello di vita del Profeta e delle prime generazioni di musulmani, che le masse hanno trovato ispirazione per l’azione pratica. Questo modello di militantismo etico, si basa sul principio coranico dell’“ordinare il bene e proibire il male” (Corano III: 104-110). Realizzato da gruppi militanti, esso è guidato solitamente da un leader religioso carismatico, che trascina con sè i militanti in una azione di riforma religiosa e sociale ad imitazione dell’Islam delle origini. Esiste quindi una teologia islamica della prassi politica, che Campanini aveva intuito ma non sviluppato. Per questi motivi, probabilmente, si era trovato in difficoltà non riuscendo a conciliare “il terrorismo islamico” con quello che aveva creduto essere un progetto alternativo di società. In altre parole, Campanini aveva cercato il progetto islamico (post-moderno e alternativo) in filosofi come Hasan Hanafi e ‘Ali Shariati, intellettuali con nessuna presa sulle masse. È forse più giusto leggere nei movimenti sociali islamisti una forma contemporanea di politica radicale (e rivoluzionaria), ma senza farne la base per una prospettiva alternativa di società post-moderna. L’islamismo è un fenomeno che appartiene alla dinamica propria delle società musulmane che stanno cercando una loro via nel mondo contemporaneo. Forse ciò produrrà un modello di organizzazione politica alternativo o forse troverà una soluzione nella secolarizzazione liberale (come è accaduto nell’Europa Occidentale nel XVII secolo). In questo senso, appare interessante la proposta che fa Campanini di usare le categorie della teologia politica per capire la dimensione del politico dentro il religioso (l’Islam) ed eventualmente discernere la sua evoluzione nel mondo della politica contemporanea. La teologia politica è stato un leit motiv della produzione scientifica dello studioso, affrontata definitivamente ed in in maniera sistematica nelle sue ultime opere, inclusa una, postuma, di prossima pubblicazione.4

Un intellettuale gramsciano

Questo breve contributo sul pensiero del professor Campanini è un omaggio all’intellettuale e all’uomo che ha tanto amato i suoi studi e che è stato un punto di riferimento essenziale per le ultime generazioni di studiosi e studenti italiani del mondo musulmano. Per lo scrivente, il suo pensiero è stato ed è fonte di ispirazione continua. In questo articolo è stato sottolineato soprattutto l’approccio di Campanini riguardo al rapporto tra il politico e il religioso nell’Islam, cercando di evidenziare la ricchezza e la profondità di un pensiero che è stato - ed è tuttora- di stimolo all’ azione politica e sociale. Abbiamo visto anche come l’“alternativa islamica” è stata screditata dal radicalismo jihadista e dalle sue derive violente e terroriste. Ma l’aspetto più importante resta il fatto che, con la sua ricerca pluridecennale, Campanini ci abbia condotti nei meandri del pensiero islamico - che ci ha spinto a considerare con serietà ed attenzione- ed a scoprirne la sua originalità. In particolare, Campanini è stato interessato ad applicare la filosofia al pensiero politico islamico. La sua ultima opera, Islamic Political Theology, corona in questo senso il suo sforzo di sistematizzare una teoria del “politico” nell’Islam. Con questo contributo si è voluto celebrare l’impegno appassionato dello studioso alla causa dell’Islam e degli studi islamici in Italia. Campanini era una mente viva, umile, disponibile e militante: un vero intellettuale gramsciano.

1M. Campanini, Ideologia e politica nell’Islam, Il Mulino, 2008, p.7.

2Islam e politica (1999), Ideologia e politica nell’Islam (2008), L’alternativa islamica (2012) e La politica nell’Islam (2019)

3Le ultime tre citazioni sono tratte da: M. Campanini, La politica nell’Islam. Una interpretazione, Il Mulino, 2019.

4M. Campanini & M. Di Donato (a cura di), Islamic Political Theology, Rowman & Littlefield.