Israele-Palestina

Dietro la riforma della giustizia di Netanyahu, il rischio di una nuova Nakba

Per la sesta settimana consecutiva, oltre 80.000 israeliani hanno manifestato l’11 febbraio contro la riforma del sistema giudiziario annunciata da Benjamin Netanyahu che mira a indebolire i poteri della Corte suprema. Se da una parte la radicale revisione del sistema giudiziario tende a limitare i diritti dei cittadini ebrei israeliani, dall’altra apre ancora di più la strada a drastiche misure di segregazione nei confronti dei palestinesi.

Nell'immagine si vede una manifestazione di persone vestite con abiti neri, probabilmente avvocati, che tengono cartelli. In primo piano, una donna tiene un grande cartello con un messaggio ben visibile. Sullo sfondo, ci sono altre persone con cartelli, in un'atmosfera di protesta. Le persone sembrano serie e impegnate nella loro causa. L'ambiente è quello di una manifestazione pubblica, con molta partecipazione.
Tel Aviv, 12 gennaio 2023. Avvocati in piazza contro la riforma del sistema giudiziario. Sul cartello: “La Corte suprema ci protegge tutti”.
Jack Guez/AFP

Si tratta di un “attacco sfrenato al sistema giudiziario, come se [la Corte] fosse un nemico che dev’essere attaccato e sottomesso”, ha dichiarato la presidente della Corte suprema israeliana, la giudice Esther Hayut, un “colpo mortale all’identità democratica dello Stato di Israele” che il nuovo governo si prepara ad assestare. Il neoministro della Giustizia Yariv Levin ha infatti già presentato un disegno di legge che impedirebbe all’Alta Corte di contestare la nomina di un ministro (e a fortiori di un primo ministro). Ma la proposta di legge che Levin intende sottoporre al voto della Knesset, il Parlamento israeliano, va ben oltre. Si basa su tre punti fondamentali:

➞ l’introduzione della prevista “clausola di deroga” che consentirebbe a una maggioranza semplice nella Knesset di emanare e imporre leggi senza più alcun potere della Corte di esaminarne la conformità rispetto alle quattordici “leggi fondamentali” che, in assenza di una vera e propria costituzione in Israele, costituiscono de facto il caposaldo del diritto israeliano;-
➞ la possibilità per i ministri di scegliere i propri consulenti legali, che sarebbero a quel punto indipendenti dal procuratore generale, e non più tenuti a rendere conto del proprio operato;
➞ la modifica delle modalità di nomina dei giudici da parte del primo ministro e del ministro della Giustizia. Oggi il Comitato giuridico per la nomina dei giudici dell’Alta Corte è composto da 9 membri nominati tra deputati, rappresentanti della magistratura, avvocati; dopo la riforma, invece, passerebbero a 11, con un maggior controllo da parte del governo e della sua maggioranza parlamentare sulla nomina dei giudici supremi.

Il silenzio sui diritti dei palestinesi

Tuttavia, osserva Hagai El-Ad, direttore esecutivo di B’Tselem, organizzazione israeliana per i diritti umani, la presidente Esther Hayut, nei suoi discorsi, ha citato otto esempi di sentenze della Corte nella difesa dei diritti umani e civili, senza fare però un alcun riferimento ai diritti umani dei palestinesi nei territori occupati da Israele1. E neppure una parola è stata spesa sui massicci spostamenti di popolazione che stanno avvenendo oggi in diverse città all’interno dei territori occupati. Né alcun accenno è stato fatto alla “legge sulle commissioni d’ammissione” che autorizza le amministrazioni israeliane a revocare il permesso di residenza sul territorio a chiunque non sia loro gradito. Vale a dire: a chiunque faccia parte della comunità araba.

