Quando ci apre le porte del suo luminoso appartamento nel quartiere Dokki, nel centro del Cairo, Laila Soueif è al suo 43esimo giorno di sciopero della fame. Tuka, il suo border collie, scruta gli ospiti con i suoi occhi azzurri. La voce della madre di Alaa Abdel Fattah sembra essersi affievolita, ma lo sguardo è vivace. A 68 anni, Laila Soueif, insegnante di matematica – continua a insegnare all’Università del Cairo malgrado il suo stato – e storica oppositrice del regime non è al suo primo sciopero della fame. Questa volta, però, si dice pronta ad andare “fino alla fine”, cioè fino alla “perdita di coscienza o alla morte”. “Sono arrivata la punto in cui non ce la faccio più. Sono dieci anni che corro dietro a Alaa invano”, dice rammaricata, mentre rivolge lo sguardo fuori dalla finestra.
Riavvolgiamo il nastro: nel 2011, Alaa Abdel Fattah, informatico, blogger e attivista di 29 anni, è una delle figure di spicco della rivoluzione che ha spazzato via l’ex presidente Hosni Mubarak. Nel successivo turbolento decennio, Fattah entra e esce dal carcere, sotto tutti i regimi che si succedono in Egitto, dal Consiglio supremo delle Forze armate (CSFA) ai Fratelli Musulmani, in condizioni di detenzione precarie. Nel 2019, viene arrestato e poi condannato, nel 2021, a 5 anni di carcere con l’accusa di “spionaggio e diffusione di fake news” per aver condiviso un post su Facebook, non scritto da lui, che accusa un agente di tortura. Diventato il prigioniero politico più famoso d’Egitto, Alaa Abdel Fattah avrebbe dovuto essere rilasciato il 29 settembre 2024.
Ma il pubblico ministero ha deciso diversamente, scegliendo di non conteggiare i due anni di custodia cautelare già scontati. Alaa Abdel Fattah sarà quindi rilasciato solo all’inizio del 2027. “Ma se hanno trovato un pretesto per non rilasciarlo ora, ne troveranno un altro tra due anni”, sospetta sua madre, sostenuta in questa battaglia da Amnesty International, Reporter senza frontiere e una serie di altre organizzazioni per i diritti umani.
Pressioni sul Regno Unito
Per far valere i suoi diritti, Laila Soueif sta andando avanti e indietro dall’Inghilterra, paese in cui è nata e dove suo figlio ha ottenuto la cittadinanza nel 2021, dopo essere finito in carcere. A Londra, Laila ha recentemente incontrato i membri del Parlamento per far sentire le sue ragioni. Non è la prima volta che la famiglia di Alaa Abdel Fattah cerca di mobilitare il Regno Unito. Nell’ottobre 2022, mentre l’Egitto si prepara a ospitare la COP27, sua sorella Sanaa organizza un grande sit-in davanti al Ministero degli Affari Esteri.
L’ex premier britannico Rishi Sunak le scrive poi una lettera, garantendole che il suo governo è “pienamente impegnato” a risolvere il caso. Qualche giorno dopo, in Egitto, a margine della conferenza, l’inquilino di Downing Street stringe la mano al presidente Abdel Fattah Al-Sisi davanti alle telecamere di tutto il mondo, senza aver fatto alcun passo avanti per la liberazione del prigioniero politico. Una manna dal cielo per il regime egiziano alla ricerca di un riconoscimento internazionale, mentre quelle foto restano difficili da accettare per la famiglia di Alaa Abdel Fattah.
Ma Laila Soueif spera che l’attuale cambio di governo possa spostare gli equilibri. Quando era all’opposizione, l’attuale ministro degli Esteri David Lammy aveva preso le difese di suo figlio, unendosi a Sanaa durante il suo sit-in. La madre di Alaa chiede:
È giunto il momento per lui di agire. Sono due potenze amiche, l’Egitto non è un paese paria come l’Iran o la Cina. C’è quindi ancora un margine di manovra, in particolare sugli accordi commerciali.
All’inizio di novembre, mentre il regime di Al-Sisi sta discutendo nuovi accordi con Londra, 15 organizzazioni per i diritti umani inviano una lettera al ministro chiedendo di congelare ogni forma di cooperazione finanziaria tra i due paesi finché Alaa resterà in carcere.
Perdere la speranza
Infatti, il presidente egiziano non sembra immune alle pressioni esterne. Nel 2022, sotto i riflettori della COP27, avviene il rilascio di alcuni dei prigionieri politici nell’ambito del “dialogo nazionale” che avrebbe dovuto consentire al Paese di affrontare i suoi problemi senza paraocchi ideologici. In quell’anno, vengono rilasciati decine di prigionieri. Fino all’anno scorso, quando vengono liberati il poeta Ahmed Douma e l’avvocato Mohamed Al-Baqer, avvocato difensore di Alaa Abdel Fattah, unico finora a non aver beneficiato della grazia presidenziale.
