Ritrovare il pensiero rivoluzionario gramsciano nei paesi arabi

Soprattutto dopo il 2011, il pensiero di Antonio Gramsci rappresenta sempre di più, anche nel mondo arabo, una fonte di ispirazione per ripensare criticamente il ruolo degli intellettuali e dei movimenti politici, ma anche per interpretare i cambiamenti in corso.

Un graffito dell’artista italiano Ozmo raffigurante Antonio Gramsci copre un muro a Roma (31 marzo 2014)
Alberto Pizzoli/AFP

Le traduzioni di scritti gramsciani sono diffuse da anni in diversi paesi arabi, per quanto frammentarie o anche imprecise, specie nel passato. In Tunisia – come altrove - la traduzione in arabo di una selezione dei Quaderni del carcere di Antonio Gramsci circola in formato elettronico tra attivisti, ricercatori e curiosi o appassionati. Al Cairo, in piazza Tahrir, nel 2011 si vedevano manifestanti, anche di tendenze politiche molto diverse tra loro, leggere stralci dei Quaderni.

A breve il pubblico arabofono vedrà sul canale al Jazeera Arabic un documentario sulla vita di Gramsci che il produttore turco Mahmoud Abdulaziz sta realizzando per la serie “Out of Text” con la casa di produzione Tamam Film, che dal 2012 trasmette dei documentari su “pensatori, scrittori e filosofi fuori dall’ordinario i cui libri sono stati osteggiati. Autori che hanno sofferto molto nella loro vita ma hanno lasciato tracce importanti, come Gramsci”, ma anche Machiavelli e Platone, su cui ha già lavorato Abdulaziz.

Sul sito internet di al Jazeera Media Institute, in un recente articolo in inglese sul giornalismo nel mondo arabo, si sottolinea la necessità di essere giornalisti “organici”, nell’accezione gramsciana, di svolgere cioè il ruolo e la funzione di intellettuali nei paesi arabi senza dover essere succubi dell’egemonia culturale imposta dall’Occidente anche nel mondo dell’informazione, attraverso finanziamenti e modelli narrativi esogeni.1

Il tipo di giornalismo che Gramsci incarnava, insieme alla sua funzione di intellettuale e politico rivoluzionario, restano esempi formativi e fonte d’ispirazione per intere generazioni che vogliono pensare criticamente – e dunque trasformare – le proprie esistenze, e ciò avviene sempre di più anche nei paesi del cosiddetto «Sud globale». Prendendo spunto da questi esempi di circolazione del pensiero gramsciano, c’è comunque da chiedersi quanto e come l’intellettuale e politico sardo sia effettivamente conosciuto e utilizzato tra il pubblico di lettori e lettrici, tra attivisti e militanti, tra politici e intellettuali nei paesi arabi.

Continue e rinnovate interpretazioni degli scritti gramsciani fanno proliferare studi e riflessioni a livello mondiale. La mole di letteratura di seconda mano è considerevole, insieme alle traduzioni di scritti selezionati soprattutto dall’inglese, e che si applicano ai contesti internazionali e locali più diversi. Anche i paesi arabi sono coinvolti in questi utilizzi plurali, sia da parte di studiose.i e/o militanti che da parte di osservatori esterni che analizzano i contesti di riferimento col lessico gramsciano.

Nel 2017 usciva il volume collettivo Gramsci nel mondo arabo (con traduzioni in italiano di vari autori arabi),2 nei cui saggi introduttivi ci si interroga sul come analizzare le società del cosiddetto mondo arabo, e con quali chiavi interpretative. Molti studiose e studiosi hanno cercato nell’islam una tra le più frequenti spiegazioni nel valutare lo sviluppo delle diverse società, considerandolo spesso come un elemento deterministico, o la causa perenne, o al contrario la soluzione dei problemi che incombono su questa porzione e rappresentazione di mondo. Meno frequente, anche se ben presente, è invece la lettura dei problemi e delle crisi dei paesi arabi che si riferisce al vasto fronte del socialismo o più genericamente della sinistra, avvalendosi del pensiero marxista e gramsciano.

Lo dimostrava già Maxime Rodinson nel 1966 in Islam et capitalisme,3 smontando quel pregiudizio che attribuisce alla religione islamica le cause del “ritardo” delle società arabe e musulmane in senso capitalistico e moderno. Un testo che fortunatamente è stato riedito negli scorsi anni riproponendo un tema su cui riflettere nuovamente alla luce dell’ultimo decennio di rivolte.

Contestualmente, la lettura marxista e gramsciana non può non riferirsi al peso ancora presente della colonizzazione e dell’imperialismo sui processi di formazione e subalternizzazione delle nazioni arabe - dei rapporti coloniali e postcoloniali - e sui problemi anche recenti relativi alle diseguaglianze generate da modelli di sviluppo neoliberista, su scala nazionale e internazionale.