In linea di massima, in 75 anni di esistenza, la Corte suprema ha avallato il regime militare imposto dal 1948 al 1966 dallo Stato di Israele alla popolazione palestinese rimasta sul proprio territorio dopo la Nakba (la “catastrofe” dell’espulsione). Ha inoltre sistematicamente approvato l’uso di “misure d’emergenza”, desunte dall’arsenale giuridico militare del Mandato britannico nel diritto israeliano, che consentivano la detenzione, per periodi rinnovabili ogni 6 mesi, di qualunque “detenuto amministrativo”, senza fornire capi d’accusa o informazioni sui presunti crimini. Dalla occupazione dei territori palestinesi da parte di Israele nel giugno 1967, sono decine di migliaia i palestinesi detenuti per periodi che vanno da poche settimane fino talvolta a 15 anni. Per contro, il numero di ebrei israeliani a cui è toccata la stessa sorte si conta sulle dita di una mano...

Si potrebbero moltiplicare all’infinito gli esempi sulla totale mancanza di rispetto dei diritti umani dei palestinesi nelle decisioni dell’Alta Corte israeliana. Come ad esempio il fatto che la Corte non abbia mai impedito la creazione di nuovi insediamenti, gli sgomberi forzati o la continua espropriazione di terre e acqua nei territori palestinesi, oltre alla continua distruzione delle case delle famiglie dei “terroristi”, ecc.

Una difesa dei diritti limitata ai soli cittadini ebrei israeliani

In poche parole, la presidente della Corte suprema ha limitato la difesa dei diritti umani... ai soli ebrei israeliani, dimostrando ancora una volta che, sulla questione delle colonie, l’Alta Corte è sempre stata usata come foglia di fico per salvaguardare l’immagine di una presunta esemplare “democrazia israeliana”. Secondo Hagai El-Ad, “stiamo assistendo al totale collasso intellettuale della politica ipocrita che la Corte suprema ha cercato di condurre”2 dalla creazione dello Stato di Israele. Per la stessa ragione, anche il giornalista Gideon Levy ha chiarito il motivo per cui non parteciperà alle proteste in corso. “Vi auguro buona fortuna con tutto il cuore”, ha detto ai manifestanti. “E anche se venissero accettate tutte le vostre richieste, si tratterà sempre di uno Stato d’apartheid e non della lotta per la democrazia”3.

La maggior parte delle voci che contestano in Israele la revisione della Corte suprema, quelle che marciano alla testa dei cortei dei manifestanti, non intende infatti cambiare la politica portata avanti da anni in favore dell’occupazione palestinese. Parliamo di Benny Gantz, l’ex ministro della Difesa che si vantava, in campagna elettorale, di aver “ucciso 1364 terroristi palestinesi” nel 2014, durante il bombardamento israeliano di Gaza, quando era capo di Stato Maggiore dell’esercito. O ancora, dell’attuale procuratrice generale israeliana, Gali Baharav-Miara, ex avvocata che è riuscita a respingere una richiesta di risarcimento intentata conto l’esercito dal medico palestinese Izzeldin Abuelaish, padre di tre figlie uccise insieme a sua nipote dai colpi di un carro armato sparati contro edifici civili durante l’ennesima operazione israeliana a Gaza, nel 2009.

Allora è ovvio che se questi sono i leader dei cortei di protesta, e se, come abbiamo visto in giro, vengono attaccati duramente i manifestanti anticolonialisti che sfilano sventolando bandiere palestinesi (un atto che il governo intende presto condannare), questo di certo non induce i palestinesi ad unirsi al movimento per impedire a Netanyahu di raggiungere i suoi obiettivi. Eppure, ci sono altri, come Ayman Odeh, leader del partito Hadash4, che, nonostante tutte le difficoltà, sostengono l’attuale movimento di protesta. È vero, spiega Odeh, che il vero bilancio della Corte suprema è ben lungi dall’essere quell’esempio di virtù descritto dai manifestanti, ma il progetto di revisione aprirebbe la strada a uno scenario ben peggiore.

Il fatto è che Ben Gvir, Smotrich e i loro sostenitori sono dei fanatici molto determinati. La riforma della Corte introdotta dal ministro Yariv Levin darebbe il via a uno scenario che solo fino a ieri sembrava assurdo. Non è un caso che in Israele i partiti religiosi e quello di estrema destra (compresi i laici) abbiano sviluppato un odio viscerale nei confronti della Corte suprema. I primi perché intenzionati a portare avanti le loro ambizioni teocratiche: il progetto di revisione della Corte è fondamentale per poter imporre una più rigorosa osservanza della legge rabbinica. L’avversione dell’estrema destra nasce, invece, dal fatto che la Corte, pur avallando la politica coloniale israeliana, cerca di inquadrarla in forme di rispetto della legge.

