Guerra in Ucraina

Il rischioso gioco di equilibrio di Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti

Emirati Arabi e Arabia Saudita hanno adottato una posizione prudente di fronte all’invasione russa in Ucraina. Un atteggiamento attendista che riflette l’influenza russa nella regione negli ultimi anni e una sfiducia nei confronti di un Occidente che sta abbandonando i suoi alleati, come in Afghanistan, e che non appare coerente quando si tratta di difendere i suoi valori.

Mosca, 17 marzo 2022. Il ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov e il ministro degli Esteri degli Emirati Arabi Uniti Sheikh Abdullah bin Zayed Al Nahyan partecipano a un incontro
Evguenia Novozhenina/POOL/AFP

“La NATO è uno dei fattori chiave di questa recente crisi […]. È indubbio che la Russia – legittimo erede dell’Unione Sovietica – non accetterà in alcun caso l’allargamento della Nato fino ai suoi confini”, osservava un editorialista dell’influente quotidiano saudita Okaz il 25 febbraio 2022, tre giorni dopo l’inizio dell’invasione dell’Ucraina. Il giorno dopo, un altro commentatore dello stesso quotidiano faceva notare: “Quello che è certo è che l’invasione dell’Ucraina da parte del presidente russo Vladimir Putin ha introdotto nuovi elementi che non possono essere ignorati. Ha imposto un nuovo ordine mondiale completamente diverso da quello imposto dall’Occidente alla Russia”. In un’ottica analoga, anche il quotidiano saudita al-Riyadh il 3 marzo ribadiva che: “Il vecchio ordine mondiale sorto dopo la Seconda guerra mondiale era bipolare, ma è diventato unipolare dopo il crollo dell’Unione Sovietica. Oggi stiamo assistendo all’inizio di un cambiamento che tende ad un sistema multipolare”. E, riferendosi agli occidentali, ha aggiunto: “La posizione di alcuni paesi su questa guerra non mira a difendere i principi di libertà e democrazia, ma i loro interessi che sono legati al mantenimento dell’ordine mondiale.1

La stessa critica la troviamo nei mezzi d’informazione degli Emirati Arabi Uniti (EAU). “Le oscillazioni nella posizione politica degli Stati Uniti non sorprendono. Del resto, non è una novità che siano soliti usare stratagemmi e ritrattare gli impegni, come hanno fatto in molte circostanze e controversie. Hanno sistematicamente utilizzato le forze locali ai propri fini, per voltare loro le spalle esponendole a possibili attacchi. Washington e l’Occidente hanno incoraggiato la propensione degli ucraini ad opporsi alla Russia […]. Il comportamento di Washington e le posizioni europee sulla crisi ucraina, così come il loro trarre vantaggio dalle difficili condizioni di Kiev, rivelano un problema di valori dei loro sistemi politici”.2

A leggere tali commenti, si potrebbe quasi pensare che Arabia Saudita e Emirati Arabi Uniti non siano alleati strategici degli Stati Uniti. Sintetizzano però perfettamente le due questioni di cui si parla sui media dei due paesi, al di là della più o meno dichiarata condanna dell’invasione dell’Ucraina. Innanzitutto, una critica a volte virulenta del Presidente americano Joe Biden e degli Stati Uniti che, pur restando alleati, sono considerati inaffidabili perché finiscono per tradire i loro alleati. Anche la loro difesa del Diritto internazionale è ritenuta ipocrita: non hanno forse invaso e distrutto l’Iraq nel 2003 avendo carta bianca dalle Nazioni Unite? E se l’Ucraina è stata parzialmente invasa da qualche settimana, allora la Palestina lo è da decenni, con il convinto appoggio degli Stati Uniti e quello un po’ più timido degli europei. Senza dimenticare il razzismo evidente di fronte all’emergenza profughi con la “doppia morale”, “a seconda che tu sia…” ucraino o africano.

L’altro filo conduttore della stampa verte sulla riorganizzazione dell’ordine internazionale, diventato multipolare, con un nuovo ruolo della Russia e soprattutto della Cina (e più in generale dell’Asia) insieme al ritiro degli Stati Uniti dal Golfo. È quindi nell’interesse dei due paesi perseguire la diversificazione delle loro relazioni oltre ad uscire da un rapporto esclusivo con il solo Occidente.

Questo clamore mediatico mette in luce l’atteggiamento dei leader dei due paesi, dei quali il minimo che si possa dire è che non si sentano coinvolti – non più di altri della regione (Egitto, Turchia, Iran) – nella campagna occidentale per “punire” la Russia.

