Siria, una nuova stagione politica?

Stefano Ravagnan, inviato speciale del ministero degli Esteri per la Siria, è stato nominato nuovo ambasciatore italiano a Damasco. Dovrebbe assumere l’incarico a breve, stando a quanto dichiarato alla Reuters dal ministro degli Esteri Antonio Tajani. A dodici anni dalla chiusura delle relazioni diplomatiche tra Roma e Damasco, a seguito della violenta repressione scatenata dal governo di Bashar al Assad contro i manifestanti pacifici anti-governativi, l’iniziativa italiana segna l’inizio di una nuova stagione nelle relazioni bilaterali.

L'immagine mostra una cabina di polizia del traffico situata in una strada. In secondo piano, c'è un grande manifesto che ritrae un uomo che saluta, con il testo in arabo e italiano che dice "I Believe in Syria". La scena è animata ma appare tranquilla, con poche auto visibili e un'illuminazione chiara. Il contrasto tra la cabina di polizia e il manifesto può suggerire elementi di sicurezza e comunicazione politica.
Damasco, Siria. Gabbiotto della polizia nel centro di Damasco. Bashar Hafez al-Assad è il presidente della Repubblica araba siriana dal 2000.
Wikimedia Commons

L’Italia è il primo Paese dell’Unione Europea, del G7 e della Nato a intraprendere una simile iniziativa, mentre già da tempo i rapporti tra il paese mediorientale e la Lega Araba si erano risanati. Il 7 maggio del 2023, infatti, la Siria era stata riammessa nella Lega, come voluto dai ventidue membri, anche se non tutti inizialmente erano dello stesso avviso. A spingere maggiormente per il ritorno di Damasco al tavolo dei negoziati è stata l’Arabia Saudita.

La visita del ministro degli Esteri Farhan al Saud in Siria, il 18 aprile 2023, dopo dieci anni di gelo, ha segnato il primo passo di un riavvicinamento storico. Gradualmente tutti i paesi arabi hanno ripreso il dialogo con Bashar al Assad, compreso il Qatar, che era tra i più ostili alla riapertura dei negoziati, sottolineando l’urgenza di porre fine alla guerra civile e di contrastare l’espansione del narcotraffico.

Il processo di normalizzazione ha avuto un’accelerazione dopo il terremoto del 6 febbraio 2022 che ha colpito la Siria del nord-ovest e la Turchia meridionale, provocando migliaia di vittime anche tra i profughi e gli sfollati siriani. L’urgenza di aiuti umanitari e della gestione dei soccorsi ha spinto le cancellerie arabe e Ankara a riaprire finestre di dialogo col regime di Damasco, anziché coinvolgere altri attori.

Strategie internazionali

Per l’Italia, la Siria non rappresenta un partner economico di rilievo, visto che Damasco rappresenta solo lo 0,2% dell’intero scambio commerciale italiano. Gli interessi sono da ricercarsi piuttosto in ragioni politiche e strategiche. Una delle motivazioni che spinge l’Italia ad accelerare con la ripresa delle relazioni bilaterali con la Siria, infatti, è la volontà dell’attuale governo di spingere l’occidente ad avere nuovamente un ruolo guida in Medio Oriente, e non lasciare campo libero a Russia, Iran e Turchia. La chiusura delle ambasciate europee e americana e le sanzioni economiche imposte al regime di Damasco hanno di fatto ulteriormente agevolato l’ascesa dell’influenza russa nel Paese mediorientale. Siria e Russia hanno forti relazioni, politiche ed economiche, già dai tempi di Assad padre.

Il Paese governato da Putin resta il principale fornitore di armi alla Siria, che da anni ha messo a disposizione le basi navali militari di Tartus e Latakia, fornendo così a Mosca uno sbocco nel cuore del Mediterraneo. Inoltre, la mediazione russa per favorire un riavvicinamento tra Damasco e Ankara viene vista come un’ulteriore causa dell’indebolimento occidentale nell’area. Secondo i dati del Ministero della Difesa russo, dal 2015 Mosca ha impiegato in Siria oltre 63.000 uomini. Mosca sarebbe responsabile di oltre l’80% delle forniture militari a Damasco, secondo una ricerca del Sipri- Stockholm International Peace Research Institute.