Un nuovo ordine

Ad esempio, le colonie fondate su iniziativa privata nei territori palestinesi sono dichiarate “illegali” dallo Stato, mentre quelle appoggiate dal governo sono considerate “legali”, anche se del tutto illegali dal punto di vista del diritto internazionale. In Israele, la differenza tra i due tipi di insediamenti è un abile raggiro (gli insediamenti “illegali” vengono quasi sempre “legalizzati” pochi anni dopo). Ma questa finta disparità permette sia di ingannare chi ignora la legge, sia di giustificare chi, in Israele, pretende di rispettare solo la “legge israeliana” (vale a dire, non il diritto internazionale). Per Ben Gvir e Smotrich, la colonizzazione dei territori palestinesi rappresenta una missione sacra e l’Alta Corte non deve interferire in alcun modo. Che sia condotta dal governo o su iniziativa privata, la colonizzazione non dev’essere sottoposta ad alcun vincolo. È questo ciò che i ministri fascisti alleati di Netanyahu intendono far rispettare.

Al di là della semplice colonizzazione di tutta la Palestina, ciò che preme a questo governo è raggiungere, secondo il giornalista israeliano Zvi Bar’el, “la creazione di un nuovo ordine”5, in cui ogni ostacolo sarà rimosso all’imposizione di frontiere, di confini territoriali, politici e mentali per il paese. Bar’el riporta le parole di Yitzhak Rabin: ciò che vuole il campo dei coloni è un paese “senza Corte suprema e senza B’Tselem”, aveva detto l’ex premier prima di essere assassinato da un fanatico religioso ebreo nel 1995. Se la riforma della Corte suprema fosse approvata, potrebbe prospettarsi uno scenario simile. Senza Corte suprema, le organizzazioni della società civile che si mobilitano per i palestinesi - B’Tselem, i soldati di Breaking the Silence che testimoniano gli abusi dell’esercito, gli avvocati di Yesh Din che difendono i detenuti palestinesi, i Rabbini per i diritti umani e molti altri ancora, in poche parole, tutti quegli ebrei israeliani “sleali” che Ben Gvir intende “espellere” dal paese - potrebbero ben presto correre il rischio di essere espulsi dalla società e di non poter continuare il proprio lavoro.

Tra le prime leggi che il governo intende far approvare, non compare forse il divieto di pubblicare “informazioni sensibili”? Il nuovo ministro delle Comunicazioni israeliano Shlomo Karhi ha già annunciato nuove misure per chiudere alcune emittenti pubbliche, che restano gli spazi di dibattito con maggiore apertura. Inoltre, sono in cantiere altre misure di controllo dell’informazione6. Se dovessero passare, si chiede Bar’el, “chi impedirà la creazione di nuovi avamposti selvaggi sulle terre di proprietà dei palestinesi? Chi impedirà che le persone condannate per attività terroristiche siano private della loro cittadinanza? A chi si rivolgeranno i cittadini sottoposti a detenzione amministrativa, nonostante sappiano che l’Alta Corte non sarà di grande aiuto? Quando [la Corte] non esisterà più, la festa potrà finalmente avere inizio”7.

“Per finirla una volta per tutte” con i palestinesi

L’opinione pubblica non intende dimenticare il comportamento di una Corte suprema da sempre subalterna agli interessi predominanti del colonialismo israeliano, ma è convinta che il bavaglio della giustizia aprirebbe una fase ancora più difficile. Il timore di molti israeliani è che Ben Gvir e la sua cerchia stiano intensificando le provocazioni per arrivare a una terza intifada, cosa che spianerebbe la strada ai loro sogni di annessione definitiva dei territori occupati. E difatti da alcuni ambienti militari israeliani trapela già una forte preoccupazione. L’idea di una “terza intifada” sta facendo breccia nell’opinione pubblica, ed è argomento di dibattiti in programmi televisivi e sui social. Negli Stati Uniti, la rivista Foreign Affairs si dice allarmata8, alla pari del direttore della CIA che ha espresso gli stessi timori9. Se si dovesse verificare un’escalation di violenza, non c’è dubbio che Ben Gvir sarebbe il primo a trasformarla in un’occasione per “farla finita una volta per tutte” con la presenza palestinese nella “terra di Israele”, un’idea che è diventata una speranza per un gran numero di israeliani nel paese.