Il 1989 ha poi imposto una svolta su molti fronti per le sinistre di tutto il mondo, influendo anche sulla divulgazione degli scritti gramsciani, con dei convegni che proprio in quegli anni sono stati organizzati a Tunisi («Gramsci dans le monde arabe», nel 1989) e al Cairo («La questione della società civile araba alla luce delle tesi di Gramsci», nel 1990, di cui esiste la pubblicazione degli atti in arabo). Di nuovo a Tunisi nel 2017 si è tenuto un incontro intitolato “Le retour de Gramsci”, dove si è dibattuto su modi e tempi di un “ritorno” nella prassi teorica e politica, sempre che di ritorno si possa parlare.

Il pensiero gramsciano non è un passepartout valido per ogni fase di transizione, né mero testo da leggere con ortodossa osservanza filologica a discapito del contesto storico e sociale, ma è figlio del suo tempo, e il tempo di crisi (ininterrotte) che viviamo interpella le sue feconde categorie teorico-politiche.

Un secolo fa Gramsci ci parlava della crisi dell’egemonia, sempre attuale, cioè dello “Stato nel suo complesso” [Q 13, (23)], quando la classe dirigente fallisce politicamente ma cerca di produrre consenso anche con la forza. Oppure fallisce perché le masse si attivano, insorgono, rivendicano diritti, in tal modo mettono in pratica una “rivoluzione”, un cambiamento.

Capire la portata, i processi e gli esiti rivoluzionari solleva molte questioni e interrogativi che inevitabilmente ci portano ad adoperare un lessico noto e quasi scontato: quale tipo di egemonia era ed è diffusa nei paesi interessati dalle rivolte popolari? Quale ruolo hanno intellettuali, società civile, subalterni?

Questi concetti si legano strutturalmente e dialetticamente tra loro a comporre il vocabolario gramsciano, da cui si tenta di cogliere anzitutto un’indicazione di metodo e linguaggio per orientare riflessioni e pratiche politiche.

L’onda rivoluzionaria del 2011 e il rinnovato interesse per Gramsci

L’interesse nei paesi MENA (Medio Oriente e Nord Africa) verso il pensiero politico di Antonio Gramsci si amplifica in particolare nella fase successiva alle rivolte del 2011, ispirando una moltiplicazione di studi e pubblicazioni di autori arabi e non arabi che si occupano di Medio Oriente. Eppure, come già detto, la correlazione con il pubblico arabo/arabofono non è automatica, ma mediata da traduzioni di traduzioni e prospettive differenti.

Diversi paesi arabi vivono oggi esperienze di radicalizzazione delle lotte civili e politiche, acuite come altrove durante tutti gli anni Duemila ed esplose in particolare nel 2011. Dopo alcuni anni di apparente riflusso, tra il 2018 e il 2019 sono riesplose le rivolte: proteste di intere generazioni, soprattutto di giovani, che contestano la gestione di una crisi organica, economica e sociale, sempre più profonda. Una nuova ondata rivoluzionaria ha coinvolto non solo i paesi che per primi si sono sollevati contro i rispettivi regimi, come Tunisia, Egitto, Libia e Siria, ma negli ultimi anni soprattutto Iraq, Libano, Algeria, Sudan, sempre con percorsi ed esiti diversificati e a volte tragici.

L’attuale pandemia ha solo parzialmente interrotto le proteste. Nel marzo 2021 hanno colpito le immagini di tanti giovani nuovamente riuniti nelle strade siriane o algerine, a scandire quello slogan che sentiamo ormai da oltre 10 anni: Al-sha‘b yurid isqat al-nizam, il popolo vuole la caduta del sistema. Una richiesta inascoltata ma che ci parla della resistenza diffusa capillarmente e incessantemente, nonostante i fallimenti apparenti o le etichette attribuite di “rivoluzioni mancate”. Perché gli obiettivi della rivoluzione erano – e restano - anzitutto pane, libertà, e giustizia sociale.

Resta insomma sempre possibile un’attività politica trasformativa, che viene riprodotta a livello “molecolare”, quotidiano, soggettivo e collettivo. Gramsci scriveva nei suoi quaderni:

«Quando poi nascono fatti nuovi che rovesciano la situazione, si pongono delle domande vane, o per lo meno manca il documento del come si è preparato il mutamento ‘molecolarmente’, finché è esploso nel mutamento» [Q 14 (I)].

La resistenza molecolare sarà forse quella che permetterà un salto di dimensione nel cambiamento ricercato, dalla più piccola unità al livello più esteso di consapevolezza storica del proprio ruolo e posto in società, nel sistema statale come economico. E ciò si realizza materialmente, sul terreno delle lotte e grazie ai loro effetti.