Un voto che la dice lunga

Non c’era alcun dubbio che la risoluzione del Consiglio di Sicurezza ONU, che condannava l’intervento russo in Ucraina del 25 febbraio 2022, sarebbe stata respinta visto il potere di veto russo. Ma, a sorpresa, oltre all’astensione di Cina e India, c’è stata anche quella degli Emirati Arabi Uniti. Pochi giorni dopo, dietro pressione americana, israeliana e francese, gli Emirati hanno sottoscritto la risoluzione dell’Assemblea generale del 2 marzo, ma senza cambiare realmente posizione. Il 23 febbraio, il ministro degli Affari esteri degli Emirati, lo sceicco Abdullah bin Zayed Al Nahyan, ha incontrato a Mosca il suo omologo russo Sergej Lavrov, segno di un riavvicinamento tra due paesi che hanno visto un incremento del 38% delle loro relazioni commerciali negli ultimi undici mesi, mentre la Russia ampliava la sua partnership con gli Emirati nel campo delle nuove tecnologie e anche in quello militare, in virtù di un accordo bilaterale di cooperazione strategica siglato nel 2018.

Si è inoltre rafforzato il coordinamento politico con Mosca, che si tratti della questione siriana, ora che Abu Dhabi invoca il ritorno del regime di Damasco nella Lega araba dopo aver ricevuto il presidente Bashar al-Assad in visita ufficiale il 18 marzo; della Libia, dove i due paesi si trovano nello stesso schieramento contro la Turchia; o dello Yemen – Mosca ha finalmente rinunciato a porre il veto su una risoluzione del Consiglio di Sicurezza che definiva i ribelli Houthi come gruppo “terroristico”.

Allo stesso tempo, sono aumentate le recriminazioni di Abu Dhabi verso Washington per la reazione tardiva agli attacchi Houthi del 17 gennaio, oltre che per le indecisioni da parte americana nel sostenere la guerra in Yemen e per il fatto di non aver tenuto conto dei loro interessi nei negoziati sulla questione nucleare iraniana. Segno tra l’altro delle tensioni, a fine 2021 Abu Dhabi ha rinunciato all’acquisto di 50 F-35 americani per un valore di 23 miliardi di dollari (20,83 miliardi di euro), in risposta alle condizioni poste da Washington sul trasferimento tecnologico. Subito dopo, nel febbraio 2022, l’emirato ha acquistato – un acquisto ben più modesto – una dozzina di addestratori avanzati cinesi Hongdu L-15 (con possibilità di arrivare a 36) con la scusa di voler diversificare gli acquisti militari.

Mentre la guerra in Ucraina provoca un incremento dei prezzi dell’energia, gli Emirati, uno dei principali esportatori di petrolio, sono in grado di soddisfare la domanda, ma si mostrano riluttanti. Se il loro ambasciatore negli Stati Uniti Youssef Al Otaiba ha annunciato il 9 marzo che il suo paese è pronto a intervenire per aumentare le quote di produzione – con conseguente calo in un giorno di 15 dollari (13,58 euro) del prezzo al barile –, è stato smentito poche ore dopo dal ministro dell’Energia degli Emirati. Alcuni l’hanno interpretato come una possibile divergenza all’interno della leadership degli Emirati; altri, senza dubbio a ragion veduta, come un atto nei confronti di Joe Biden e un monito sulla capacità d’influenza degli Emirati, e quindi della necessità di tener conto del loro peso sulla scena internazionale. Nonostante la decisione finale sul livello di produzione spetti all’Organizzazione dei Paesi esportatori di petrolio (OPEC+),3 in altre parole e principalmente alla Russia e all’Arabia Saudita.

Quest’ultima però non sembra disposta a soddisfare le richieste di Washington. Tanto più che le “incomprensioni” tra Washington e Riyad, come con Abu Dhabi, si sono via via accumulate. Già prima dell’arrivo di Joe Biden alla Casa Bianca, l’Arabia Saudita era rimasta molto sorpresa dalla reazione americana davvero fiacca di fronte all’attacco dei suoi giacimenti petroliferi nella regione orientale del paese il 14 settembre 2019, con il Presidente Trump che dichiarava addirittura di non aver mai fatto alcuna promessa di difendere l’Arabia Saudita. Il fallimento americano in Afghanistan nel settembre 2021 e l’ingloriosa uscita di scena dei loro alleati locali avevano finalmente convinto i sauditi e gli altri leader del Golfo che gli Stati Uniti erano pronti a voltare le spalle ai loro alleati esponendoli a possibili attacchi, come aveva fatto notare l’editorialista citato all’inizio dell’articolo.

Mohamed Bin Salman, reietto o alleato?

L’elezione di Biden ha reso ancora più tesa la situazione. Il Presidente americano aveva promesso di trattare l’Arabia Saudita come uno Stato paria dopo l’omicidio del giornalista Jamal Khashoggi, questo perché i servizi segreti americani ne ritengono responsabile Mohammed bin Salman (MbS), il principe ereditario saudita. Biden aveva anche denunciato la guerra in Yemen. E anche se, malgrado le promesse, non c’è stato alcun cambiamento nella politica da parte dell’amministrazione democratica, Biden rifiuta qualsiasi incontro con MbS.

