![L'immagine mostra un gruppo di soldati in abbigliamento militare che camminano in una strada urbana. I soldati sono armati e indossano maschere che coprono parte del volto. Sullo sfondo si possono vedere edifici e un ambiente urbano, con luci e segnali stradali visibili. L'atmosfera è quella di un contesto di sicurezza o di operazioni militari.](local/cache-gd2/01/e0ebba51066ba32fa6b1777e5bd176.jpg)
I colpi inferti da Israele a Hezbollah, costretto ad accettare un cessate il fuoco a condizioni umilianti, hanno confermato l’indebolimento di Teheran sulla scena regionale. La preoccupazione principale dell’Iran è rivolta alla normalizzazione delle sue relazioni internazionali, in primis con i paesi del Golfo ma anche con i paesi occidentali, come dimostrano le negoziazioni sul nucleare tenutesi a Ginevra con la Troika, composta da Regno Unito, Francia e Germania, per allentare la morsa delle sanzioni. D’altronde, i contatti stabiliti con Washington attraverso la mediazione dell’Oman sono ancora in corso. Al contrario, la Russia, impegnata nella guerra in Ucraina, è in difficoltà per intervenire a sostegno del regime di Damasco.
Aleppo al centro delle rivolte
In questo contesto di indebolimento dei due principali alleati del regime di Bashar Al-Assad, i ribelli di Hayat Tahrir al-Sham (HTS), associati a gruppi jihadisti e all’Esercito nazionale siriano (ENS), che agiscono sotto l’egida della Turchia, hanno lanciato un’operazione su larga scala verso Aleppo, partendo dalla loro base di Idlib. La seconda città siriana, centro nevralgico della rivolta contro il presidente siriano Bashar Al-Assad nel 2011, la cui resistenza agli attacchi delle forze governative e ai raid aerei russi era durata quasi quattro anni (2012-2016), è caduta in tre giorni nelle mani dei ribelli.
Una volta conquistata Aleppo senza grande resistenza, i ribelli, approfittando dei bombardamenti ripetuti e mirati da parte di Israele in Siria da molti mesi e del ritiro senza combattere delle truppe russe, limitandosi ad intensificare i raid aerei nella regione di Idlib, hanno proseguito la loro avanzata. HTS si è concentrato soprattutto nel sud, in direzione di Hama, conquistata giovedì 5 dicembre con una nuova vittoria ad Homs e a Damasco, situata a 200 km. Allo stesso tempo, l’esercito siriano ha attaccato le Forze Democratiche Siriane (FDS) nel nord, impadronendosi della città curda Tall Rifaat, accontentando in tal modo il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan, che spera così di respingere le popolazioni curde del Rojava di almeno 30 km al di là della frontiera siriano-turca.
Le ragioni del conflitto e i suoi diversi focolai non sono nuovi, visto che i suoi protagonisti hanno già avuto modo di scontrarsi. Le ragioni vanno inquadrate nel contesto della guerra di logoramento che Israele sta conducendo a Gaza e della fragile sospensione del conflitto israelo-libanese per 60 giorni, mentre Benjamin Netanyahu continua a considerare l’Iran e il suo regime come suo obiettivo principale, senza nascondere la sua intenzione di “rimodellare” tutto il Medio Oriente, un vecchio pallino del suo alleato nord-americano.
HTS in prima linea nell’offensiva
Gruppo formato nel 2017, HTS è il risultato della fusione del Fronte Al-Nosra e di diversi altri gruppi ribelli siriani. Il suo leader, Abou Mohammed Al-Joulani, proviene dal quartiere benestante di Mazzeh, situato a Damasco. Ex professore di arabo classico, è stato inizialmente membro dell’Organizzazione dello Stato islamico (Daesh) prima di passare nel campo di Al-Qaida e poi creando al suo interno il Fronte al-Nosra, che nel 2017 ha rotto con la corrente jihadista.