Gramsci parla del divenire storico della persona, mai mero subalterno, mero oggetto: “ecco perché occorre sempre dimostrare la futilità inetta del determinismo meccanico, del fatalismo passivo...” [Q 8, (205)]. Il passaggio all’attività di ampie masse, che ha stravolto e sorpreso per la sua dirompenza, ha posto nuovi interrogativi all’indomani del rovesciamento dei regimi, o perlomeno della loro facciata, sull’esito concretamente rivoluzionario. Succedeva un secolo fa e succede ancora oggi. Molte aspettative sono state disilluse e si reitera l’idea del determinismo fatale con cui schiacciare le masse subalterne. Eppure anche il “sistema” viene intaccato, come paradossalmente dimostra l’uso della forza e la repressione del dissenso da parte di chi non può godere di un consenso popolare.

In questo alveo dovrebbe inserirsi la funzione dell’intellettuale e del partito politico (se non fosse ormai screditato) quale intellettuale collettivo. È avvertito come necessario da molte voci e da molti anni il ruolo di figure intellettuali operative, organiche alle classi subalterne e non invece al potere, e in contatto con la società reale. Se la classe di intellettuali esistente è percepita come troppo debole, o compromessa, o inesistente, si continua comunque a ricercare un suo ruolo nella società. Prima del suo assassinio, Mahdi ‘Amel (1936-1987), soprannominato talvolta “il Gramsci arabo”, girava il Libano per parlare alla gente comune di marxismo, liberazione, rivoluzione. Simili esempi di “connessione sentimentale” tra intellettuali e popolo-nazione di cui scriveva Gramsci, sono lontani dalla praxis politica dei più, e ciò probabilmente alimenta la disgregazione delle masse in rivolta, ne frena la strutturazione in fronte comune.

La funzione di direzione intellettuale e morale dovrebbe concretizzarsi in una critica effettiva di discorsi disfattisti e anti-rivoluzionari su cui spesso insistono i regimi “moderati” che temono la vittoria delle masse,4 compito che coinvolge la funzione di direzione dell’intellettuale. La possibilità della resistenza esiste e continuerà a esistere, nonostante le forme di oppressione in atto, nonostante i traumi di pesanti sconfitte, come la guerra del 1967, come le contro-rivoluzioni post-2011, come la legge del capitale.

La traducibilità di linguaggi e pratiche politiche

Alla capacità di collegare questa serie di fatti storici del passato e di oggi, di inquadrarli nella replicazione dei processi di subalternizzazione continuamente attuati dai regimi sui propri cittadini così come dagli stati coloniali sugli stessi regimi - che all’occasione sono più che digeribili partner commerciali entro configurazioni geopolitiche poco mutevoli -, fa eco la capacità di resistenza entro una configurazione così pressante. Le relazioni egemoniche e di dominio necessitano di forme di subalternità per potersi mantenere e giustificare.

Come uscirne? Il lessico teorico e operativo gramsciano è utile e utilizzabile in senso trasformativo? Nonostante la benvenuta circolazione delle riflessioni gramsciane sul e nel mondo arabo, resta da approfondire la misura della ricezione e dell’elaborazione di idee e pratiche da parte del pubblico arabofono, anche se distanti dal Gramsci originario poiché tradurre Gramsci significa farlo viaggiare nel tempo e nello spazio e poterne attualizzare pensiero e azione.

Il viaggio iniziato dai primi studiosi arabi dell’intellettuale sardo negli anni Settanta in Libano, Egitto e Tunisia soprattutto, da autori come Anouar Abdelmalek, Tahar Labib, Faysal Darraj, Ali el-Kenz, Edward Said, e Fawwaz Trabulsi, è proseguito sino ai nostri giorni con le nuove generazioni di studiosi, soprattutto della diaspora araba e che sempre meno o solo in parte scrivono in arabo, sia per il peso delle lingue europee e dell’impostazione prevalentemente eurocentrica nella produzione accademica internazionale, sia anche per raggiungere un auditorio più vasto con cui dialogare.

Delle articolazioni interessanti coinvolgono accademici, attivisti, lavoratori e lavoratrici, gruppi sociali subalterni e società civile, diaspora che si sposta da Sud verso Nord, internet e social media, mezzi e moltitudini che possono – si auspica – spingere l’interazione tra pensieri critici e comprensione dialettica. In un momento in cui il gramscismo si diffonde capillarmente, dopo che biografia e scritti sono stati progressivamente sganciati dal partito e spesso perfino dal comunismo, dunque dalla politica tout court per alcuni, Gramsci ritorna da molteplici angoli visuali. Paradossalmente è proprio questo il momento di recuperare l’uomo politico, la praxis, l’azione e l’etica richieste da quella riforma intellettuale e morale che con lui e dopo di lui si continua a volere pur nel forte pessimismo, ovvero realismo, della ragione.

2Patrizia Manduchi, Alessandra Marchi, Giuseppe Vacca (a cura di), Studi gramsciani nel mondo. Gramsci nel mondo arabo, edizioni Il Mulino, 2017

3Pubblicato in italiano da Einaudi

4Tahrir Hamdi, “The Arab Intellectual and the Present Moment”, Arab Studies Quarterly, Vol. 41, n.1, (2019), pp. 59-77