Femminismi

Zainab Fasiki contro la Hshouma: “La mia è una lotta femminista, non certo un lavoro tranquillo”.

Zainab Fasiki è una “artivista” marocchina che attraverso opere illustrate combatte la hshouma, la cultura della vergogna e della censura che dominano nel mondo arabo (e non solo), e promuove un’educazione sessuale queer e laica.

© Courtesy by Zainab el-Fasiki

Hshouma. Manifesto per una libertà sessuale (001 Edizioni, 2022, trad. it. di Hshouma, corps et sexualité au Maroc, Massot, 2019) è l‘ultimo lavoro dell’artivista marocchina Zainab Fasiki1.

“Artivista”, ovvero un’artista che usa la propria arte per rivolgere a un largo pubblico un messaggio dirompente di cambiamento sociale. È così che si definisce Zainab Fasiki, iscrivendo il suo lavoro nel solco di un impegno politico che caratterizza un numero crescente di opere e performance artistiche nella regione araba post-rivoluzionaria.

Qui, a fronte della riduzione degli spazi della contestazione politica, dovuti al riflusso autoritario che ha depotenziato le proteste del 2010-2011, la produzione culturale e artistica è divenuta terreno fertile per reinventare le forme dell’attivismo e per produrre un sapere situato foriero di messaggi libertari. Al centro delle opere di Fasiki ci sono il corpo e la nudità, soprattutto delle donne. Un richiamo costante all’urgenza di combattere la violenza di genere, discutere, rivendicare e praticare le libertà individuali, obiettivo delle lotte di riconoscimento durante e dopo le rivoluzioni, accanto alle lotte di redistribuzione socio-economica.

L’artivismo di Zainab combatte la hshouma, la cultura della vergogna e della censura che obbliga le donne – e non solo - a rispettare codici morali e di legge che ne limitano i perimetri di libertà. Ingegnera per formazione, unica donna nel collettivo di disegnatori Skef Kef2 di Casablanca, ultima di cinque fratelli, si è trovata ben presto a vivere il peso del machismo in famiglia, all’università, nello spazio pubblico: “Sono cresciuta in un quartiere popolare, nell’antica medina di Fez, e so bene cosa significa subire il potere, gli sguardi, le molestie maschili. Noi donne dobbiamo sempre parlare piano, essere pudiche, mentre gli uomini hanno a disposizione più spazio, più possibilità”.

Un manuale di educazione sessuale queer e laica

In questo scenario, Hshouma. Manifesto per una libertà sessuale assume il valore di “un manuale di educazione sessuale queer e laica”.

“Ho frequentato la scuola pubblica” – racconta Zainab – “e a me sarebbe servita una guida simile. Ci educano all’eteronormatività e al matrimonio come unico luogo delle relazioni sessuali legittime. Da piccola, già verso i 14 anni, ero molto critica… Mi dicevano spesso ‘Andrai all’inferno!’, ma io rispondevo ‘L’inferno è meglio!’. Era un sistema ridicolo, mi sentivo sola e ho sofferto molto, prima di capire che non ero sbagliata. Oggi invece vedo genitori regalare ai propri figli adolescenti il mio libro, per loro è imbarazzante parlare di certi argomenti e lo fanno attraverso il mio lavoro”.

Quanto alla sua relazione con i genitori, ricorda un profondo conflitto: “La mia è una famiglia conservatrice e modesta (il padre è un artigiano, N.d.A.) che non ha una grande biblioteca. Ogni giorno sentivo un grande stress perché mi dicevano di rappresentare l’onore della famiglia. Ma tutto quello stress mi ha fatto diventare chi sono oggi. Ero critica nei confronti della religione…Mia madre mi sosteneva ma doveva anche fare un compromesso con mio padre, per non farlo arrabbiare. (…) Ha studiato per diventare infermiera ma poi si è sposata a 18 anni e ha avuto 6 figli. Al tempo stesso mi ha educata all’indipendenza economica, che lei non ha raggiunto. Bisogna rispettare chi fa una scelta come la sua, ma non bisogna rinunciare all’autonomia. (…) Mi ha molto ispirata. Da quando sono diventata donna, con la pubertà, sono diventata rivoluzionaria e ho molto lottato”.

Ritratto di Zainab el-Fasiki, Napoli, 2019
© Sara Borrillo

Hshouma è uscito quando era già nota al grande pubblico. “Difendevo i diritti LGBTQI+, l’Interruzione volontaria di gravidanza (IVG), la laicità…non era facile. Uno dei miei fratelli all’inizio voleva picchiarmi per aver infangato il nome della famiglia (…). Ma oggi, dopo un periodo di conflitto, hanno capito e la nostra relazione è tranquilla. Anche loro sono vittime di un sistema, che ci impone idee sin da bambini. A scuola mi sono avvicinata al dubbio, a fare domande. Il corso di filosofia mi ha salvata, dubitavo di tutto”.

