Reportage

Il Cairo. Notte d’oblio a bordo di una feluca sul Nilo

In una città segnata dalle divisioni sociali e dominata dallo sconforto, le uscite del giovedì sera sul Nilo a bordo di una feluca – un tipo di barca a motore molto diffusa – rappresentano una delle rare occasioni per divertirsi senza spendere una fortuna. Il Nilo non è certo un territorio che sfugge al controllo delle autorità, ma, a bordo, il divertimento non sembra conoscere limiti.

L'immagine mostra una scena notturna su un fiume, con diverse barche decorate con luci colorate. Le imbarcazioni si trovano in una zona animata, e il riflesso delle luci sull'acqua crea un'atmosfera vivace e festosa. Sullo sfondo, si possono vedere edifici illuminati, che contribuiscono ulteriormente all'ambiente festivo della scena. Alcune persone sono sedute lungo la riva, godendosi la vista e l'atmosfera.
lokha/Flickr

Sono appena passate le 22 di giovedì 8 dicembre. Fatima se ne sta imperturbabile sul bordo dell’argine che porta a una delle sue barche. È impegnata a chiacchierare con un’amica, mentre i figli di questa giocano in ciabatte sul muretto in pietra. Al molo ormeggia una feluca che accoglie a bordo già diverse decine di persone; la maggior parte sta seduta sulle panchine che cingono l’imbarcazione, sorseggiando una Stella, una marca di birra popolare in Egitto. Fatima con nonchalance spiega ai ritardatari che la barca non è ancora partita. Un ritardo di un’ora e mezza non è poi così eccezionale.

Il giovedì sera, per festeggiare la prima serata del week-end, alcuni cairoti optano per un giro in feluca, ma non una qualunque. Non si tratta del tradizionale veliero mediterraneo che ha contribuito al fascino della scoperta fluviale dell’Alto Egitto e che fece dire a Gustave Flaubert durante il suo viaggio nel 1849 che “tutta la valle del Nilo, bagnata nella nebbia, sembrava un mare bianco, immobile, e dietro di lei il deserto, con le sue collinette di sabbia, pareva un altro oceano viola scuro, le cui onde erano state una ad una pietrificate”. Si tratta invece di una barca dal motore ruggente. All’odore del gasolio si mescola la paura per l’instabilità della scialuppa: con una capacità di 120 persone, potrebbe capovolgersi a ogni turbolenza.

Una rara diversità sociale

Zamalek, quartiere nel nord di Gezira, l’isola più chic del Cairo, è il punto di partenza delle feluche di Fatima. Vengono accettate prenotazioni di gruppo, in modo da poter accogliere un numero conseguente di persone. In genere è Mamdouh* che se ne occupa. Grazie al suo temperamento gioviale e festaiolo, ritrova in queste serate “un’atmosfera e un’allegria uniche”. Oltre al beneficio di un’eventuale commissione, quest’attività mette in valore la sua aura sociale e gli conferisce un ruolo di animatore.

Le informazioni circolano anche attraverso i social, per ritrovarsi tra amici, ma non solo. Nonostante gli habitué costituiscano la maggior parte dei festaioli, la felouka resta, infatti, uno dei rari luoghi notturni in cui è ancora possibile la commistione di generi, classi e stili. Il suo costo, 30 lire egiziane l’ora (circa 0,92 euro dopo la recente svalutazione), non è alla portata di tutti, ma lo è per una parte della gioventù egiziana. È in ogni caso molto più abbordabile delle chiatte-discoteca di Zamalek, che accolgono una clientela facoltosa e alla moda, o anche dei cabaret vecchio stile del centro città e di Al-Haram Street, la strada che porta alle piramidi di Giza, in cui i neo-ricchi egiziani si mescolano a turisti del Golfo e ballerine professioniste.