La guerra in Ucraina può ribaltare la situazione? In fin dei conti, Washington ha riallacciato i rapporti con il Venezuela di Nicolas Maduro, fino ad ora criticato con termini molto duri, per cercare di ottenere un incremento della produzione di petrolio. Continui colpi di scena che non sono nuovi in questa regione. Per chi non ha memoria, ricordiamo che il presidente George Bush, il giorno dopo l’invasione del Kuwait da parte dell’Iraq nell’agosto del 1990, si era riconciliato con il regime di Hafiz al-Asad per reclutarlo nella sua coalizione contro Saddam Hussein.

Questa volta, però, sono i sauditi che sembrano restii. Rivela il Wall Street Journal dell’8 marzo che MbS avrebbe rifiutato una telefonata di Biden all’inizio della guerra in Ucraina. Aveva chiesto l’immunità qualora si fosse recato negli Stati Uniti, cosa molto difficile da concedere, soprattutto dopo l’esecuzione di 81 prigionieri nella sola giornata del 12 marzo. E il fatto che, a inizio marzo, la portavoce della Casa Bianca abbia ribadito le dichiarazioni del Presidente sul regno saudita definito “Stato paria” non migliorerà di certo le cose.

In un’intervista rilasciata alla rivista americana The Atlantic il 7 marzo, alla domanda se Biden lo capisse o meno, MbS ha risposto sprezzante che non gli importava dell’opinione del Presidente, ma che avrebbe fatto bene a pensare agli interessi degli Stati Uniti. Più in generale, la dirigenza saudita, ma anche quella degli Emirati, è infastidita dal fatto di non essere stata interpellata, rispetto agli alleati occidentali, nelle settimane precedenti all’invasione. Si addebitano agli Stati Uniti anche lo scarso sostegno in Yemen e la loro reticenza a consentire all’Arabia Saudita l’accesso all’energia nucleare civile, proprio mentre Mosca è impegnata, attraverso la compagnia statale Rosatom, in diversi progetti di centrali. E sembra determinata a diversificare le sue relazioni commerciali, come dimostra la trattativa in corso con la Cina che permetterebbe al paese di acquistare petrolio in yuan e non più in dollari – già il 10-20% delle sue importazioni di petrolio sono fatturate in yuan.4

Un disallineamento prolungato?

Stando così le cose, perché punire la Russia dopo lo sviluppo delle relazioni negli ultimi due anni, in particolare con la creazione dell’OPEC+ nel 2020 che le ha permesso di partecipare ai negoziati sul livello della produzione di petrolio? Un sodalizio che ha portato a un eccellente coordinamento tra Russia e Arabia Saudita, che Mosca considera ormai strategico.5 Durante un incontro a Mosca con il suo omologo russo Sergej Lavrov il 5 marzo, il ministro degli Esteri saudita, il principe Faisal bin Farhan, si è limitato a chiarire, in merito alla crisi ucraina, che “il metodo giusto per gestire la crisi è il rafforzamento del dialogo tra le due parti, al fine di raggiungere una soluzione politica che riporti sicurezza e stabilità in questa regione e nel mondo”. Né l’Arabia Saudita né gli Emirati sembrano pronti ad applicare sanzioni contro la Russia, e Dubai sta diventando un rifugio per i capitali russi e per tutti i miliardari che possono beneficiare dei voli diretti forniti dall’Aeroflot o dalle potenti compagnie del Golfo.6

La situazione è incerta ed è difficile valutare le ripercussioni della guerra in Ucraina sulle relazioni internazionali. Già il rinvio della firma sull’accordo nucleare iraniano ne è un segnale preoccupante. Ma se la guerra continua, se lo scontro tra Russia e Occidente diventa una specie di nuova Guerra fredda in cui sarà necessario schierarsi, non c’è dubbio che gli Stati Uniti e i loro alleati useranno dei mezzi per esercitare pressione sui loro alleati del Golfo. Hanno a disposizione strumenti ancor più potenti7 delle sanzioni che hanno già notevolmente indebolito la Russia sul piano economico e quindi sarà rischioso farci affari. Sarà ancora possibile, nell’attuale situazione di crisi, il “non-allineamento” per le due monarchie?

1Gli estratti sono riportati da BBC Monitoring, Arabia Saudita, 8 marzo 2022.

2Citato in Mideast Mirror, Londra, 1 marzo 2022.

3Un’alleanza che comprende, oltre ai membri dell’OPEC, altri dieci paesi: Russia, Messico, Kazakistan, Azerbaigian, Bahrain, Brunei, Malesia, Oman, Sudan, Sudan del Sud e in cui, dal 2020, Mosca e Riyad giocano un ruolo predominante.

5Konstantin Truevtsev, « Russia’s New Middle East Strategy : Countries and Focal Points », Valdai Discussion Club Report, febbraio 2022. Valdai è un think tank russo di politica internazionale.

6Gwen Ackerman et Ben Bartenstein, « Rich Exiles Put Dubai in Spotlight », Bloomberg, 14 marzo 2022.

7L’inclusione da parte del Gruppo d’azione finanziaria (Gafi) di Dubai nella “lista grigia” dei paesi che non hanno adottato misure sufficienti a combattere il riciclaggio di denaro costituisce un’arma notevole contro l’emirato.