Con una forza militare di 40.000 uomini e il controllo di Idlib e della regione, il suo obiettivo dichiarato non è più il Jihad internazionale, ma il rovesciamento del regime di Bashar Al-Assad. Per raggiungere quest’obiettivo, ha regolarmente avviato operazioni transfrontaliere dalla provincia di Idlib verso Aleppo, Jarabulus e il cantone di Afrin, sotto la tutela turca dal 2018. In questa occasione, HTS si è scontrato con gli alleati turchi dell’Esercito nazionale siriano, divenuti oggi i suoi alleati.
I suoi rapporti con la Turchia derivano dagli accordi firmati a maggio 2017 tra la Russia e l’Iran, sostenitori di Bashar Al-Assad, e la Turchia, sostenitrice dei ribelli siriani ad Astana, capitale del Kazakistan. L’accordo doveva permettere di riprendere il controllo e di demilitarizzare quattro zone siriane sotto il controllo dei ribelli e dei jihadisti: la Ghouta orientale, nella grande periferia di Damasco, Deraa, città simbolo della contestazione armata contro il regime, Rastan, una delle più grandi aree urbane della Siria, e Idlib, città al confine con Aleppo.
Senza attendere e ignorando l’accordo non ancora firmato, le forze governative siriane hanno riconquistato tre delle quattro zone. Solo quella di Idlib è sfuggita al loro controllo. Dopo numerosi tentativi infruttuosi della Russia e dell’armata siriana di impadronirsi della zona, tentativi ostacolati dalla Turchia nel settembre 2018 e, a seguito di negoziati tra Mosca e Ankara, la provincia di Idlib è stata dichiarata “zona demilitarizzata”. È stata posta sotto il mandato della Turchia con la promessa di sradicare i gruppi “terroristici”, tra cui i combattenti uiguri1 del Partito Islamico del Turkestan (PIT), uzbeki, ceceni e alcuni francesi riuniti nella Firkatul Ghuraba (la Brigata degli Stranieri), ex combattenti dell’Esercito siriano libero (ESL) e sostenitori di un Fronte nazionale di liberazione legato ai Fratelli musulmani. A questo quadro islamista, sono da aggiungere i 400 membri del Daesh, provenienti da Deir ez-Zor, che l’Esercito governativo siriano aveva rimpatriato nell’enclave, per incoraggiare i conflitti interni tra le frazioni.
Una volontà di riconoscimento
Grazie alla sua disciplina, senso di organizzazione e la capacità di unire al di là dei suoi ranghi, HTS si è rivelato rapidamente come il principale gruppo in grado di affermarsi. Il suo pragmatismo incontra quello della Turchia: promettendo fedeltà in cambio di protezione.
Inserito nella lista dei gruppi terroristici stilata dagli Stati Uniti, HTS si è dimostrato non meno collaborativo con il Pentagono contro i jihadisti del Daesh o di Al-Qaida. D’altronde, per alcuni dei loro emiri, il contesto di Idlib si è rivelato particolarmente disastroso. È in questa provincia che, nell’ottobre 2019, le forze speciali americane hanno stanato il leader del Daesh Abu Bakr Al-Baghdadi, e molti dei suoi successori. Eliminazioni che devono essere messe in relazione alla volontà di HTS di ottenere l’approvazione da parte dei paesi occidentali, nonché alla nuova linea politica di Al Jolani che promuove ora una visione che cerca di includere le differenti etnie e comunità religiose presenti in Siria e che ha cercato di mettere in pratica a Idlib.
Abu Mohammed Al Jolani si sforza anche di garantire la possibilità di un proto-Stato. Sotto la copertura di un governo di salvezza siriano (GSS), ha istituito un’amministrazione che gestisce la sanità, l’istruzione e l’economia, riscuotendo le tasse dai commercianti, prelevando dei diritti doganali a Bab al-Hawala, il punto di passaggio con la Turchia, senza dimenticare di trarre beneficio dal traffico di Captagon, la droga fabbricata in Siria, una vera e propria manna per il clan Assad, stimato all’incirca 5 miliardi di dollari l’anno.