Al di là dell’aspetto economico, e anche della selezione imposta all’ingresso di molti bar e discoteche, la violenza simbolica che impedisce ai giovani dei quartieri popolari di uscire sta nella posizione dei nuovi luoghi di socialità notturna. Questi si trovano soprattutto nei quartieri ricchi della capitale, come Maadi (a sud del Cairo), Zamalek e nuovi quartieri come Tagamoa nella città di New Cairo. È come se praticare queste geografie non fosse consentito a tutti, e che una maggioranza della popolazione fosse sottoposta a un divieto di accesso alla polis, peraltro accentuato dalla mancanza di spazi pubblici, in particolare di percorsi pedonali e campi sportivi, dalla privatizzazione delle sponde del Nilo e dall’onnipresenza del traffico automobilistico. Quest’ultimo ha però il pregio di coprire conversazioni e garantire l’anonimato degli incontri, come facevano a loro tempo le fontane degli Omayyadi, soprattutto per le giovani coppie che amano darsi appuntamento sul ponte Qasr El-Nil, dando le spalle al frastuono dei clacson per ammirare i bagliori onirici del Nilo.

Il sapore di una certa extra-territorialità

Quanto ai giovani squattrinati, non hanno altra scelta che restare a casa o andare a sedersi nel dehors di un bar, preferibilmente nel loro quartiere, per discutere, se non per evocare ancora e ancora quel sentimento carcerario alimentato dall’impressione di essere prigionieri di ogni aspetto e livello della realtà – Stato, società, famiglia, datore di lavoro (se c’è), cittadinanza, particelle di ossigeno inquinate. Anche i matrimoni popolari che si svolgevano per strada e che consentivano un’effimera ma festosa riappropriazione del quartiere - in particolare attraverso la danza, tra cui quella del bastone (tahtib) - stanno diventando sempre meno numerosi.

È il motivo per cui le serate felouka offrono letteralmente un’uscita, una fuga, non solo nel cuore del Cairo, ma soprattutto al centro del Nilo. Il carattere fluviale dà a questi momenti il sapore di una certa extraterritorialità che offre a tutti uno spazio di libertà, in un paese sottoposto a un regime politico ancora più liberticida del precedente. Il fluttuare delle onde rimanda in sé al capovolgimento del mondo e alla fuga da esso. Si tratta, per il tempo di una serata, di stravolgere la propria quotidianità, invece di lasciarla scorrere.

A bordo, le norme e le convenzioni dominanti sono quindi sovvertite. Al di là delle inclinazioni alcoliche e della possibile contestazione dell’eterosessualità normalizzata, le scelte sonore e coreografiche permettono a tutti di ritagliarsi un piccolo margine di libertà, sia intima che collettiva. Le mahraganat, canzoni popolari dei primi anni 2000, riprese e ritmate elettronicamente, contribuiscono all’euforia collettiva e catalizzano l’atmosfera di una serata. Note a tutti, queste melodie saldano le differenze e condensano in un’unica energia le grida e la collera interiore del pubblico. Nello stesso tempo, tuttavia, ricordano a tutti la(le) propria(e) condizione(i). Ma, anche in questo caso, l’idea è di invertire la tendenza: invece di sopportare passivamente questi suoni, come accade nella maggior parte dei luoghi del Cairo, dai tuk-tuk ai barbieri ai ristoranti popolari, li si addomestica attraverso la danza e una certa foga conviviale.

Al Cairo, le restrizioni legate alla (non)gestione sanitaria della crisi del Covid-19 hanno permesso alle autorità politiche di restringere ulteriormente la vita notturna, considerata vettore di disordini, in particolare nei luoghi “sovversivi”, ma anche in generale in tutti i luoghi aperti al pubblico, costretti a chiudere prima del solito. La reputazione di nottambula di cui godeva la capitale egiziana ne è uscita compromessa, mentre il controllo delle masse, ormai onnipresente, rinvigorito.

Dal ponte Imbaba alle rive del Fairmont

23h30. La feluca è in pieno fermento, con la sua sessantina di persone a bordo che balla sulle note delle mahraganat più in voga del momento, quando una pattuglia della polizia fluviale si avvicina. Di pari passo vengono spente le luci e fatti sparire alcolici e stupefacenti. Una decina di minuti dopo, gli agenti ripartono; il loro scopo principale, oltre a quello di racimolare una bustarella (rashoua), è ricordare ai proprietari della barca e agli organizzatori che le autorità restano vigili, e che, di conseguenza, il Nilo non è un territorio fuori dal loro controllo.