Intorno al suo caso c’è una mobilitazione senza precedenti. Oltre ai sit-in organizzati dalla sorella a Londra, viene pubblicata una raccolta di testi dal titolo “Non siete stati ancora sconfitti”1, in parte scritti in carcere, per mantenere vivo lo spirito della rivoluzione del 2011. Nell’aprile 2022, lo stesso Alaa comincia uno sciopero della fame, per protestare contro il regime di isolamento. A novembre, durante la COP27, smette di idratarsi. Di fronte al peggioramento delle sue condizioni di salute, il Regno Unito, l’Unione Europea e l’ONU chiedono la sua liberazione. Senza successo.
Da allora, l’attivista sembra aver perso le speranze. Sua madre racconta:
Se resiste, è solo per rispetto nei nostri confronti. Se durante un colloquio, facciamo per errore qualche riferimento al futuro o a suo figlio, lui reagisce duramente: “Fallo crescere come se fosse orfano”, ci risponde.
Negli ultimi anni, il prigioniero ha di nuovo ribadito che, se dovesse essere rilasciato, la sua unica priorità sarebbe quella di volare nel Regno Unito per prendersi cura del figlio autistico, che ora ha 13 anni e che Alaa ha conosciuto a malapena, e per continuare a vivere lontano dalla travagliata politica egiziana. Lasciare il paese è l’unica scelta offerta a un altro prigioniero politico, Ramy Shaath. Arrestato nel 2019 per “cospirazione contro lo Stato”, l’attivista egiziano-palestinese, storica figura della rivoluzione del 2011 e portavoce della causa palestinese, è stato rilasciato nel 2022 e poi deportato in Francia, essendo anche cittadino francese, in cambio della revoca della cittadinanza egiziana.
Per quale motivo le autorità egiziane non applicano la stessa risoluzione con l’Alaa? “È da tempo che ho smesso di cercare di capire le intenzioni del governo. Il regime è terrorizzato da non chi non piega la testa”, dice Laila Soueif. Soprattutto perché, tra queste, c’è quella di Alaa, senza dubbio il caso più conosciuto, anche agli occhi della nuova generazione di egiziani per i quali continua ad essere una fonte di ispirazione.
Dell’enorme mobilitazione del 2022, Alaa Abdel Fattah ha ottenuto solo un miglioramento delle sue condizioni di detenzione. È stato trasferito dal carcere di Tora, nella periferia del Cairo, a Wadi El-Natrun, tra la capitale e Alessandria, descritto dal regime come “un hotel a 5 stelle”, in linea con le più recenti norme internazionali sui diritti umani. Lì, divide la cella con altri due detenuti. Se ancora non può uscire all’aria aperta, almeno ha qualcosa da leggere, può guardare la televisione e scrivere lettere. Per contro, ha diritto a una sola visita di 20 minuti al mese, nonostante il regolamento preveda due visite mensili di un’ora ciascuna. Un inasprimento adottato durante gli anni del Covid-19 che non è mai stato revocato.
Sostegno internazionale al regime
Due anni dopo la COP27, la situazione regionale si è totalmente trasfiormata, ma non la posizione dell’Egitto sulla scena internazionale. Nonostante i 60.000 prigionieri politici presenti nel paese, secondo i dati delle Ong, il regime continua ad avere il sostegno delle potenze occidentali. A inizio anno, il governo egiziano ha concluso un accordo di partenariato da 7,4 miliardi di euro con l’Unione europea per rafforzare i controlli alle frontiere. Malgrado la guerra in corso a Gaza e in Libano, l’Egitto resta un alleato degli Stati Uniti e di Israele, garantendo la chiusura dei suoi confini lungo la Striscia di Gaza.
A quasi un anno dalla trionfale rielezione di Abdel Fattah Al-Sisi, il bilancio è negativo per la famiglia di Alaa Abdel Fattah, i cui membri sono stati quasi tutti in carcere: il padre, ora deceduto2, avvocato e attivista per i diritti umani, è stato torturato; Laila Soueif, rilasciata su cauzione dopo il 2021; suo figlio ovviamente, ma anche sua figlia Sanaa, arrestata nel 2014 e nel 2020, ogni volta rilasciata dopo poco più di un anno.
Ne valeva la pena? “Sì”, insiste Laila Soueif:
Non dobbiamo paragonare la situazione di oggi con quella del 2011, ma considerare un periodo molto più lungo, durante il quale c’è stato un immobilismo totale e gli oppositori sono stati isolati per decenni. Visto il contesto attuale, in particolare la crisi economica che sta attraversando il paese, non è da escludere che la situazione possa evolversi più rapidamente di quanto si pensi.