I due volti della Hshouma

In copertina del volume, rosso nella versione in francese e fucsia in quella italiana, c’è la Hshouma in persona. Una figura duplice che rappresenta da un lato una donna carismatica, simbolo di potere indomito e non riconosciuto, che prepara ricette, pozioni per le donne per riuscire in amore o nella fertilità, e dall’altro la cultura del controllo della società (al-mujtama’a in arabo) dominante in Marocco, nel mondo arabo, nei paesi mediterranei, molto spesso perpetrata dalle stesse donne. Una cultura della repressione che colpisce soprattutto le donne: “Hshouma per me significa ‘censura del piacere’. Il sesso e il desiderio sono puri: perché considerarli sporchi? Nel mio libro parlo di clitoride, un organo interamente dedicato al piacere e non alla riproduzione, ma che è stato eliminato dai manuali. Parlo di religione, di politica e mi rende triste quando mi dicono che esagero, perché questi temi sono attuali, riguardano il nostro quotidiano in cui degli umani senza utero controllano il nostro utero. Ma vi prego: lasciateci in pace!”.

Secondo Zainab non è l’Islam in sé il problema, ma l’uso politico e patriarcale che se ne fa. Rivendica rispetto verso tutte le religioni, così come per tutte le persone e chiude il volume con tre parole “Amore, pace e libertà” (Hubb, Salam, Hurriyya), incastonate nei tre occhi di una donna coi baffi.

Murales di Zainab el-Fasiki, Via Santa Chiara, Napoli, 2019
© Sara Borrillo

Le sue fonti di ispirazione si situano all’intersezione tra storia, femminismo e arte e, come il suo lavoro, si beffano dei confini: “Quando ero piccola, negli anni ’90, nella medina di Fez era difficile trovare Lamalif, una rivista di contestazione politica (le lettere dell’alfabeto arabo “Lam” e “Alif” compongono la parola ‘La’, che significa “No”, N.d.A.) fondata da una donna (Zakya Daoud, N.d.A.) negli anni ’80, da allora censurata e divenuta molto rara. Desideravo collezionare questa rivista, perché c’erano illustrazioni interessanti, ma soprattutto perché era guidata da una donna”.

Su un piano più visuale è Valentina di Crepax ad averla ispirata: “Ne ho tutta la collezione. Mi attrae con le sue avventure erotiche e la sua intelligenza. Appena l’ho conosciuta ho tagliato i capelli come lei”.

Sfogliando Hshouma, non si può non notare l’influenza di Persepolis di Marjane Satrapi. Come nel racconto al femminile sulla rivoluzione iraniana, anche Zainab usa il potente contrasto tra bianco e nero, solo talvolta interrotto dal rosso, che rimanda alla violenza e al sangue, come quello mestruale che è ancora considerato simbolo di impurità: “Il 30% delle donne in Marocco ha accesso a prodotti igienici. Molte ragazze non sanno come trattare l’argomento ciclo. Molti uomini si allontanano dalle donne col ciclo, soprattutto durante il Ramadan, perché è considerato sangue impuro. Invece io spiego nel libro che il ciclo è dovuto al sistema di funzionamento dell’utero”.

L’orizzonte del volume è dunque pedagogico ed educativo, seppur ben radicato nel contesto di appartenenza: “Sono stata ispirata dalla società marocchina, patriarcale, dove esiste la cultura della violenza, delle molestie sessuali. Volevo esprimere la mia rabbia, ma senza violenza, attraverso l’arte come strumento pacifico di espressione. (…) Al tempo stesso, mi sono più volte chiesta dove vivere e ho capito che adoro il mio paese, voglio vivere qui. Ma non voglio adattarmi alla società: è la società che deve adattarsi a me”.

Altri tabù esplorati nel volume riguardano le identità di genere e le relazioni tra persone LGBTQI+, ancora considerate reato in Marocco – come in tutta la regione araba. Il volume è un inno alla libertà nel vivere la sessualità, sia per le donne, che per gli uomini, oltre gli obblighi imposti dai modelli di mascolinità e di femminilità.

Ed ecco che temi complessi come verginità, aborto, nudità, purezza e ciclo mestruale, vengono messi in discussione e restituiti con disinvoltura e rispetto, che significa anche rispetto della diversità nei canoni di bellezza.

“A 9 anni andai per la prima volta al hammam pubblico” – ricorda l’autrice – “ed è stato bellissimo! Non c’erano le donne bionde e magre delle riviste di inizio anni 2000. In quel periodo le ragazze volevano rispettare quei canoni di bellezza, andavano in depressione quando non ci riuscivano…Invece nel hammam vedevo i corpi veri delle donne, con le loro cicatrici che permettono di vedere l’esperienza e la storia di ciascuna, con la cellulite…Da giovane avevo bisogno di qualcuno che mi dicesse: ‘non preoccuparti, vai bene così’. Appena rientrata a casa iniziai a disegnare quei corpi”.