A mezzanotte e un quarto, la feluca arriva al ponte Imbaba, un’imponente struttura blu di acciaio e piombo, in parte ferroviaria, con i suoi archi sporgenti tipici dell’inizio del secolo scorso. Sotto il ponte, la folla si muove come fosse un unico essere, e gridando in coro cerca di resistere con un’esplosione di gioia a questo nuovo opprimente coperchio. Un istante che la dolce brezza autunnale, favorita dalla piattezza del fiume, rende ancora più piacevole per questi corpi in rapido movimento.

La feluca si ferma poi davanti al Fairmont Nile City, uno degli alberghi più lussuosi della capitale, con i suoi sette bar-ristoranti e il suo casinò. Invece di raddoppiare la propria energia per schernire i potenti rinchiusi nelle loro torri arroganti, la folla rimane indifferente a questo divario, al contrasto pecuniario, quasi a sottolineare chiaramente che la felouka è un luogo offshore, extra-terrestre, lontano dalla violenza sociale del Cairo. È inutile preoccuparsi delle rappresentazioni quando, per una volta, il reale si materializza. Per una sera, la frustrazione sessuale, le delusioni professionali, la fatica quotidiana, le pressioni sociali e familiari vengono dimenticate e relegate al bitume freddo e secco della riva. Almeno per una sera.

00h32. A tutta velocità, una canoa appena uscita dall’ombra porta una mezza dozzina di nuovi partecipanti. L’elemento sorpresa e la sequenza cinematografica che l’accompagna stimolano la folla, che si infittisce ulteriormente. La feluca, ormai al completo, si rilancia tra le onde. A differenza delle barche (in particolare le dahabiya) di cui molti ricchi egiziani e stranieri si appropriano per coltivare l’auto-segregazione, questo appuntamento fluviale settimanale è comunitario, in quanto costruisce un sentimento di appartenenza a un gruppo (shela) senza essere esclusivo, perché l’idea è proprio quella di incontrare(si), mescolare(si), condividere. Come se, per l’occasione, le condizioni e i destini potessero cadere nell’oblio tra le acque agitate e oleose del Nilo. Fino a dissolversi completamente. Al punto da sentire il bisogno di liberarsi: nessuna sensazione sembra più liberatoria di quella di poter scaricare la vescica a prua della nave, per gli uomini, soli di fronte all’immensità e ai riflessi della città. Anche quest’atto rappresenta una forma d’evasione. Possono fare lo stesso anche le donne, piuttosto a poppa, accanto a un capitano impassibile che ne avrà già viste di cotte e di crude. I più timidi possono sempre tornare a riva e cercare sollievo al Kentucky Fried Chicken, di fronte al pontone, per sfidare allegramente le nefaste emanazioni del capitalismo globalizzato.

Languido ristagno per allungare il tempo

È l’una di notte, e la festa è finita. Triste ritorno alla realtà. All’imbocco della scalinata che porta in città, si erge imponente Fatima, impegnata a recitare un po’ sopra le righe il ruolo di buttafuori per riscuotere il dovuto. L’hijab nero le conferisce pure una maggiore autorevolezza. Business as usual, sul suolo cairota. L’evasione svanisce e il continuo brusio delle automobili strappa i festaioli dal loro sogno ad occhi aperti per riportarli alla loro amarezza, richiamati bruscamente dal contatto con gli spiccioli che timidamente tirano fuori dalle loro tasche.

Per fortuna c’è Omar*, il venditore ambulante di patate dolci, che aiuta ad attenuare questo brusco ritorno alla realtà avvolgendolo in uno sbuffo di fumo profumato. Il momento è propizio per una languida stagnazione, così comune negli spazi all’aperto dei bar del Cairo, tra una partita di backgammon (tawla) e un tiro di narghilè, come per allungare il tempo. Più tardi, la folla si spegnerà e si disperderà, gradualmente, per rituffarsi anonima nel frenetico ritmo urbano della capitale. Il tempo di un’altra lunga settimana.