Oltre alle ragioni di carattere strategico, ci sarebbero anche ragioni “umanitarie”. Secondo Tajani “bisogna capire cosa fare per non lasciare a russi e altri il monopolio della situazione”. Tajani ha aggiunto che “in Siria ha origine la più grande crisi di profughi del mondo, avvertiamo inevitabilmente questi effetti ben oltre il Medio Oriente, anche in Italia e nel resto d’Europa: dobbiamo quindi aggiornare l’approccio dell’Unione Europea, adattarsi all’evolversi della situazione ed è per questo motivo che ho richiesto una maggiore attenzione dell’Unione nei confronti della Siria”. Prima della rivoluzione pacifica popolare del marzo 2011, a cui è seguita la sanguinosa repressione da parte del regime di Damasco, in Siria vivevano poco più di 23 milioni di abitanti.

Oggi, secondo i dati dell’Onu, circa 7,5 milioni di siriani sono sfollati interni e altrettanti vivono fuori dalla Siria, nella condizione di profughi. In pratica solo un siriano su tre vive ancora nella sua casa. Buona parte del paese è devastata, con interi quartieri residenziali, ospedali, scuole e siti archeologici distrutti dai bombardamenti. Secondo la stessa fonte, oltre il 90% dei siriani hanno bisogno di aiuti umanitari. Il crollo della lira siriana (il cambio dollaro – lira è 1 a 13,001) ha ulteriormente penalizzato l’economia locale, già tanto segnata da anni di crisi e distruzione.

“Dopo 13 anni dobbiamo aggiornare l’approccio dell’UE e adattarlo all’evolversi della situazione”, ha dichiarato Antonio Tajani.

Il nostro obiettivo è una politica più pragmatica e proattiva per aumentare l’efficacia della nostra assistenza umanitaria e per creare le condizioni per il ritorno sicuro, volontario e dignitoso dei rifugiati siriani (…) in osservanza degli standard dell’Unhcr. Nessun compromesso su democrazia, inclusione, libertà fondamentali e diritti umani; nessuno intende dimenticare le gravissime responsabilità del regime di Assad verso il suo popolo né la sua vicinanza a Paesi a noi ostili, ma proprio per questo dobbiamo rilanciare un dialogo coi governanti di Damasco e con l’opposizione sostenendo gli sforzi dell’Inviato speciale delle Nazioni Unite, Geir O. Pedersen.

I rapporti tra Roma e Damasco hanno conosciuto, nel tempo, alcuni cambiamenti. Ad agosto del 2011, a pochi mesi dall’inizio della violenta repressione del governo siriano contro i civili in piazza, il ministro degli esteri Franco Frattini ha richiamato l’ambasciatore italiano a Damasco Achille Amerio, invitando le altre cancellerie europee a intraprendere iniziative simili.

A febbraio del 2013 l’ambasciata siriana a Roma veniva chiusa e lo staff diplomatico tornava in patria. Tuttavia, nel tempo ci sono stati significativi segnali di vicinanza e sostegno da parte di certi ambienti politici italiani rispetto al regime di Damasco. Da un lato le forze di estrema destra, dall’altro le forze di estrema sinistra. I cosiddetti “rossobruni”, divisi su tante questioni di politica interna, si sono trovati concordi nel sostenere Assad in funzione anti-imperialista e anti-islamica al contempo.

Diverse delegazioni politiche di estrema destra sono state ricevute negli anni a Damasco, ma la vicenda più significativa resta quella della visita nel 2018 di Ali Mamluk, capo del Consiglio di sicurezza nazionale in Siria e capo dell’Intelligence dal 2005 al 2012, a Roma. Su invito dell’allora ministro dell’Interno Marco Minniti e del capo dell’intelligence Alberto Manenti, Mamluk era arrivato nella capitale in totale spregio delle sanzioni dell’Unione Europea contro di lui.

All’epoca, diverse Ong avevano chiesto all’Unione Europea di avviare un’indagine per capire come mai una figura di spicco del regime di Damasco, tra l’altro indagata per crimini contro l’umanità, avesse potuto fare indisturbato una visita in Italia.

Questi atteggiamenti, ora culminati nella decisione di rimandare un ambasciatore in Italia, generano un enorme contrasto con quelli degli alleati occidentali.