E da allora non ha più smesso. E oggi collabora con il progetto Jawjab, che include una serie di disegni sulla body positivity, per disinnescare il giudizio verso le donne corpulente o con i capelli bianchi. Dal 2018 ha anche fondato il collettivo di artiste Women Power, che si collega al movimento internazionale del #Metoo: “perché anch’io ho subito molestie e per esporre i miei primi lavori ho ricevuto proposte ammiccanti”.

Una super eroina a Casablanca

È proprio contro la violenza sistemica subita dalle donne che Zainab ha disegnato la sua prima super eroina, tra le Twin Towers di Casablanca, il distretto commerciale della metropoli marocchina: “l’ho realizzata perché ero stanca della combinazione ‘religione-legge-società’ che insiste sui nostri corpi, che mi dice come comportarmi, se abortire o meno, se dormire con qualcuno o quando. Per me disegnarla è stato come una terapia”. Nel momento in cui è stata diffusa sui social media, l’opera ha avuto un grande successo ed è allora che Zainab ha capito che quel problema riguardava molte donne, che non era sola.

Come quell’eroina, definisce le “sue donne” come “dee”, nude, psichedeliche, dallo sguardo fiero: “Quando avevo 16-17 anni era hshouma parlare di divinità al femminile. Dio da noi è sempre declinato al maschile”. Per questo durante l’adolescenza si è avvicinata alle divinità della tradizione induista caratterizzate dal blu, colore della forza e della potenza, e dalla presenza del serpente, simbolo di protezione e fertilità.

Ma a chi l’accusa di rinnegare la propria cultura, o addirittura di essere un’agente di occidentalizzazione, risponde: “Nei miei disegni ci sono spesso tatuaggi Amazigh per valorizzare l’identità locale contro tutte le colonizzazioni, da quella araba, a quella francese, a quella spagnola. Le donne Amazigh, come la regina Kahina, erano libere e fiere del loro potere e della loro sessualità. Non ho mai sostenuto che la libertà venga dall’esterno, la libertà nasce da qui, ben prima dell’Islam, con il loro modello. Non uso la carta geografica con il Nord, il Sud, l’Est, l’Ovest. Le frontiere sono creazioni umane per dividerci, ma siamo tutti umani e siamo tutti uguali”. A fronte del suo approccio decoloniale, la prima edizione di Hshouma è in francese, lingua che – quasi paradossalmente – rappresenta per Zainab un “rifugio linguistico e politico”. A ogni modo, dato il successo, presto ci sarà una versione in arabo standard, mentre in dharija – l’arabo marocchino – l’illustratrice sta ancora cercando le parole più adatte, che spesso in materia di sessualità assumono una connotazione negativa, indicibile. Così come è indicibile la critica alla costruzione normativa della mascolinità, improntata sui valori della forza, virilità, del potere, che rappresenta un più recente terreno di lavoro per l’illustratrice, nel progetto collaborativo multimediale Machi Rojola3, volto a combattere le diverse forme di mascolinità tossica ed egemonica.

Intanto, registra un grande riscontro di pubblico in Marocco e all’estero. E sono decine di migliaia i followers dei suoi profili Istagram e Facebook4 che Zainab definisce “persone per lo più tra i 16 e i 30 anni che si sentono una pecora nera come me”.

Un pubblico per lo più giovane, che lei considera “pronto al cambiamento”, nonostante i limiti di regimi gerontocratici in cui il potere agisce seguendo dimensioni intersezionali. “Avevo 24 anni quando ho pubblicato Hshouma (tre anni fa, N.d.A). Ero giovane, e nel mio paese i giovani non sono presi in considerazione. E poi c’è anche una questione di classe: ero shabiyya5, povera, figlia di un artigiano. A ogni modo nelle interviste parlavo sempre in dharija, perché di solito chi parla francese può comprare la propria libertà. (…) Grazie alla mia giovane età la nuova generazione è oggi invitata a rompere i tabù e ogni volta che c’è un evento di presentazione del libro sento come se aspettassero questo momento per liberarsi. Io rivolgo un invito alla società, un invito di comprensione e sono sicura che in futuro raggiungeremo il risultato sperato. Certo, è difficile cambiare le leggi: molti sono contro la diversità, contro il mio lavoro, alcuni mi hanno minacciato di morte, mi hanno insultata. Ma ero pronta psicologicamente, ho sviluppato una resistenza e questa è la mia lotta femminista, non certo un lavoro tranquillo.”

1Questo articolo ricostruisce il materiale raccolto durante interviste e conversazioni con Zainab Fasiki a Napoli, dove - nel 2019 e nel 2022 - è stata invitata nell’ambito di seminari e laboratori universitari. In occasione della Giornata internazionale contro la violenza sulle donne del 2019, durante un seminario su Artivismo e libertà individuali nel Marocco contemporaneo curato dall’autrice dell’articolo, Zainab ha donato un graffito alla città di Napoli, visibile in Via Santa Chiara.

5Appartenente a una classe popolare.