In un governatorato dove coesistono drusi, cristiani e musulmani che non aderiscono al sunnismo radicale, Al Jolani applica una versione moderata della sharia, permettendo alle donne di truccarsi, andare al cinema e fondare associazioni. Inoltre, il nuovo leader ha anche riaperto le chiese. Più volte, Al Jolani ha anche criticato Daesh e Al-Qaida di non avere alcuna considerazione per il “bene comune”. È in quest’ottica che oggi governa Aleppo, cercando di rassicurare le diverse confessioni religiose, anche se gli alauiti, ai quali appartiene Bashar Al-Assad, sembrano essere esclusi da questa tolleranza2.
Tra la Turchia e la Russia
La Turchia, che nega qualsiasi responsabilità nell’attuale offensiva, vede l’opportunità, attraverso i suoi alleati dell’esercito siriano, di mettere le mani su nuovi territori nel nord della Siria. Ciò le consentirebbe allo stesso tempo di rimandare a casa i milioni di rifugiati che accoglie, vittime della xenofobia, mentre il paese attraversa una grave crisi economica.
D’altra parte, Ankara potrebbe influenzare i negoziati con Bashar Al-Assad e con la Russia, che spinge in questa direzione per favorire la stabilizzazione della Siria, necessaria alla difesa dei suoi interessi. Nel maggio 2022, la Russia ha installato un sistema aria-terra a corto e medio raggio SA-22 in una base a Qamishli, che ospita anche elicotteri (Mi-8/17, Mi-24/35, Ka-52) e aerei da combattimento (Su-34, Su-35S) per missioni di supporto alle operazioni nella regione. A Tartous, la Russia detiene l’unica base navale che possiede nel Mediterraneo e a Hmeimim, vicino a Laodicea, una base aerea dove atterrano e decollano caccia che trasportano dei missili ipersonici di tipo Kinjal e bombardieri strategici a lunga gittata, Tupolev Tu-22M. Dal 2015, la Russia ha preso il controllo dell’aeroporto civile di Al-Chayrat, situato a 40 km a sud-est di Homs, trasformandolo in una base militare.
La posizione strategica della Siria e il realizzarsi dell’antico sogno degli zar di avere uno sbocco sul Mediterraneo, esclude per ora il ritiro dei russi. È questo il motivo per cui bombardano Idlib, colpendo anche le strutture sanitarie e i campi profughi (circa 2,5 milioni di persone). Le mire russe sono anche su Aleppo da quando è stata conquistata dai combattenti di HTS. Ora che Hama è stata presa, i ribelli si sono avvicinati a Homs. Aleppo, Laodicea e Hama formano un triangolo di cui Laodicea è la punta marittima, Per i russi, il pericolo ora è incombente.
L’indebolimento dell’Iran
La situazione interna dell’Iran, sia economica che sociale, così come le incertezze sulla successione della guida suprema, Ali Khamenei, contribuiscono a un indebolimento del potere, accentuato dai recenti fallimenti militari di Hamas e di Hezbollah libanesi. “L’asse della resistenza” contro Israele e gli Stati Uniti dev’essere ora condotta principalmente dalle milizie sciite irachene e dagli Houti yemeniti.
Negli scontri di Aleppo, Teheran ha perso uno dei suoi importanti consiglieri, il generale Kioumars Pourhashemi. I pasdaran, i Guardiani della Rivoluzione, che non sono riusciti a impedire la caduta della città, si erano concentrati su Hama, raggiunti da truppe siriane che, nei primi giorni della guerra, si sono disgregate, da milizie sciite irachene venute in rinforzo e persino dai shabiha, le milizie al servizio del regime di Damasco, odiate dalla popolazione per la loro violenza e crudeltà. Un totale fallimento. Un esito che infligge un’ulteriore sconfitta al regime iracheno.