Dal 2011 la Siria è sottoposta a sanzioni sia da parte dell’Unione Europea, rinnovate fino al 2025, sia da parte degli Stati Uniti. Nel 2020 l’amministrazione Trump aveva promosso il Caesar Act, che sanzionava il governo di Damasco, incluso lo stesso Assad, e introduceva provvedimenti contro singoli individui e società che lo sostengono economicamente. Ad aprile di quest’anno il presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha firmato l’Illicit Captagon Trafficking Suppression Act, un documento contro la produzione e il traffico di Captagon – nota come “cocaina dei poveri”, una droga simile all’anfetamina che crea dipendenza e viene prodotta e acquistata a basso costo, con pillole di bassa qualità – proveniente proprio dalla Siria. Il documento prevede nuove sanzioni contro individui, entità e reti affiliate al regime del presidente siriano Bashar Al Assad che producono e trafficano Captagon e segue il Captagon Act già firmato dal Congresso nel 2022.

Lo scorso 14 novembre la Francia ha spiccato un mandato di cattura internazionale contro Bashar al Assad, suo fratello Maher e altri due funzionari del governo di Damasco, con l’accusa di essere responsabili dell’attacco con le armi chimiche dell’agosto del 2013. Una notizia che avrebbe dovuto fare clamore, ma che è passata in sordina. L’indagine penale dell’Unità specializzata in crimini contro l’umanità della Corte giudiziaria di Parigi inchioda Assad alle sue responsabilità, sebbene quest’ultimo neghi ogni coinvolgimento. A ottobre del 2023 la Corte di Giustizia Internazionale dell’Aia ha avviato un processo per i crimini di guerra commessi in Siria almeno dal 2011, anche se la Siria non si è presentata al processo.

I desaparecidos

La crisi dei profughi e degli sfollati siriani sembra ormai calcificata e non viene più affrontata, a livello regionale e internazionale, come un’emergenza. Dopo la parentesi del terremoto del 2022 infatti, la Siria è di nuovo scomparsa dall’agenda della diplomazia internazionale e in questo quadro l’iniziativa italiana di riprendere le relazioni con Damasco si fa ancora più controversa.

Tra le tante motivazioni che dovrebbero spingere a riflettere sull’opportunità di una normalizzazione tra Roma e Damasco c’è la vicenda della scomparsa di Padre Paolo Dall’Oglio, il gesuita romano scomparso in Siria nel luglio del 2013. A undici anni di distanza, non ci sono verità sul destino del religioso e da parte del governo siriano non ci sono mai stati segni di collaborazione per fare luce su questa storia. Padre Paolo potrebbe essere stato rapito dall’Isis, secondo le ipotesi più accreditate, ma non ci sono conferme ufficiali.

A ottobre del 2022 la Procura di Roma aveva chiesto l’archiviazione delle indagini, affermando che era “impossibile capire se fosse ancora vivo”. Abuna, che in arabo vuol dire nostro padre, come viene ancora chiamato Paolo dall’Oglio da chi non ha perso la speranza di rivederlo in vita, è diventato così uno tra le migliaia di mafqudin siriani, desaparecidos appunto.

Si stima che ci siano oltre 150.000 donne, uomini e bambini scomparsi nel nulla, di cui si sono perse le tracce anche più di dieci anni fa. Molte famiglie di esuli siriani continuano a fare pressione perché si faccia chiarezza sul destino dei loro congiunti, ma tranne nei casi di persone con doppia cittadinanza, difficilmente si hanno riscontri. La maggior parte dei mafqudin sono scomparsi dopo essere stati fermati ai posti di blocco ed essere stati condotti nelle carceri governative, ma anche tra i siriani rimpatriati volontariamente o con la forza si moltiplicano i casi di sparizione.

Una delle vicende più note resta certamente quella di Mazen al Hamada, ex prigioniero nelle carceri siriane, torturato e umiliato come lui stesso ha denunciato nel corso di alcuni suoi interventi in Occidente, facendosi portavoce dei detenuti politici siriani. Al Hamada ha fatto volontariamente rientro in Siria nel 2020, stanco di ascoltare promesse che non sono mai state mantenute e di vedere l’immobilismo delle cancellerie internazionali. Da allora di lui non si sa più nulla.

Viene dunque da chiedersi se sulla scrivania del nuovo ambasciatore ci sarà il fascicolo Dall’Oglio e che priorità gli verrà data, così come sarà fondamentale capire se e come la questione dei diritti umani verrà affrontata, anche in riferimento al ritorno di eventuali profughi siriani nella madre Patria.