D’altra parte, il neoministro della Sicurezza nazionale ha iniziato da subito ad alzare il livello delle provocazioni. La prima è stata quella di far visita alla Spianata delle moschee, appena tre giorni dopo la sua nomina a ministro. Adesso Gvir intende inasprire in modo drastico le condizioni dei detenuti palestinesi nelle carceri israeliane, che ha definito simili a quelle di una vita “in hotel”. Un’ignobile offesa. Ma soprattutto, Gvir sa bene che la questione dei prigionieri, reclusi per le loro azioni o per reati d’opinione e considerati eroi della resistenza –attualmente sono 4.500, di cui 530 in regime di detenzione amministrativa –, è da sempre un importante fattore di mobilitazione per la società palestinese, dove quasi ogni famiglia ha visto finire in carcere, nel corso dei decenni, uno o più dei suoi membri.

In questo momento, la situazione è diventata pericolosa per molti ebrei – secondo Amira Hass, corrispondente di Haaretz nei territori occupati –, ma lo è ancora di più per i palestinesi. “Per realizzare la ‘grande espulsione’ (dei palestinesi) fuori dai confini della ‘Grande Terra d’Israele’, si deve creare il caos politico-militare. Ci vuole una guerra per mettere in atto una nuova Nakba. (...) Se l’espulsione di massa sembra una finzione, ricordiamoci che fino a poco tempo fa parlare di golpe legislativo antidemocratico suonava delirante”, scrive Amira Hass. E conclude: “Questa non è una profezia [...] è un avvertimento, un allarme, una richiesta di aiuto” . In un’audizione al Senato, il 3 febbraio 2023, dove erano presenti anche palestinesi e israeliani, l’ex ambasciatore della Palestina per l’UNESCO, Elias Sanbar, ha usato esattamente gli stessi termini. Yehuda Shaul, membro fondatore della Ong Breaking the Silence, ha dichiarato: “C’è bisogno di una congiuntura astrale perché accada il peggio. Per ora siamo ancora lontani, ma la strada per arrivarci è spianata”.

1Hagaï El-Ad, “HaReshout HaShoteket” (“Il ramo giudiziario silenzioso”), pubblicato nel quotidiano online Si’ha Mekomit, 19 gennaio 2023. Articolo su https://www.assopacepalestina.org/2023/01/27/il-ramo-giudiziario-silenzioso-come-la-corte-suprema-di-israele-schiaccia-i-diritti-dei-palestinesi/

2Ibidem.

4Hadash è un partito politico israeliano nato nel 1977 dall’unione del Partito Comunista di Israele (Rakah) con altri gruppi di sinistra. Il partito si definisce “arabo-ebraico”: sebbene la maggioranza dei suoi leader ed elettori siano arabi israeliani, ha permanentemente e simbolicamente mantenuto una rappresentanza ebraica tra i suoi membri e nelle liste elettorali [NdT].

5Zvi Bar’el, “Not just about Netanyahu: Judicial overhaul will destroy Palestinian rights”, Haaretz, 25 gennaio 2023.

6Refaella Goichman, Nati Tucker, “Netanyahu’s Plan to Kill Israel’s Media Enters Its Next Phase”, Haaretz, 24 gennaio 2023.

7Bar’el, op.cit.

8Daniel Byman, The Third Intifada?, Foreign Affairs, 7 febbraio 2003.

9Jacob Majid, “CIA director: Current Israeli-Palestinian tensions resemble Second Intifada”, Times of Israel, 7 febbraio 2023.