L’Iran, d’altra parte, non è neanche più sicuro che i suoi partner di Astana siano favorevoli alla sua permanenza in Siria. Tanto più che una dichiarazione sibillina di una giornalista turca, vicina al governo, fa riferimento ad una ripresa degli accordi di Astana nei prossimi giorni a Doha3.
La questione curda
Nel nord-est della Siria, i curdi hanno dovuto cedere l’enclave di Tall Rifaat sotto la pressione dell’esercito siriano sostenuto e supervisionato, sebbene Ankara si difenda attraverso l’Organizzazione d’informazione Nazionale turca (MIT). La caduta della città, dove si erano rifugiati i curdi, sfuggiti alla pulizia etnica praticata dall’esercito durante la presa di Afrin nel marzo 2018 e, l’incertezza sulle sorti dei curdi residenti a Cheik Massoud, il quartiere turco di Aleppo e nei villaggi circostanti, hanno condotto le Forze democratiche siriane (FDS) a organizzare l’evacuazione dei civili curdi, circa 200 000 persone: “Stiamo cooperando attivamente con tutte le parti interessate in Siria per garantire la sicurezza del nostro popolo e facilitare il suo trasferimento in totale sicurezza della regione di Tal Rifaat […] verso le nostre zone sicure nel nord del paese” ha dichiarato Mazloum Abdi, capo delle FDS4.
Al momento, i curdi che vivono a Sheikh Maqsoud, il quartiere curdo di Aleppo, e nei villaggi circostanti, non sembrano essere in pericolo, dopo la firma di un accordo tra le FDS e HTS. In compenso, i curdi temono che la Turchia cerchi di estendere il suo vantaggio verso est fino a Mambij, in modo da privare il Rojava di una parte del suo territorio.
Un operazione che, se avrà luogo, potrà essere condotta solo dall’esercito siriano, supportato dall’aviazione militare turca, mentre HTS per ora si astiene, anzi sembra opporsi ad Ankara, come dichiarato in un comunicato del 2 dicembre:
[I curdi] hanno il diritto legittimo di vivere nella dignità e nella libertà, come tutto il popolo siriano… fanno parte dell’identità siriana, ricca della sua diversità. In questo contesto, noi ribadiamo il nostro rifiuto categorico delle pratiche aggressive contro i curdi perpetuate dal Daesh (…) Sono azioni che vanno contro i principi fondamentali della nostra Rivoluzione.5 .
Dietro questi sconvolgimenti, si tende spesso a dimenticarlo, c’è l’Organizzazione dello Stato islamico (Daesh). Lungi dall’essersi estinto, continua a imperversare in Siria e in Iraq. Al momento, sta intensificando le sue dichiarazioni incendiarie contro i ribelli, in particolare contro HTS e sembra attendere l’occasione giusta per aggiungere caos al caos. Il Daesh non ha mai rinunciato a ricostruire un Califfato nel Levante. Già operativo nel deserto della Badia e nei pressi di Deir ez-Zor, cercherà di reinsediarsi a seconda delle circostanze.
L’attuale caduta di Bashar Al-Assad, che sembrava non voluta da nessuna delle potenze intervenute in Siria, le numerose rivolte popolari che scandiscono l’avanzata delle truppe contrarie al regime, così come le dichiarazioni entusiaste degli abitanti che fanno ritorno nelle loro città, lasciano presagire uno scenario ancora incerto da decifrare.
1Gli uiguri sono un’etnia turcofona di religione islamica che vive nel nord-ovest della Cina. [NdT].
2Soulayma Mardam Bey, «Le discours ambigu de HTC vis-à-vis des chiites et des alaouites», L’Orient-Le-Jour, 5 dicembre 2024.
3BBC Monitoring, 3 dicembre 2024
4“Le forze curde vogliono evacuare i civili curdi della regione di Aleppo dopo l’offensiva ribelle”, AFP e The Times of Israel, 2 dicembre 2024
5Citato da Luc Mathieu, « Offensive en Syrie/Les Kurdes en porte-à-faux», Libération, 3 dicembre 2024.